SOCIETÀ

Un milione e mezzo di bambini siriani rischia di restare senza scuola

Parliamo dei bambini: un milione e mezzo di bimbi siriani, gran parte dei quali hanno finora vissuto soltanto nella guerra, essendo nati dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2011, esattamente nove anni fa, rischiano di restare senza scuola.

E’ difficile perfino immaginarseli tutti insieme, guardando la regione di Idlib da lontano, perché a scendere più nel dettaglio si vedrebbero ben nitide le sofferenze, le privazioni, le violenze d’ogni genere, la fame, l’inaccettabile igiene dei campi profughi dove sono costretti a vivere, a volte con qualche parente, spesso senza. D’istruzione (e mai come in questo caso l’apostrofo è fragilissimo) neanche a parlarne.

L’ultimo rapporto di Save the Children, appena pubblicato, prova a tracciare un quadro della situazione scolastica. Soltanto negli ultimi tre mesi di bombardamenti (russi e siriani da un lato, turchi dall’altro) nella Siria nord-occidentale sono state abbandonate (perché danneggiate, distrutte o in aree troppo pericolose perché possano essere accessibili ai bambini) 217 scuole, al ritmo di oltre 2 al giorno. Complessivamente risultano inutilizzabili 570 scuole sulle 1062 totali di Idlib, più della metà. Altri 74 edifici scolastici sono al momento utilizzati come rifugi per le famiglie che fuggono dal conflitto.

Bombardamenti pianificati sulle scuole

Un’escalation di violenza che sta provocando un colossale esodo di persone (in 9 anni di guerra 384 mila morti e 11 milioni di profughi). Nell’ultimo anno solare (tra febbraio 2019 e febbraio 2020) Save the Children e la partner Hurras (Syrian Child Protection Network), hanno registrato 92 “incidenti” in cui una scuola o un istituto sono stati attaccati, causando la morte di oltre 251 bambini nel solo 2019, oltre al ferimento di centinaia di altri. I bambini rimasti uccisi nei primi due mesi del 2020 sono almeno 30. Come se non si trattasse di bersagli occasionali, non “danni collaterali”, ma target intenzionali. Al punto che molti dei genitori si sono rivolti all’associazione Hurras per chiedere di non aprirne più in determinate aree perché “hanno paura di attirare più violenza”: meglio che le lezioni “si svolgano in luoghi nascosti, come grotte e scantinati, oppure in strutture mobili, più difficili da colpire”. Save the Children ha da poco trasformato quattro autobus in aule mobili dipinte con colori vivaci, portando così la scuola anche ad alcuni dei bambini sfollati. Ottanta bambini alla volta: è una goccia, ma almeno è una speranza.

Sonia Khush, direttore dell’emergenza in Siria per Save the Children, commenta con amarezza i dati contenuti nel rapporto: «Le scuole dovrebbero essere off limits anche nel conflitto più aspro. Invece in Siria, più volte, sono state in prima linea. Dopo nove anni di violenze disumane e promesse non mantenute, nessuno sa ancora cosa accadrà. Ma i bambini di Idlib e di tutta la Siria dovrebbero avere la possibilità di costruire un futuro migliore: la semplice sopravvivenza non è sufficiente. È fondamentale che continuino a imparare e ad andare a scuola, anche in mezzo a questo caos. Una scuola offre più dell'istruzione. Offre stabilità e routine che sono cruciali per la salute mentale e il recupero dei bambini, soprattutto per chi è stato costretto a vivere così tanto orrore e così tante perdite. Dobbiamo fare in modo che tutte le scuole siano protette. E abbiamo bisogno di donatori per aumentare i finanziamenti e fare in modo che i bambini possano continuare ad avere una scuola».

Un appello che segue quello lanciato pochi giorni fa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): «Da quando il conflitto è iniziato nel marzo 2011, uno ogni due uomini, donne o bambini sono stati costretti, spesso più di una volta, alla fuga. Oggi, quella siriana è la popolazione rifugiata di dimensioni più vaste su scala mondiale». Profughi in fuga non soltanto verso la Turchia, ma anche in Libano, Giordania, Egitto, Iraq. Qui un link per sostenere Save the Children nei suoi interventi in emergenza in Siria. Questo invece è per le iniziative dell’UNHCR.

