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In Salute. Bere alcol in gravidanza, le conseguenze su chi nasce

“Forse potrei esserci anch’io per un saluto, però niente alcol”. Il messaggio, arrivato tra i molti che affollano le chat di Whatsapp in questo periodo dell’anno, è quello di una giovane in attesa di un figlio che, accettando l’invito a uno spritz natalizio, declina in partenza aperitivi di ogni sorta. Una regola base – si dirà – in gravidanza, eppure ci sono donne che continuano ad assumere alcol anche durante la gestazione. A causa di questo comportamento bambini e bambine possono nascere con problemi di tipo fisico, mentale e comportamentale, in termini tecnici con disturbi dello spettro feto-alcolico (Fetal Alcohol Spectrum Disorders - Fasd).  

Riconoscere queste patologie spesso non è facile, tuttavia la diagnosi e il trattamento precoci sono fondamentali. Per questa ragione sono state recentemente pubblicate le prime linee guida italiane (Italian Guidelines for the diagnosis and treatment of Fetal Alcohol Spectrum Disorders), una raccolta di contributi scientifici che trattano temi come la prevenzione, l’epidemiologia, i criteri diagnostici, gli aspetti clinici, i trattamenti disponibili, frutto del lavoro di un gruppo interdisciplinare composto da esperti del Cnr-Ibbc, dei dipartimenti Materno-infantile e Scienze urologiche e Medicina sperimentale dell’università "La Sapienza" di Roma e dell’Istituto superiore di Sanità.

“Sono state redatte molte linee guida nel mondo – spiega Luigi Tarani che fa parte del gruppo di lavoro ed è pediatra genetista all’università “La Sapienza” – e noi finora ci siamo sempre riferiti a quelle prodotte dall'Istituto di medicina degli Stati Uniti, applicate a popolazioni etnicamente molto diverse, dagli indiani Navajo, ai bambini del Sudafrica, ai bambini caucasici. La prima esigenza dunque è stata quella di focalizzarci sui bambini italiani, prendendo in esame l'abitudine del bere delle madri. Nei Paesi che ho citato si beve principalmente nel fine settimana, quindi alte dosi concentrate in pochi giorni (binge drinking), in Italia invece uno, due bicchieri di vino a pasto. Questo comporta quadri clinici diversi, perché nel primo caso si verificano le forme più gravi, quando invece il bere è diluito si manifestano le forme più lievi”. Le nuove linee guida vogliono essere dunque il primo passo di un percorso da condividere a livello nazionale con chi lavora nel settore. 

Disturbi dello spettro feto-alcolico: quattro forme cliniche diverse

“I disturbi dello spettro feto-alcolico – argomenta il docente – sono un insieme di patologie che comprende quattro forme cliniche diverse, di gravità differente. I feti sono concepiti senza problematiche genetiche, ma durante la gravidanza subiscono un insulto fisico da un teratogeno qual è l'alcol che ne altera lo sviluppo fisico e mentale".

Evitare il consumo di alcol durante la gravidanza, dunque, è fondamentale per il benessere della madre e del feto. Nonostante ciò circa il 10% delle donne nel mondo continua a bere durante i nove mesi che precedono il parto e l’abitudine è più diffusa nella Regione europea dell’Oms, con un tasso stimato di circa il 25%. A ciò si aggiunga che in più del 25% dei casi il consumo di alcolici avviene in modalità binge drinking, che è la forma di assunzione più dannosa, soprattutto nel caso dei disturbi dello spettro feto-alcolico. Secondo recenti stime dell'Oms, il 65,5% delle donne in età fertile nella regione europea assume alcol e, considerando che il 42% delle gravidanze non è pianificato, il rischio che ne deriva durante le prime fasi della gestazione è molto elevato. I numeri del resto sono in linea con il Global Status Report on Alcohol and Health, secondo cui l’Europa presenta i tassi più elevati di consumo di alcol. 

A livello mondiale la prevalenza stimata di Fasd è di 7,7 casi per 1.000 individui, è più elevata nella regione europea dell'Oms (19,8 per 1.000) e più bassa nella regione del Mediterraneo orientale dell'Oms (0,1 per 1.000). Il numero di casi varia poi da Paese a Paese: i tassi più alti si registrano in Sudafrica, Croazia, Irlanda, Italia e Bielorussia, mentre alcuni Paesi del Medio Oriente non riportano alcun caso. Gli autori dello studio sottolineano, tuttavia, che i dati sono spesso eterogenei e sottostimati.

