Un tempo diffusa su tutto il territorio nazionale, negli anni Settanta è arrivata a un passo dall’estinzione nel nostro paese. Oggi la lontra di fiume europea (Lutra lutra) sta riconquistando il suo areale grazie agli sforzi di conservazione promossi negli ultimi decenni, ma la sua situazione è ancora precaria, tanto che per l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) la lontra in Italia è ancora classificata come “in pericolo” di estinzione. Ne abbiamo parlato con Anna Loy, docente di zoologia all’università del Molise, che dal 1985 studia le lontre italiane.
Scaltra, schiva ed elegante, la lontra di fiume è un mustelide dalle abitudini semi-acquatiche. «Il suo habitat preferenziale sono fiumi e laghi, e questi mammiferi sono predatori in cima alla catena alimentare: si nutrono principalmente di pesci, ma sono abbastanza opportuniste e non disdegnano piccoli anfibi, crostacei e altri invertebrati» spiega a Il Bo Live Anna Loy. «Ma soprattutto le lontre sono ottimi bioindicatori»: detto in parole povere, la loro presenza ci indica un buono stato di salute dell’ambiente e in particolare delle acque dei fiumi.
Un passato travagliato
La storia di declino e ascesa della lontra europea è infatti legata a doppio filo ad alcuni composti organici altamente inquinanti: «i policlorobifenili (PCB), composti organici persistenti e con un alto livello di tossicità» ricorda Loy. «Fino agli inizi del XX secolo la lontra era diffusa abbondantemente su tutto il territorio italiano ed europeo. A partire dagli anni Quaranta, però, è andata incontro a un rapido e drammatico declino per la concomitanza di tre fattori principali: l’inquinamento dei corsi d’acqua con i policlorobifenili; la distruzione dell’habitat e la cementificazione degli argini; la caccia» racconta Loy, che è co-chairs dell’IUCN-SSC Otter Specialist Group: il gruppo internazionale di ricercatori che si occupa della conservazione delle lontre e delle valutazioni IUCN.
«Anni fa le lontre erano oggetto di una vera e propria persecuzione diretta: venivano cacciate per la loro pelliccia pregiata e perché entravano in competizione con i pescatori» ricorda Loy. All’alba della seconda guerra mondiale, infatti, la lontra finì nella lista degli animali nocivi con il regio decreto del 5 giugno 1939. Insieme a lei nella lista c’erano il lupo e tantissimi altri animali, dalle volpi al gatto selvatico, passando per i rapaci diurni e notturni. A tutti loro si poteva sparare a vista. «Fu solo negli anni Settanta e Ottanta che ci si rese conto che la popolazione italiana di lontra era stata ridotta al lumicino: a nord era praticamente scomparsa e restavano confinati a sud un centinaio di esemplari» continua Anna Loy, che a questo mammifero ha dedicato oltre 35 anni di ricerche insieme al gruppo di Lontra Italia - Italian Otter Network. «I censimenti condotti nel 1982 in Italia meridionale e poi nel 1984-1985 in tutta la penisola diedero scarsi risultati: sui 1300 siti censiti in tutt’Italia solo il 6% ospitavano ancora questo mustelide e, in totale, si contavano 100-130 lontre nel nostro paese». Siamo arrivati a un passo dall’estinguere la lontra dalla nostra penisola, prima di invertire la rotta.
Nel 1971, con il decreto Natali, la lontra è stata eliminata dall’elenco degli animali nocivi, insieme ai suoi compagni di sventura. Ma solo nel 1992 con la legge n.157 è stata riconosciuta come specie particolarmente protetta. Nel frattempo però «nel 1983 è arrivata la messa al bando dei policlorobifenili (PCB) e con la Direttiva Habitat 92/43/CEE e le raccomandazioni della Convenzione di Berna, finalmente la popolazione europea – e italiana – di lontra ha ricominciato a recuperare. Anche se, per i parametri dell’IUCN, erano classificate come “in pericolo critico” di estinzione» ricorda Anna Loy.
La lontra oggi
Oggi la situazione è molto migliorata e la popolazione italiana di lontre è in espansione, ma non possiamo dirci sollevati: le lontre italiane sono ancora troppo poche. E infatti, sebbene fuori pericolo critico, sono comunque classificate come “in pericolo”.
«Secondo le ultime stime in Italia meridionale – tra Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo – oggi ci sono circa 800-1000 individui: è un traguardo enorme, eppure non basta. Una popolazione minima vitale – cioè una popolazione che garantisca un futuro alle lontre italiane – dovrebbe essere di circa 5400 individui: cinque volte quella attuale! Solo al raggiungimento di questo “numero di sicurezza” potremmo ritenerci soddisfatti» avverte Anna Loy, che ricorda che «in gran parte d’Italia la lontra è ancora una grande assente. Manca praticamente in tutta l’Italia centro-settentrionale, fatta eccezione per Friuli e Alto Adige: qui le lontre sono arrivate agli inizi degli anni 2000 dalla Slovenia e dall’Austria, non dal Sud Italia».
