SCIENZA E RICERCA

L'impatto della pandemia sulle attività di parchi zoologici e acquatici in Italia

In questo momento la fase più difficile della pandemia sembra ormai alle spalle: l’ingresso nella stagione calda e il progressivo avanzamento della campagna di immunizzazione hanno fortemente diminuito la circolazione del virus, rendendo così possibile la riapertura delle attività.

Sono però moltissimi i settori che hanno risentito in modo pesante delle restrizioni legate alla crisi sanitaria e tra questi ci sono anche parchi zoologici e acquari: nel nostro Paese, salvo poche eccezioni, sono strutture gestite da privati e dipendono dagli introiti dei biglietti per realizzare le funzioni che una direttiva europea del 1999 ha identificato come essenziali. Parliamo infatti di realtà che negli ultimi anni, anche in Italia, hanno portato a compimento una profonda transizione e alla dimensione dell’intrattenimento hanno unito un forte impegno verso l'educazione scientifica e la promozione della biodiversità, anche con la partecipazione a progetti in situ.

Il decreto legislativo n.73 del 2005 ha recepito nel nostro Paese la già menzionata direttiva europea e il ministero dell’Ambiente rilascia la licenza solo a quelle strutture (al momento sono in totale una quarantina) che rispondono ad adeguati standard di qualità in termini di benessere animale, attività educative e progetti di ricerca e di conservazione, sia in natura che in ambiente controllato. Gli obiettivi indicati dalla normativa sottolineano dunque un ruolo che è ben diverso rispetto a quello che in Italia viene spesso associato con la ‘cattività’ degli animali che vengono mantenuti.

Nei giorni scorsi una tavola rotonda online organizzata dall’Ethics Laboratory dell’università di Padova ha chiamato a raccolta tutte le realtà attive in questo settore, strutture che sono diverse per area geografica e dimensioni e che hanno dovuto rispondere alle sfide di questo momento così complesso riorganizzando le proprie risorse e professionalità, senza mai penalizzare i servizi essenziali e la cura degli animali. Un confronto virtuale che è stato molto partecipato e che ha rappresentato un primo passo per permettere alla comunità zoologica e acquaristica di esprimere tutte le difficoltà legate alla pandemia.

"L’idea di un incontro - introduce la professoressa Barbara de Mori, docente del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell'università di Padova e direttrice dell'Ethics Laboratory dell'ateneo - è maturata progressivamente, dopo aver promosso una prima raccolta dati sul tema, sotto la spinta della necessità di creare una opportunità di condivisione e confronto sulle modalità con cui le varie strutture zoologiche e acquari in Italia hanno dovuto far fronte agli innumerevoli problemi e disagi determinati dalla pandemia. L’incontro è stato pensato come l’occasione per condividere le proprie esperienze, confrontarle con quelle di altri, sottolineando da una parte le peculiarità locali, dall’altra la continuità a livello nazionale, alla luce anche degli orientamenti e delle linee guida proposte a livello europeo. Resta che la situazione italiana è peculiare rispetto a numerose altre realtà europee, dove le strutture sono spesso statali o a partecipazione statale. In Italia, invece, con poche eccezioni, le strutture sono tutte private e si devono confrontare con i bilanci tipici di una azienda, conservando tuttavia un ruolo più simile ad un ente museale che ad un luogo di intrattenimento, con l’unica grande differenza di dover gestire animali vivi e spesso di alto valore conservazionistico".

 "Le chiusure determinate dalla pandemia hanno pertanto influito direttamente sul bilancio economico delle strutture, che si basa solo sugli introiti derivanti dai biglietti di ingresso dei visitatori, e che tuttavia deve assicurare il benessere degli animali ospitati e il perseguimento degli obiettivi indicati, garantendo al contempo il mantenimento dei posti di lavoro dello staff. Le difficoltà sono state molte, dall’approvvigionamento di cibo per gli animali alla garanzia che lo staff di cura degli animali fosse sempre presente, nonostante i rischi di contagio o le difficoltà di spostamento, sino alla necessità di mantenere servizi essenziali, sia per gli animali sia per le persone. Dalle difficoltà, tuttavia, sono emerse anche numerose opportunità e anche di queste si è discusso durante l’incontro, nel tentativo di rinvenire delle linee comuni per orientare il futuro e il prossimo periodo di gestione della pandemia, che non si può affatto considerare superata, neppure per le strutture che si occupano di un bene pubblico come la fauna selvatica in Italia", ha aggiunto la professoressa de Mori.