Intervista integrale a Luigi Tarani, pediatra genetista all'università "La Sapienza" di Roma. Servizio e montaggio di Monica Panetto

Disturbi non facilmente diagnosticabili

“Le manifestazioni cliniche – approfondisce Tarani – nella forma più grave comprendono un difetto di crescita importante, microcefalia dunque un difetto di crescita del sistema nervoso centrale con un successivo ritardo mentale, e una facies tipica con segni clinici riconoscibili: questa è la forma completa e la più facilmente diagnosticabile”. Si parla in questo caso di sindrome feto-alcolica (Fetal Alcohol Syndrome - FAS) ed è l'aspetto più grave dello spettro. “Esistono però delle forme in cui i segni fisici non sono così evidenti: sono presenti soltanto disturbi neurologici e comportamentali, o malformazioni congenite, quindi cardiologiche, nefrologiche, scheletriche. Questo è il gruppo di pazienti più difficile da identificare, perché non esiste un test biochimico o genetico che confermi il sospetto clinico”. 

Tarani spiega che la diagnosi in questi casi avviene per esclusione, scartando innanzitutto sindromi genetiche simili. I segni facciali per esempio sono comuni anche alla sindrome Aarskog-Scott o di Dubowitz; i tratti clinici a volte sono molto sfumati, e il bambino o la bambina viene congedato rapidamente come iperattivo, senza ulteriori approfondimenti: i neuropsichiatri, però, sostengono che l’iperattività di chi soffre di un disturbo dello spettro feto-alcolico sia diversa da chi non è affetto da questa patologia.   

“L’elemento clinico fondamentale è di tipo anamnestico e consiste nel poter confermare che la madre in gravidanza ha assunto alcol, ma ciò non è affatto facile. Una quota di questi bambini sono adottati dai Paesi dell'Est e dunque troviamo informazioni soltanto nei documenti relativi all'adozione. Talvolta, invece, sono le madri stesse a confermare di aver assunto alcol in gravidanza”. Il docente aggiunge che questa condizione non è facilmente diagnosticabile anche perché non si conosce la soglia oltre la quale l'alcol causa il danno. 

Modalità di trattamento integrate

La terapia viene stabilita di volta in volta in base al quadro clinico e alle singole malformazioni congenite identificate: nessun intervento, si legge in uno dei contributi delle linee guida, è risultato efficace in tutti i sintomi e in tutti gli ambiti. Di conseguenza, la fisiopatologia dei disturbi dello spettro feto-alcolico richiede una valutazione e un trattamento individualizzati, utilizzando un approccio che combina diverse modalità di trattamento. Si deve considerare inoltre l’alto tasso di comorbilità, che può contribuire a ritardare la diagnosi e il trattamento. Una delle patologie più frequenti è l'Adhd, diagnosticata fino al 94% degli individui con Fasd. E c’è anche un rischio maggiore di andare incontro a depressione. 

“Viene consigliata soprattutto una riabilitazione con neuropsichiatra infantile e psicologo – osserva il docente –, perché a volte i pazienti hanno bisogno sia di farmaci per l'iperattività che di sedute psicanalitiche, che possono durare anni, proprio per limitare i danni dei difetti specifici delle funzioni cognitive, esecutive, di memoria, e per contenere le disabilità secondarie che ne derivano. Questi bambini infatti, una volta diventati adolescenti, manifestano comportamenti incongrui, aggressività, essi stessi possono andare incontro all'alcolismo”. 

Risultano difficili da gestire a causa di comportamenti problematici e le relazioni familiari sono tese. Per questo le famiglie hanno bisogno di sostegno per gestire i rapporti conflittuali con i figli e di servizi sanitari in cui i figli possano essere seguiti per i loro problemi. L’associazione Aidefad nasce proprio per fare una corretta informazione sui Fasd e dare supporto ai pazienti e ai loro familiari. “In Italia la sindrome alcolico fetale è classificata come malattia rara, e ciò consente l'attribuzione di un codice di esenzione grazie al quale i pazienti possono usufruire di vantaggi e benefici, tra cui anche l’accesso alla legge 104”.

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