Fino almeno a metà ‘800 e anche oltre, le scienze naturali ritenevano che l’uomo occupasse il posto più in alto nella scala della natura: una classificazione gerarchica rivoluzionata dall’evoluzione darwiniana, che ha scalzato l’essere umano dalla vetta ricollocandolo su uno dei tanti rami dell’albero della vita. Il nostro narcisismo antropocentrico è però duro a morire e nell’immaginario comune è rimasta la convinzione che l’uomo sia, se non l'apice dell'evoluzione, per lo meno l’animale più intelligente. Buttata fuori dalla porta, la scala naturae rientra dalla finestra quando si tratta di confrontare le nostre facoltà cognitive con quelle degli altri esseri viventi. Il fatto che certi uccelli o tartarughe marine siano in grado di orientarsi con il magnetismo terrestre per le loro migrazioni non sembra scalfire la nostra presunzione di essere migliori di loro.
Nella cultura occidentale un contributo decisivo alla narrazione di unicità e superiorità dell’uomo è stata certamente data dalla convinzione di essere l’unico animale capace di avere coscienza di sé: Hegel, alla questione, ci ha dedicato l’intera Fenomenologia dello spirito.
Da decenni però gli studiosi di comportamento e cognizione animale stanno contribuendo ad abbattere i pilastri dell’eccezionalità umana. Ad esempio esiste già un consenso abbastanza solido intorno al fatto che scimpanzé, alcune scimmie e alcuni corvidi posseggano quella proprietà nota come teoria della mente, ovvero la capacità di attribuire stati mentali (desideri, intenzioni, conoscenze, credenze) a se stessi o ad altri individui: “io so che tu sai che dietro quell’albero c’è del cibo, quindi mi comporto di conseguenza”. Gli esseri umani sono molto bravi a fare questo genere di inferenze e secondo lo psicologo e scienziato cognitivo Michael Tomasello questa capacità sarebbe alla base dello sviluppo di una coscienza di sé prima e della complessa cultura umana poi.
Ora due paper pubblicati su Science fanno un passo ulteriore. Il lavoro condotto da Martin Stacho della Ruhr-University di Bochum suggerisce che i corvi siano dotati di una struttura cerebrale, il pallio, che ha una neuroarchitettura simile a quella della neocorteccia dei mammiferi. L’esperimento condotto da Andreas Nieder dell’università di Tubingen invece dimostrerebbe che i corvi sono addirittura capaci di percepire in maniera cosciente gli stimoli sensoriali. L’attività neuronale collegata alla coscienza sensoriale è stata identificata proprio nelle aree del pallio.
In verde il pallio nel cervello di rettili, uccelli e umani. Evolution of the pallium in birds and reptiles, Erich Jarvis, 2009, Encyclopedia of neuroscience, Springer.
“Il pallio corrisponde alla parte più dorsale dell’encefalo” spiega a Il Bo Live Giorgio Vallortigara, professore di Neuroscienze all’Università di Trento. “Negli uccelli è organizzato in nuclei mentre nei mammiferi è organizzato a lamine, a strati. Per darle un’idea semplice è come se nel cervello degli uccelli i neuroni fossero organizzati come in una pizza e in quello dei mammiferi come in un sandwich”.
Le lamine del cervello dei mammiferi contengono colonne verticali di neuroni e all’interno di queste colonne i neuroni comunicano tra loro sia in senso orizzontale che verticale. “Ora i colleghi dell’università della Ruhr hanno mostrato che a dispetto dell’organizzazione nucleata si può riconoscere un’architettura simil-laminare e colonnare anche nel cervello degli uccelli” spiega Vallortigara.
Certi uccelli (come i corvi) hanno dimostrato di avere abilità cognitive paragonabili a quelle di certi mammiferi (come alcuni primati): sanno maneggiare strumenti, comprendere concetti astratti, stabilire nessi causali tra oggetti. Questo nonostante dimensioni del cervello solitamente molto diverse: più piccole quelle degli corvi, più grandi quelle dei primati.
“Sappiamo che i due gruppi tassonomici mostrano prestazioni simili in molti compiti cognitivi anche complessi” commenta Vallortigara. “Le dimensioni assolute del cervello hanno poco significato, perché in tutto il corpo gli uccelli hanno minimizzato il peso in funzione del volo. Bisogna guardare dentro al cervello, e quel che si è visto in anni recenti è che la densità dei neuroni nel cervello degli uccelli è più del doppio di quella dei mammiferi e i loro neuroni sono anche un po’ più piccoli. Questo significa che a parità di volume il cervello degli uccelli contiene molti più neuroni”.
