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In Salute. Hikikomori: “Un’espressione culturale di disagio psichico”

Nella Regione Europea dell’Oms, più di 143 milioni di persone vivono con qualche forma di disturbo mentale, pari al 16% della popolazione, ma bambini e adolescenti sono tra le popolazioni più vulnerabili. Un adolescente su cinque è alle prese con problemi di salute mentale e il suicidio è la principale causa di morte tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Il 15% di chi è in fase adolescenziale riferisce di aver subito atti di cyberbullismo e le ragazze riportano livelli di benessere mentale inferiori rispetto ai ragazzi. Sono questi alcuni dei dati contenuti nell’European Health Report 2024, pubblicato pochi giorni fa dall’Organizzazione mondiale della Sanità. 

Il benessere mentale – si legge nel rapporto – costituisce un aspetto cruciale per la salute generale, soprattutto per gli adolescenti in fase di crescita. Per questo documenti come l’European Programme of Work 2020–2025: United Action for Better Health e WHO European framework for action on mental health 2021–2025, sottolineano l’importanza di promuovere la salute mentale durante tutto il corso della vita, ma con un’attenzione particolare rivolta al periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. 

Negli ultimi anni, in particolare, la pandemia da Covid-19 sembra aver inciso sulle condizioni di salute mentale. La prevalenza dei disturbi depressivi nella popolazione della Regione Europea, per esempio, è aumentata dal 4,6% nel 2019 al 5,2% nel 2021; inoltre, molti Stati membri  hanno riferito un aumento delle richieste d’aiuto tra i più giovani, ma anche un prolungamento dei tempi di attesa per le cure. Le restrizioni adottate per controllare la diffusione del virus Sars-CoV-2, tra cui la chiusura delle scuole e le misure di allontanamento sociale, hanno interrotto le interazioni tra pari e altre esperienze cruciali per lo sviluppo, con potenziali conseguenze a lungo termine per la salute mentale e lo sviluppo socio-emotivo.

La salute mentale è un tema che Il Bo Live segue con particolare attenzione da tempo. Ci siamo occupati di patologie come depressione, autolesionismo, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare e ne abbiamo discusso con esperti ed esperte nel campo della psicologia, della psicoterapia, della psichiatria. Sara Urbani ha recentemente dedicato una serie al “modello Geel”, comunità che accolgono in casa persone con disagio psichico. In questo momento Marco Boscolo e Federica D’Auria stanno conducendo un’inchiesta sulla salute mentale nelle università. Risale invece a qualche anno fa il servizio di Francesca Boccaletto sul fenomeno degli hikikomori, persone che decidono volontariamente di isolarsi in casa. 

È proprio su quest’ultimo argomento che ora vogliamo tornare, alla luce di alcuni fatti significativi accaduti negli ultimi anni come la pandemia e le sue ripercussioni sulla salute psichica, di cui si è detto, e l’inserimento del disturbo nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5 - TR). L’argomento, inoltre, nelle scorse settimane è balzato agli onori della cronaca in seguito alla pubblicazione di uno studio da parte del Consiglio nazionale delle ricerche – preso in esame, con qualche osservazione, anche dall’Associazione italiana Hikikomori – che ha valutato le abitudini di ragazzi e ragazze tra i 14 e i 19 anni al di fuori del contesto scolastico, rilevando un aumento della tendenza al ritiro sociale nei più giovani tra il 2019 e il 2022. 

Per fare chiarezza innanzitutto sui termini e per cercare di capire le cause alla base di questo comportamento (internet, per esempio, è causa o conseguenza del disturbo?), per comprendere quali siano gli strumenti per la diagnosi e gli eventuali trattamenti ci siamo rivolti a Marina Miscioscia, professoressa di psicopatologia dello sviluppo all’università di Padova, che ha risposto alle nostre domande con un contributo scritto e nello studio di registrazione de Il Bo Live. Lo scorso anno la docente con il dottor Emanuele Ghielmetti e la dottoressa Noemi Stoppiello, e in collaborazione anche con Aepea, Associazione Genitorialità e Istituto di psicosomatica integrata, ha condotto una ricerca sul territorio italiano che ha avuto lo scopo di indagare il funzionamento psichico del ritiro sociale volontario, per intervenire tempestivamente prevenendone la cronicizzazione. I risultati preliminari dell’indagine sono stati presentati nel corso di un convegno tenutosi nel 2024 e saranno pubblicati a maggio nel volume dal titolo Il ritiro sociale in adolescenza, attualità e prospettive, a cura di Lorenza Da Re e Lodovico Perulli per Franco Angeli. 

Professoressa Miscioscia, cosa intendiamo quando parliamo di hikikomori? 

L'hikikomori, che significa “stare in disparte, isolarsi”, è una condizione psicosociale caratterizzata da estremo isolamento sociale e ritiro, che ha attirato l'attenzione scientifica in tutto il mondo. Rappresenta una condizione molto invalidante, con effetti devastanti su chi ne soffre, sui caregiver e sulla società. 

