La nuova presidente Halla Tómasdóttir. Foto: Cole Burston/Fortune
«Sono un’imprenditrice al di sopra dei partiti: fidatevi di me». È bastato questo semplice slogan, nemmeno poi così originale in questa stagione politica così densa di delusioni e disillusioni, dove la sola distanza dai partiti diventa una virtù, a spingere Halla Tómasdóttir, 55 anni, verso la presidenza dell’Islanda, seconda donna nella storia a ricoprire l’incarico (prima di lei, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir era stata la prima donna al mondo a essere eletta democraticamente alla presidenza di una nazione), proprio nell’ottantesimo anniversario dell’indipendenza dell’isola scandinava dalla Danimarca, ottenuta il 17 giugno del 1944. Tómasdóttir ha raccolto oltre il 34% dei voti ribaltando i pronostici della vigilia che vedevano favorita la ex prima ministra, l’ambientalista e leader del Movimento Verde-Sinistra Katrin Jakobsdottir, che si era dimessa dalla carica lo scorso aprile proprio per correre alle presidenziali, e che si è fermata al 25%. Più indietro (15%) l’altra candidata Halla Hrund Logadóttir, stimata scienziata, fondatrice dell’Arctic Innovation Lab, un laboratorio nato per incoraggiare l’innovazione aziendale e sociale in tutta la regione artica. Al quarto posto il primo uomo tra i candidati, l’attore comico ed ex sindaco di Reykjavík, Jón Gnarr, che ha ottenuto il 10% dei voti. Il prossimo 1° agosto Halla Tómasdóttir entrerà formalmente in carica, diventando la settima presidente della Repubblica d’Islanda, subentrando a Gudni Th. Johannesson, che dopo due mandati ha deciso di non ricandidarsi.
Ruolo strategico nell’Artico
Non che il ruolo di presidente sia di così grande peso nella politica islandese: i suoi compiti sono soprattutto “cerimoniali”, pur conservando potere di veto sulle leggi oltre alla possibilità di indire referendum su determinate materie. Ma l’elezione di Halla Tómasdóttir offre comunque lo spunto per andare a guardare più da vicino le dinamiche politiche che ruotano attorno alla poco abitata (appena 376mila abitanti, due terzi dei quali concentrati a sud, nella regione della capitale Reykjavik) nazione insulare nell’Oceano Atlantico, che si trova tra il nord del Regno Unito e il sud della Groenlandia, a lambire il Circolo Polare Artico. Una terra remota, ma non per questo meno importante da un punto di vista geopolitico, vista la sua posizione di “cerniera” tra Europa e Stati Uniti, e tappa fondamentale sulle rotte di navigazione nella regione artica. L’Islanda è membro della Nato (unico stato dell’Alleanza a non disporre di un esercito permanente, ma “terreno” indispensabile per addestramenti, esercitazioni, comunicazioni digitali e archiviazione dati) e del Consiglio Artico (dove siedono assieme anche Russia e Stati Uniti), ma non dell’Unione Europea, pur avendo aderito allo spazio Schengen, sulla libera circolazione delle persone. E nel 2013 è stato il primo paese europeo a sottoscrivere un accordo di libero scambio con la Cina, che all’epoca spingeva con decisione sul progetto della Polar Silk Road, la “Via della Seta Polare”, il che era stato visto da Stati Uniti e Unione Europea come l’ennesimo tentativo da parte di Pechino di allungare i suoi tentacoli su territori strategici sia da un punto di vista commerciale sia militare. I rapporti tra Islanda e Cina sono ancora cordiali (il presidente cinese Xi Jinping è stato tra i primi a congratularsi con la neo presidente Halla Tómasdóttir) ma restano focalizzati soprattutto su questioni commerciali (la Cina è il più grande mercato di esportazione dell’Islanda in Asia). «L’Islanda svolge un ruolo cruciale - scriveva la Nato lo scorso anno - nel collegare l’Europa al Nord America attraverso infrastrutture civili e fornendo collegamenti di comunicazione tramite cavi sottomarini. La salvaguardia di questa infrastruttura è stata a lungo una priorità in Islanda, soprattutto perché il paese dipende interamente dai cavi sottomarini per una connettività dati ininterrotta. Per quanto riguarda le reti informatiche, l’Islanda ha registrato un aumento senza precedenti degli attacchi per diversi anni consecutivi». Un team islandese ha appena partecipato, assieme alla Svezia, a Locked Shields, alla più grande esercitazione di difesa informatica al mondo, organizzata proprio dall’Alleanza Atlantica, con oltre 4.000 esperti provenienti da 40 paesi, con l’obiettivo di allenarsi a sventare attacchi informatici d’ogni genere conosciuto.