La scoperta dell'architettura laminare nel cervello dei corvi ora per Vallortigara “sembra suggerire che a dispetto delle differenze nelle architetture del pallio ci siano dei vincoli costruttivi interni che fanno sì che i circuiti necessari al comportamento intelligente siano un po’ sempre i medesimi. Adesso sarà interessante verificare che cosa uccelli e mammiferi sappiano fare relativamente meglio o peggio: non si tratta, cioè, di stabilire una gerarchia assoluta, ma piuttosto di capire come l’architettura neuronale possa eventualmente favorire gli uni o gli altri in compiti diversi”.
Copertina di Science, 25 settembre 2020
L’esperimento realizzato all’università di Tubingen invece si è guadagnato addirittura la copertina di Science e secondo gli autori dimostrerebbe la presenza di attività neuronale cosciente in una popolazione specifica di neuroni del pallio degli uccelli.
“I corvi erano addestrati a rispondere con un movimento del capo quando dopo aver osservato un quadrato grigio ne compariva uno rosso” spiega Vallortigara. “Al contrario, se dopo il quadrato grigio ne compariva uno blu dovevano tenere la testa ferma”. In realtà il quadrato grigio veniva mostrato solo in metà delle prove e in quelle in cui non compariva la regola era rovesciata: il blu segnalava di dover muovere la testa, il rosso di tenerla ferma. “Il punto importante è che per poter rispondere correttamente nel momento della presentazione del quadrato colorato, gli animali dovevano ricordarsi se avevano visto oppure no un quadrato grigio”.
L’esperimento ha però un ulteriore grado di complessità: “in alcune prove il quadrato grigio viene presentato con un’intensità minima, al limite della discernibilità. Accadrà allora che in alcune prove il corvo avrà la sensazione di averlo veduto (e si comporterà di conseguenza) e in altre prove invece no”. I ricercatori hanno registrato con degli elettrodi l’attività neuronale del nidopallio, che era presente quando i corvi pensavano di aver visto il quadrato grigio ed era assente quando non lo distinguevano. “Nel periodo di tempo tra la presentazione del quadrato grigio e di quello colorato i neuroni sono attivi solo se gli animali “riportano” (con il corretto tipo di risposta) di aver visto il quadrato grigio”. Andreas Nieder ha definito quest’attività neuronale “un segno empirico della coscienza sensoriale nel cervello degli uccelli”.
Ma Vallortigara interpreta il risultato con più cautela. “Come può immaginare rimane un poco aperta la questione se questo equivalga a una percezione consapevole o al ricordo di una percezione tout court. Forse il corvo ricorda di aver percepito o di non avere percepito il quadrato, ma a questa percezione non è associato alcun “sentire”, alcuna qualità consapevole. Tuttavia la stessa obiezione si applica ovviamente ai medesimi esperimenti condotti sui primati non-umani. Se accettiamo che questi esperimenti genuinamente rappresentino un’evidenza della consapevolezza e non semplicemente di una sofistica memoria di lavoro (quella che ci consente di trattenere un’informazione per il tempo necessario all’esecuzione di un certo compito) allora dobbiamo concludere che i primati non-umani e i corvi manifestano entrambi consapevolezza”.
Un corvo porta a termine compiti che suggeriscono la capacità di stabilire nessi causali. Jelbert et al 2014, Plos One.
Entrare nella mente di un corvo non è compito semplice. Secondo il filosofo Thomas Nagel (autore nel 1976 dello storico articolo What is it like to be a bat? Come ci si sente a essere un pipistrello?) l’esperienza soggettiva è e resterà un tipo di conoscenza inaccessibile, un limite invalicabile anche per il più avanzato esperimento scientifico, quasi fosse una legge di natura incontrovertibile. Probabilmente l’esperimento perfetto per misurare e dimostrare la presenza di attività cosciente in un animale ancora non esiste, ma negli ultimi decenni si sono fatti molti passi avanti.
Secondo Nieder e i suoi colleghi dell'università di Tubingen la comprensione del grado di coscienza dei corvi può aiutarci capire anche quando per la prima volta sulla Terra sono comparsi esseri viventi coscienti. Primati e corvi potrebbero averla evoluta in maniera indipendente nei rispettivi rami evolutivi, oppure potrebbero averla ereditata da un antenato comune, vissuto circa 320 milioni di anni fa. Se così fosse, sarebbe già da un po’ che noi umani non siamo unici come crediamo.