Timori di una “diffusione catastrofica” del Covid-19

Ma l’emergenza Siria non riguarda soltanto i bambini: qui, è bene ricordarlo, è in corso una delle più colossali emergenze umanitarie della storia. L’ultima stima, diffusa dalla rivista Vita, parla di 5,6 i milioni di siriani registrati come rifugiati, la maggior parte di loro nei paesi vicini (Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto), e 6,2 milioni di sfollati interni. Si calcola dunque che oltre 11 milioni di persone, di cui il 40% bambini, non ricevano più cure mediche. Più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza in Siria è fuori uso, perché danneggiato nei bombardamenti. Le Nazioni Unite hanno calcolato che oltre l’83% della popolazione vive ormai stabilmente in condizioni di grave povertà.

E, disastro nel disastro, ora ci sarà da fronteggiare anche l’emergenza coronavirus. Il regime di Assad nega qualsiasi contagio e sostiene che finora non si sono registrati casi, ma sulla qualità dei controlli, oltre che delle comunicazioni, c’è un enorme punto interrogativo. A Damasco sono state comunque chiuse le scuole in via precauzionale. Ma è evidente che se il Covid-19 dovesse arrivare fino alla provincia di Idlib si rischierebbe lo sterminio nei campi profughi, abitati da oltre tre milioni di persone che vivono all’aperto, senza cure, senza cibo, senza servizi igienici, ormai senza difese immunitarie. Una battaglia già persa e che nessuno, a quanto pare, ha voglia di combattere. L’Ansa riporta che le autorità siriane hanno avviato corsi per gli addetti alle sepolture con l’obiettivo di prepararli a come inumare evitando i contagi.

L’accordo Putin-Erdogan violato dai ribelli

Il conflitto siriano è esploso nel 2011 con una serie di proteste popolari dei sunniti contro il regime sciita di Bashar al-Assad. Proteste che sono poi degenerate in rivolta armata, con l’avvento di formazioni terroristiche (come l’Isis) che puntavano non soltanto alla cacciata di Assad, ma alla creazione di uno Stato islamico sunnita indipendente. Nel 2015 al fianco di Assad si è schierata la Russia. I ribelli sunniti, gli ultimi rimasti, sono invece sostenuti dalle forze turche, che però sono impegnate anche a combattere i curdi, nel nord-est della Siria: perché l’obiettivo di Erdogan resta realizzare un protettorato turco (ma che fine faranno i curdi-siriani? Pulizie etniche?). I ribelli sono asserragliati proprio nella provincia di Idlib ed è quello il principale bersaglio dei continui bombardamenti delle forze siriane e russe (e iraniane). Raid indiscriminati che colpiscono villaggi, scuole, mercati. I civili fuggono, lasciano le loro case e i campi profughi per cercare di trovare riparo a ridosso del confine con la Turchia. Ed è proprio tra Idlib e il confine siriano-turco che si stanno affollando oltre tre milioni di profughi. Erdogan li blocca perché non vuole che vadano ad aggiungersi ai 3,6 milioni di profughi già presenti in Turchia. Ed è per questo, per ottenere (pretendere) il sostegno dell’Europa in Siria, che ha spinto i profughi verso la Grecia (oggi sono circa 40mila, in una situazione che definire drammatica è riduttivo).

In Siria l’epicentro della tensione è sempre nella regione di Idlib, dove da alcuni mesi si affrontano gruppi di ribelli sostenuti dalla Turchia e truppe dell’esercito siriano con il sostegno di Mosca e di Teheran. Turchia e Russia hanno recentemente trovato un accordo per pattugliamenti congiunti nella zona di Idlib per garantire il cessate il fuoco. Un accordo fragilissimo: è di poche ore fa la notizia che gruppi di terroristi legati ad Al Qaeda nel nord-ovest della Siria hanno ostruito con cumuli di terra l’autostrada Latakia-Aleppo, un’arteria strategica al centro dell’accordo tra Russia e Turchia (era previsto un corridoio di sicurezza di 6 chilometri lungo l’autostrada). Il rischio di ulteriori scontri e azioni terroristiche è tornato altissimo.

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