Un mare di lontre
Stimare la popolazione italiana di lontre non è affatto facile. «Sono animali elusivi: si fanno vedere di giorno solo in oasi e riserve dove sono protette da quarant’anni, come all’Oasi di Persano in Campania. Perciò catturarle e seguirle con radiocollari è molto difficile e di solito infatti ci affidiamo ai segni di presenza, come i loro tipici escrementi: gli spraint, che hanno una forma e un odore inconfondibile, e che vengono posizionati lungo le rive in punti ben evidenti per marcare il territorio» spiega Loy. «Gli spraint sono facili da trovare e ci offrono anche un altro vantaggio: possiamo estrarre il Dna e arrivare un riconoscimento individuale. Con un’indagine genetica si possono ottenere anche stime più precise, e persino scoprire di più sul comportamento delle lontre italiane».
Proprio le analisi genetiche condotte sulle lontre italiane hanno consentito di scoprire un comportamento di espansione molto particolare. «Siamo soliti pensare che le lontre si spostino via terra, eppure ogni tanto utilizzano il mare: sono alo-tolleranti, cacciano anche in mare di tanto in tanto, e una volta rientrate in acqua dolce si ripuliscono la pelliccia dal sale. Ma laddove arrivano al mare, probabilmente si muovono lungo costa anche per spostarsi in altri bacini. E la genetica ci ha aiutato a dimostrarlo: in Basilicata il gruppo di Domenico Fulgione ha dimostrato che le popolazioni di lontra alle foci dei fiumi sono più imparentate tra loro rispetto a quelle che vivono nel tratto alto dei diversi fiumi» racconta Loy.
Nessuna reintroduzione
Visto il rapido declino della lontra europea in tutt’Europa, «negli anni Novanta si cominciò a pensare a dei piani di reintroduzione in natura» racconta Loy. «Le lontre sono davvero difficili da far riprodurre in cattività, ma un allevamento inglese sembrava esserci riuscito e in diversi paesi europei – Italia compresa – la reintroduzione sembrava possibile». Poi però qualcosa è andato storto: «ci si è accorti che le lontre europee dell’allevamento inglese erano state incrociate con una sottospecie asiatica, la Lutra lutra barang. Perciò tutti i progetti di reintroduzione – almeno nel nostro paese – furono immediatamente bloccati dall’IUCN, dall’Ispra e dal Ministero dell’Ambiente. Le lontre che dovevano essere immesse in Italia, come le due coppie destinate al Parco nazionale del Gran Paradiso non sono mai state rilasciate e il parco ha riconvertito il progetto in un centro di educazione, per sensibilizzare la comunità e prepararla a un futuro ritorno naturale di questo animale sulle Alpi. Il suo ritorno nel nostro paese oggi è un processo del tutto naturale».
Vecchi problemi, nuove minacce
Nonostante i segnali incoraggianti, restano i problemi di sempre: la distruzione dell’habitat e della vegetazione ripariale la cementificazione degli argini, l’inquinamento, e persino la competizione con i pescatori. Ma ai “soliti noti” si aggiungono anche nuove minacce: gli investimenti stradali, il cambiamento climatico e persino le centrali idroelettriche. «Lungo le strade si consuma una strage silenziosa. Tra il 2009 e il 2019 abbiamo contato ben 75 segnalazioni di lontre morte sull’asfalto delle strade: più di 7 lontre all’anno. E questa è solo la punta dell’iceberg» spiega Loy. «Il fenomeno è sottostimato: riceviamo segnalazioni solo da cittadini che volontariamente ci inviano la segnalazione e anzi invitiamo tutti a farlo nella sezione apposita del nostro sito www.therio.unimol.it. E inoltre, le lontre morte conteggiate sono solo quelle che muoiono sul colpo, che restano lì, ben visibili. Ma non sappiamo quante invece muoiono dopo, chissà dove, per i danni riportati dall’impatto. Per fare un esempio, in Friuli dove le lontre appena tornate per un fenomeno di espansione naturale dalla Slovenia, su una popolazione di circa 15 individui, 7-8 sono state trovate investite nel giro di 3-4 anni».
A questo si aggiunge l’intensificarsi degli eventi estremi e della loro frequenza per via dei cambiamenti climatici. «Nei lunghi periodi di siccità le lontre rischiano di morire di fame, senza pesci di cui alimentarsi. Mentre una piena dovuta ad una forte alluvione comportano la perdita dell’intera cucciolata, se i cuccioli sono ancora piccoli e non sanno nuotare. Ogni lontra utilizza fino a 30 tane nella vegetazione ripariale e se le tane vengono sommerse in questo momento cruciale per la nuova generazione, l’intera stagione riproduttiva fallisce» continua Anna Loy. «Infine c’è da tener conto dell’impatto cumulativo di più centrali idroelettriche, seppur piccole, installate lungo un singolo corso fluviale».
La strada per decretare la lontra salva dall’estinzione in Italia è ancora lunga, ma Anna Loy è già al lavoro per rendere possibile un futuro in cui questi animali siano compresi: «Stiamo mettendo a punto una strategia nazionale e internazionale per le Alpi, con Francia Austria Svizzera e Slovenia, e con i parchi italiani. Il Piano d’azione nazionale per la conservazione della Lontra (PACLO), ormai pubblicato 10 anni fa, va sicuramente aggiornato: bisogna tener conto delle nuove minacce emergenti e delle nuove evidenze scientifiche. Per esempio dovremmo proteggere le coste e creare corridoi ecologici interni per facilitare lo scambio genetico tra popolazioni e mitigare l’impatto della rete viaria». Il prossimo obbiettivo per coordinare gli sforzi di conservazione è il congresso mondiale dell’Otter specialist group dell’IUCN rinviato per via della pandemia al 2022.