Ma l’Islanda è anche molto altro. Anzitutto, e dal 2008, è la nazione più pacifica del mondo, come risulta anche dall’ultima classifica del Global Peace Index, l’indice prodotto dall’Institute for Economics and Peace, che misura il “livello di pace” in 163 stati indipendenti sulla base di diversi fattori: livelli di violenza e criminalità, il numero di conflitti interni ed esterni e la militarizzazione (che in Islanda non c’è: i compiti di “difesa” sono affidati alla Guardia Costiera). Mentre Freedom House assegna sì alla nazione scandinava un buon punteggio (94 su 100), ma rileva anche diverse imperfezioni: le ingerenze sempre più frequenti delle lobby economiche sull’attività politica, alcuni casi di intimidazioni nei confronti di giornalisti (“colpevoli” di aver svelato comportamenti sospetti tra i dirigenti dell’azienda ittica Samherji), tracce di corruzione tra i funzionari pubblici, nonostante una severa legislazione, o comunque di palesi conflitti d’interesse. Eclatante, in merito a quest’ultimo punto, il caso che ha coinvolto l’ex ministro delle Finanze Bjarni Benediktsson, leader del partito indipendentista. Scrive Freedom House: «Nell’ottobre 2023 il difensore civico parlamentare ha rilevato che il ministro delle Finanze Benediktsson non era stato autorizzato a gestire la vendita a privati di azioni della banca Íslandsbanki perché suo padre era uno degli acquirenti. Il ministro si è dimesso dal suo incarico per la constatazione del conflitto di interessi, ma pochi giorni dopo ha assunto l’incarico di ministro degli Esteri». Lo scorso 9 aprile l’Althing, il Parlamento monocamerale islandese, ha nominato Bjarni Benediktsson primo ministro.
Il “paradosso nordico” e la violenza domestica
C’è un altro rapporto, del 2023, che colloca l’Islanda in testa tra le nazioni più virtuose: è il Global Gender Gap Report 2023, stilato dal World Economic Forum, dal quale si rileva che «sebbene nessun paese abbia raggiunto la piena parità, l’Islanda è l’unica nazione ad aver colmato oltre il 90% del divario di genere». Risultato encomiabile, peraltro raggiunto per oltre un decennio di fila, in materia di uguaglianze sul posto di lavoro. Ma che non mette nella giusta luce altri aspetti assai meno virtuosi, come gli alti tassi di violenze domestiche (Intimate Partner Violence, IPV), che gli studiosi descrivono come “il paradosso nordico”. Secondo uno studio della locale università (cominciato nel 2018 ma in continuo aggiornamento), il 40% delle donne islandesi ha subito abusi fisici o sessuali nel corso della propria vita. Il 24 ottobre 2023 decine di migliaia di donne islandesi (tra le quali l’allora primo ministro Katrin Jakobsdottir) hanno scioperato per protestare contro la violenza di genere e i divari retributivi che comunque persistono rispetto agli uomini.
Anche sulle questioni ambientali l’Islanda, terra di ghiaccio e fuoco, tra vulcani attivi (ce ne sono 32, e le eruzioni sono spesso assai violente), iceberg, cascate, geyser, spiagge di sabbia nera e terreni inondati di lava, è capofila tra le nazioni più virtuose e ambiziose al mondo: non soltanto la maggior parte dell’energia elettrica che consuma è generata da fonti rinnovabili, principalmente energia geotermica e idroelettrica, ma ha anche previsto entro il 2040 il conseguimento della “neutralità carbonica” (vale a dire il raggiungimento dell’equilibrio tra emissioni e assorbimento di carbonio), con 10 anni d’anticipo rispetto all’obiettivo stimato dall’Unione Europea. Un obiettivo che il governo islandese, al pari della popolazione assai sensibile sull’argomento, intende raggiungere anche con soluzioni tecnologicamente all’avanguardia. E proprio in Islanda, sull’altopiano lavico di Hellisheiði, è stato appena aperto il primo impianto al mondo su scala industriale in grado di aspirare l’anidride carbonica dall’aria e a immagazzinarla nel sottosuolo. L’impianto, chiamato Mammoth, della società svizzera Climeworks (che punta ad aprirne molti altri), è costato più di 100 milioni di dollari e dovrebbe essere in grado di “catturare” e rimuovere 36.000 tonnellate di CO2 ogni anno.