"Nel momento terribile del primo lockdown - ha spiegato Gloria Svampa, presidente dell'Unione italiana zoo e acquari, in cui confluiscono una ventina di realtà - i centri che fanno parte della nostra associazione si sono trovati a dover chiudere proprio quando si apprestavano a dare inizio a una stagione, quella primaverile, in cui normalmente si accoglie un pubblico numeroso. Alle preoccupazioni per la nostra salute e per quella di tutti gli operatori si è aggiunta quella per la salute dei nostri animali perché siamo ben consapevoli che alcune specie possono essere suscettibili a questo virus. Inoltre il rischio che si correva era che i giardini zoologici si ritrovassero con uno staff ridottissimo o addirittura con l’assenza di persone formate da anni che hanno quella professionalità che ci garantisce di poter mantenere gli animali nelle migliori condizioni". Tuttavia, prosegue Svampa, "oggi posso dire che i nostri giardini zoologici hanno dimostrato di meritare la loro licenza ed è una licenza che riconosce la capacità professionale e il senso di responsabilità di sapere condurre un’istituzione dove vengono ospitate moltissime specie selvatiche di animali sia vertebrati che invertebrati".

Le molte voci che si sono succedute hanno illustrato le criticità economiche e gestionali a cui è stato necessario fare fronte, in un contesto che chiaramente continuava a presentare elevati costi fissi, rappresentati in primo luogo dal cibo degli animali e dal mantenimento dei loro habitat.

Le testimonianze degli acquari 

"Nel 2020 abbiamo assistito a un calo drammatico delle presenze totali e all'azzeramento totale delle attività didattico-educative con le scuole, con un conseguente impatto sul budget che a sua volta ha comportato una riduzione dell’85% dei nuovi investimenti", ha affermato Renato Lenzi, amministratore delegato di Zoomarine, parco che ha sede a Pomezia e dal 2015 fa parte del gruppo The Dolphin Company. "Nonostante le difficoltà siamo però riusciti anche in quel periodo a portare avanti alcuni progetti come l’introduzione del Lemur catta che stava entrando nel nostro parco e altre attività di ricerca con le università partner. Inoltre abbiamo garantito una piena operatività al centro di pronto soccorso per le tartarughe che è l’unico presente nel Lazio e che da gennaio 2020 ad oggi ha ospedalizzato oltre 20 animali che si erano spiaggiati".

Anche l'acquario Cala Gonone, inaugurato nel 2010 e attualmente l'unico in Sardegna ad avere la licenza della legge zoo, è riuscito a portare a termine un compito complesso come il trasferimento degli animali che precedentemente facevano capo all'acquario di Alghero. "Serviva una pianificazione molto accurata ed era un momento in cui gli spostamenti non erano permessi", ricorda il direttore Flavio Gagliardi ripercorrendo in particolare le operazioni di trasporto di un esemplare molto delicato come la Gymnothorax, una murena verde di 25 anni e 35 chilogrammi. "Ogni singolo animale - ha aggiunto - va rispettato nella sua unicità". 

Tra le realtà più grandi che operano nel settore c'è il gruppo Costa che gestisce 11 strutture, tra cui l'acquario di Genova con 70 vasche che riproducono ambienti acquatici di tutto il mondo e ospitano oltre 12 mila esemplari di 400 specie. "Avendo una struttura aperta per 12 mesi all’anno da ormai oltre 20 anni tutti gli animali, specialmente mammiferi e uccelli come i pinguini, erano abituati ad avere il contatto con il pubblico e abbiamo cercato di non far percepire loro questa assenza", ha detto il presidente e amministratore delegato, Giuseppe Costa. Per quanto riguarda l'organizzazione dei servizi "abbiamo fatto in modo che ci fossero due o tre squadre di operatori presenti, organizzate in modo che non si interfacciassero: questo perché se una persona fosse risultata positiva potessero essere isolati solo gli operatori del medesimo team".  

Dopo la boccata d'ossigeno dell'estate 2020 l'acquario di Genova, ma anche quelli di Cattolica e Livorno, hanno dovuto nuovamente chiudere a novembre quando il nostro Paese ha attraversato la seconda ondata di contagi. "Abbiamo affrontato questa nuova fase con più tranquillità dal punto di vista operativo, perché avevamo già avuto l’esperienza della prima chiusura, però eravamo più depressi e abbiamo dovuto farci una gran forza tra di noi per animare i nostri animali", ha proseguito Costa aggiungendo che i sostegni economici ricevuti dallo Stato sono stati esigui se rapportati alle spese vive. E su questo fronte resta aperto il capitolo degli animali che sono sotto sequestro giudiziario e che acquari e parchi zoologici tengono in custodia senza ricevere alcun rimborso.

