SCIENZA E RICERCA

Mi muovo dunque penso dunque sono

Cronaca di una scoperta che ha corroborato con la prima prova empirica una vecchia (relativamente) teoria della mente, fondata sul movimento. È un giorno qualsiasi del 1991. Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo –  Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese – sono lì, all’università di Parma, nel loro laboratorio di ricerca. Senza averlo programmato osservano, come in un gioco di specchi, un macaco che a sua volta osserva uno di loro. Il ricercatore osservato dal macaco sgranocchia le noccioline americane che, in genere, sono destinate allo stesso macaco. Rizzolatti e il suo gruppo sentono i loro strumenti attivarsi: l’oscilloscopio sta registrando per una scarica molto particolare di neuroni che “sparano” nel cervello del macaco. I neuroni che “sparano” sono quelli che si attivano quando la scimmia compie un movimento, tocca un oggetto, compie un’azione: eppure il macaco se ne sta lì fermo, non sta toccando alcun oggetto, non sta compiendo alcuna azione. Giacomo Rizzolatti e i suoi collaboratori si chiedono se ci sia una correlazione tra quei neuroni del moto che “sparano” anche se il macaco non si muove e quel ricercatore che sgranocchia arachidi. Decidono di vederci più chiaro, analizzano a fondo la scarica, riproducono più e più volte le giuste condizioni e realizzano la principale scoperta degli ultimi decenni nel campo delle neuroscienze: la scoperta dei neuroni specchio.

Neuroni dell’apparato motorio che si attivano sia quando si compie un movimento sia quando si vede compiere un movimento. Questa scopertasostiene Carmela Morabito in un libro, Il motore della mente (2020; pag. 166; euro 18), da poco pubblicato con l’editore Laterza è la prima prova empirica che consolida il “paradigma motorio”. La teoria secondo cui la mente umana (e non solo) si fonda sul movimento. In questa agile eppure densissima opera Carmela Morabito, storica della psicologia e delle neuroscienze cognitive e docente presso l’Università di Roma Tor Vergata, ci offre una ricostruzione, per molti versi spiazzante, del «movimento nella storia delle scienze cognitive». Una storia che recupera l’”errore di Cartesio, uno dei pionieri della scienza moderna, che aveva diviso (erroneamente, appunto) il corpo dalla mente. La ricostruzione che Carmela Morabito fa di questa storia è spiazzante per due motivi. Il primo ha a che fare con la percezione che la gran parte dei profani e una buona parte di esperti ha della mente: un’entità capace delle funzioni cognitive più alte e che poche relazioni ha con il copro. Tant’è che può essere ricostruita in maniera artificiale con una materia diversa da quella biologica, fatta di circuiti al silicio.  Questa percezione ritiene che i cervelli non sono altro che macchine, sia pure molto sofisticate.

Il paradigma motorio ci dice invece, racconta Carmela Morabito, che al contrario i computer sono (almeno finora) cervelli imperfetti. Perché non hanno un corpo e delle gambe: ovvero non hanno “il motore della mente”. Perché – questa è la tesi che attraversa fin dall’inizio il libro – è col corpo (non solo col cervello) e con le sue capacità di movimento e di azione che noi pensiamo e conosciamo. Il movimento è azione. E l’azione è una “melodia cinetica” attiva e finalizzata, ovvero un «insieme strutturato di movimenti coordinati in funzione di un fine specifico». Per questo il movimento è all’origine e ha tuttora «un ruolo fondamentale e basilare nello sviluppo della cognizione e della conoscenza». Ne deriva che la mente (cervello più corpo) non si limita a pianificare i movimenti. La mente è “formata” dai movimenti. Pensare equivale a decidere quale movimento realizzare. L’azione e non la sola rappresentazione (funzione che Cartesio attribuiva alla res cogitans) è all’origine della cognizione.  In sintesi: noi pensiamo col nostro corpo. Ma non un corpo indipendente dall’ambiente. Bensì con un corpo perennemente inserito e in relazione con l’ambiente. Individuo e ambiente sono un tutt’uno. Ma l’ambiente nel quale ci muoviamo è uno spazio a tra dimensioni. E noi per viverre in questo ambiente dobbiamo saperci muovere. Ecco perché il movimento è alla base della mente. Questa teoria inizia a nascere già con le prime critiche al dualismo cartesiano. Ma inizia a prendere forma in una prospettiva darwiniana (il cervello e la mente frutto dell’evoluzione biologica) nella seconda parte dell’Ottocento. Tra i primi a collocare «il corpo e le sue capacità di movimento al cuore dell’indagine della mente», scrive Carmela Morabito, è, tra gli anni ‘60 e ’70 del XIX secolo, Alexander Bain. Dopo di lui il “paradigma motorio” è reso sempre più articolato e sofisticato da una quantità di ricercatori e di scuole che Carmela Morabito ricostruisce in maniera molto puntuale. Ma le teorie secondo cui il cervello nasce per rendere sempre più melodica, ovvero armoniosa ed efficiente, la capacità del corpo di muoversi nell’ambiente restano tali finchè, appunto, non trovano con Rizzolatti e il suo gruppo una verifica empirica. È da questo momento in poi che la nostra visione del cervello e della mente (e del movimento) cambia. Spiazzandoci, appunto. Ma il testo di Carmela Morabito ci offre una seconda e ancor più profonda occasione di spiazzamento. Perché, scrive: «Concepire il cervello come una macchina biologica presuppone l’idea che esso sia il frutto dell’evoluzione: l’evoluzione biologica naturalmente, ma nel caso dell’uomo anche l’evoluzione storica e culturale, in uno stretto intreccio co-evolutivo tra questi tre tipi di evoluzione allo scopo fondamentale di predire le conseguenze dell’azione, ovvero le conseguenze dei movimenti nello spazio e delle interazioni con l’ambiente». Questo significa, né più e né meno, iniziare a costruire una teoria naturale della mente nell’ambito dell’evoluzione darwiniana. La nostra mente è frutto della biologia, della storia che si dipana nel tempo profondo e nella cultura. Ma significa anche che l’evoluzione biologica e quella culturale – entrambe intrise di storia – non sono dimensioni indipendenti e neppure autonome. La nostra biologia e la nostra cultura sono la stessa cosa. E nascono entrambe dalla nostra necessità di muoverci nell’ambiente. E di comprendere come gli altri si muovono nell’ambiente. In definitiva, le nostre capacità cognitive così come il nostro stesso essere sociali con forti capacità di empatia – le nostre relazioni sociali – sono, a ben vedere, figli delle nostre gambe. Il “penso dunque sono” di Cartesio diventa, più correttamente: “mi muovo dunque penso dunque sono» dei moderni costruttori del paradigma motorio.

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