C'è poi uno storico acquario che era chiuso al pubblico dal 2014 per lavori di ristrutturazione e su cui la pandemia ha impattato provocando un anno di ritardo nel completamento delle opere di restauro. E' l'acquario di Napoli, nella stazione zoologica Anton Dohrn: il più antico in Italia (la sua fondazione è datata 1874) e uno dei più antichi al mondo. L'inaugurazione nella sua nuova veste si è svolta lo scorso 8 giugno e la struttura è anche un importante centro di ricerca internazionale. Claudia Gili, direttrice del dipartimento Conservazione animali marini e public engagement ricorda che Anton Dohrn è stato "il primo imprenditore in questo ambito che ha avuto l'idea di aprire un acquario per finanziare la ricerca e consentire ai ricercatori di sviluppare progetti" e che sono oggi portati avanti nel Tartle Point di Portici e nella Marine Farm che lavora in collaborazione con l'università Federico II. 

Un elemento emerso a più riprese nel corso della tavola rotonda è stata la maggiore difficoltà incontrata dalle realtà che hanno nei visitatori esteri un bacino molto rappresentativo. E' il caso, ad esempio, del Tropicarium Park di Jesolo, una struttura ponte che al suo interno ha anche due acquari. "Essere stagionali ha già una serie di implicazioni e siccome noi abbiamo una predominanza di pubblico straniero anche nei momenti in cui quando siamo stati aperti non abbiamo registrato molte visite", ha affermato il direttore scientifico Diego Cattarossi.

Le testimonianze dei giardini zoologici

I problemi fin qui illustrati e riferiti alle testimonianze riportate dagli operatori degli acquari italiani sono molto simili a quelli riscontrati dai giardini zoologici. In comune c'è anche il tema degli animali in custodia giudiziaria. "Sono quelli che in un primo momento avremmo voluto restituire coattamente al legittimo proprietario, cioè l’ente pubblico, dal momento che non abbiamo ricevuto un supporto adeguato e per questo motivo ci siamo sentiti traditi. Ma, pensando al loro benessere, siamo tornati sui nostri passi e abbiamo deciso di tenerli", ha spiegato Paolo Cavicchio, direttore del giardino zoologico di Pistoia. Questa realtà, che proprio nel 2020 ha raggiunto il mezzo secolo di storia, ha riaperto al pubblico lo scorso 28 aprile e prima della pandemia registrava circa 100 mila visitatori annui. "Nel nostro mondo zoologico uno dei primi sentimenti che ho condiviso con molti colleghi è stato veder accadere qualcosa di cui noi parlavamo spesso anche con gli studenti", ha riferito Cavicchio riflettendo sul fatto che lo scoppio di una pandemia di questo tipo non era imprevedibile. "Il costo per la prevenzione di un evento del genere equivale al 2% del danno economico causato da Covid-19. Abbiamo il compito fondamentale di cercare di fermare il traffico illegale di animali selvatici e sicuramente occorre puntare su attività educative che incoraggino il cambiamento dei comportamenti individuali. Servono nuove allenze in chiave One Health e gli zoo possono essere protagonisti. Se riusciamo a comunicarlo ai visitatori ci sosterranno non soltanto perché vengono a vedere gli animali nel nostro zoo ma perché sapranno che in questo modo ci aiutano anche a proteggere le specie in situ".

Michele Capasso è un medico veterinario che ha fatto parte dell'organizzazione scientifica di questo incontro ed è consulente per Zoo delle Maitine, Safari Ravenna e Zoo d’Abruzzo. Oltre a causare problemi di natura economica la pandemia ha rallentato o cancellato diversi progetti internazionali: lo staff dello Zoo delle Maitine, ad esempio, sarebbe dovuto andare in Bolivia per dare supporto di persona alla comunità Inti Wara Nassi, una ong che gestisce centri di recupero nella foresta pluviale per la fauna selvatica in difficoltà. "Invece abbiamo potuto solo inviare del materiale", ha spiegato Capasso. 

Il fiore all'occhiello di Safari Ravenna è invece Pan Italia, "un progetto per la protezione e la conservazione degli scimpanzé che nasce da un’attività di recupero di alcuni animali tenuti in condizioni non idonee da una domatrice di circo tedesca". E da qui è nata una storia molto bella perché le indagini genetiche hanno rivelato che si tratta di esemplari della sottospecie verus, la più a rischio tra le 4 sottospecie esistenti. "Ospitare animali importanti per la conservazione è un piccolo contributo a una missione molto grande che è la protezione delle specie minacciate", ha osservato Capasso. Ma altri progetti di Safari Ravenna sono stati condizionati dalle limitazioni legate alla crisi sanitaria. "La pandemia ha influito negativamente sulla collaborazione con il Turtle Island, un centro zoologico austriaco. Noi ospitiamo esemplari in collaborazione con questa struttura ma purtroppo importare animali in regime di pandemia è estremamente complicato".

Lo Zoo d’Abruzzo poi, situato nelle vicinanze di Rocca San Giovanni, in provincia di Chieti, è l’unico giardino zoologico del territorio abruzzese e “rispetto ad altre realtà italiane - riferisce Capasso - ha potuto contare su una maggiore vicinanza da parte delle istituzioni locali, in particolare da parte della Regione che, durante il periodo di crisi legato alla pandemia, ha garantito un supporto economico alla struttura riconoscendone il valore per il territorio in termini di richiamo turistico e come luogo di educazione e di cultura”.

Ad affiancare l'Ethics Laboratory dell'università di Padova nell'organizzazione della tavola rotonda è stato anche Cesare Avesani, direttore del giardino zoologico Parco Natura Viva di Bussolengo, in provincia di Verona. "Non esito a definire drammatico il momento che abbiamo vissuto anche perché nel 2019 avevamo fatto investimenti rilevanti come la House of Giants, una delle più grandi serre che ci siano in Italia con 3 aree climatiche", ha spiegato Avesani che ha iniziato il suo intervento presentando i dati del World Tourism Organisation dell'Onu. Numeri che testimoniano un crollo delle presenze a livello globale e per questo motivo Avesani ha lanciato la proposta di un fondo di garanzia. "Il mantenimento della fauna selvatica, in Italia e nel mondo, non può dipendere dagli andamenti turistici e da tutte le perturbazioni di vario genere che prima o poi probabilmente torneranno, considerando che gli animali non sono proprietà dei nostri parchi zoologici ma appartengono alla collettività dal 1985, quando si è intrapresa questa strada", ha concluso Avesani. 

Ragionando sulle prospettive future tutti i partecipanti hanno condiviso la necessità di incrementare la percezione pubblica e la consapevolezza sociale in merito al ruolo delle strutture zoologiche ed acquatiche nella conservazione della biodiversità.

Sotto questo punto di vista "la situazione sta cambiando e lo si è visto durante la pandemia: nonostante le molteplici difficoltà economiche affrontate dalle persone, infatti, numerose sono state le donazioni private a sostegno delle strutture in Italia e svariate le richieste di contatto e condivisione anche a distanza. Le strutture si sono così trovate, spesso, a proporre nuovi contenuti educativi a distanza, nuove forme di interazione con le scuole e con le famiglie, per favorire la richieste di mantenere il contatto con gli animali e la natura nonostante la pandemia. Le persone, in generale, hanno bisogno di essere guidate ad acquisire una maggior consapevolezza in merito alle conseguenze delle loro azioni per gli animali e il pianeta e in questo, gli zoo e gli acquari, come si è detto, giocano un ruolo insostituibile", ha osservato la professoressa de Mori.

 


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Ma quali conclusioni sono state tratte al termine della tavola rotonda? "Più che di conclusioni - ha spiegato la professoressa Barbara de Mori - parlerei di orientamenti in fieri per far fronte alle ulteriori difficoltà che si prospettano nei prossimi mesi e anche anni, come effetti sia immediati sia di lungo periodo della pandemia, nel tentativo soprattutto di raccogliere l’esperienza fatta, per essere meno ‘impreparati’ in futuro e promuovere il coordinamento a livello nazionale. Gli orientamenti emersi, poi, riguardano da vicino anche le opportunità scaturite dalle difficoltà, ad esempio le nuove modalità di educazione e interazione e contatto con le persone, che meritano di essere promosse a prescindere dal protrarsi della pandemia. Il tutto per iniziare a porsi domande in merito alla necessità di svincolare l’operato di queste strutture dal mero andamento dei flussi turistici e dei visitatori. Una sfida tutt’altro che facile, ma che passa attraverso il riconoscimento, accanto alla necessità inderogabile di promuovere standard sempre più elevati di gestione e benessere degli animali custoditi, del ruolo sociale e conservazionistico che oggi, sempre più, queste strutture giocano a livello globale".

I partecipanti si sono inoltre presi l'impegno di raccogliere dati più precisi sulle difficoltà incontrate e sulla consapevolezza e le opinioni in merito, tramite un questionario che potrà restituire una visione più organica del tempo della pandemia per le strutture zoologiche e gli acquari in Italia

"Per chi fosse interessato, il questionario è reperibile al seguente indirizzo e può essere compilato da chiunque desideri contribuire, con le proprie opinioni in merito, ad approfondire la considerazione delle difficoltà e delle opportunità emerse durante la pandemia per chi gestisce in Italia la fauna selvatica in ambiente controllato", ha concluso la direttrice dell'Ethics Laboratory dell'università di Padova.

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