Il fenomeno hikikomori ha una storia di oltre quarant’anni alle spalle. I primi studi risalgono alla fine degli anni Settanta, ma è dagli anni Novanta del Novecento che il termine ha raggiunto notorietà a livello globale grazie al libro di Saitō Tamaki del 1998  Hikikomori: un’adolescenza infinita. Le prime osservazioni e il titolo stesso del libro segnalano fin da subito il legame intrinseco tra il fenomeno hikikomori e l’adolescenza, suggerendo l’ipotesi di un blocco evolutivo. Ad oggi, infatti, non vi è ancora un solido consenso scientifico su chi siano le persone hikikomori: il range d’età tipicamente va dall’adolescenza alla giovane età adulta, sotto i 30 anni circa. 

Intervista a Marina Miscioscia, professoressa di psicopatologia dello sviluppo all'università di Padova. Riprese e montaggio di Massimo Pistore

Esistono strumenti o linee guida per la diagnosi che consentano di individuare con certezza i casi?

In passato è stato proposto di includere l’hikikomori nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione (DSM-5) ma è solo nella recente edizione che compare per la prima volta. Nel DSM-5-TR, pubblicato nel 2022, l'hikikomori è inserito nella sezione III Misure e modelli emergenti nel capitolo Cultura e diagnosi psichiatrica, enfatizzando il fenomeno culturale di disagio. 

Va detto tuttavia che il dibattito scientifico sulla “posizione” degli hikikomori nella salute mentale e sulla sua validità come entità diagnostica separata è tuttora in corso. La classificazione corrente affronta l’hikikomori come una manifestazione di malessere mentale riconducibile a una speciale conformazione della società moderna. Ad oggi, la maggior parte della ricerca sull'hikikomori si è concentrata sull'epidemiologia e sulla fenomenologia piuttosto che sull'intervento/trattamento.

Quali sono, dunque, i criteri per la diagnosi di hikikomori?

Per quanto riguarda i criteri, oltre al marcato isolamento fisico e sociale in casa, deve essere presente almeno uno dei seguenti: nessun interesse o volontà di frequentare la scuola o l'ambiente lavorativo, e a mantenere relazioni con altre persone; quindi rifiuto di situazioni sociali e relazionali. I sintomi devono persistere da almeno sei mesi; devono interferire con il funzionamento globale della persona nelle sue sfaccettature personali, sociali, accademiche o lavorative. La sintomatologia non deve essere ricondotta ad altri disturbi, come quelli dello sviluppo neurologico, o ad altre condizioni di salute mentale e psichiatrica. 

La comunità scientifica, inoltre, è generalmente d'accordo nel distinguere tra hikikomori primario e secondario. L'hikikomori primario non è associato ad alcun disturbo psichiatrico, mentre l'hikikomori secondario scaturisce da problematiche di altro tipo, come disturbi d'ansia o depressione.

L'hikikomori rappresenta una condizione molto invalidante, con effetti devastanti su chi ne soffre, sui caregiver e sulla società

Quali sono le cause alla base di questo comportamento? 

Partiamo da una premessa. I ricercatori distinguono tra approcci “strettamente medici”, “sociologici” e “medico-antropologici”. Secondo l’approccio medico, l'hikikomori sarebbe una componente di un disturbo psichiatrico preesistente, secondo l'approccio sociologico una reazione disadattiva di angoscia e secondo l'approccio medico-antropologico un’espressione atipica di sintomi psichiatrici (come ansia e depressione). Tuttavia, non è stata fornita una discussione critica delle definizioni di hikikomori.

Diversi contributi hanno esaminato fattori storici e culturali specifici del Giappone che potrebbero essere coinvolti nell’emergere dell'hikikomori, come il concetto di amae, cioè una relazione culturalmente accettata di eccessiva dipendenza tra figli e genitori; sistemi educativi rigidi, cambiamenti nel mercato del lavoro che hanno portato a un’economia depressa; comportamenti sociofobici e inclini alla vergogna e fattori motivazionali

Tuttavia, inizialmente segnalato in Giappone, l'hikikomori è stato descritto in tutto il mondo. Potrebbe quindi rappresentare una conseguenza di uno stile di vita moderno e di una società globalmente interconnessa. Lo sviluppo della tecnologia dell'informazione, basata sulla comunicazione indiretta e sul gioco, potrebbe aver influenzato l’emergere mondiale degli hikikomori.

Lei prima evidenziava il legame esistente tra hikikomori e adolescenza. Può approfondire questo aspetto?

La centralità della dimensione interpersonale risulta essere un aspetto molto importante alla base del fenomeno hikikomori, in una dimensione che è legata prevalentemente all’adolescenza, il momento del processo di costruzione dell’identità. In questa fase della vita, ragazzi e ragazze devono affrontare la complicata rielaborazione psichica dei legami infantili e soprattutto di quelli genitoriali, devono cioè elaborare l’idea di non poter controllare tutto come sentivano di poter fare da piccoli. 

Gli “assetti narcisistici infantili”, per usare un termine tecnico, devono fare i conti con i limiti della pubertà, con la creazione di un nuovo sistema di valori e con la regolazione dell’autostima. Tale processo evolutivo aiuta l’adolescente a sviluppare relazioni più mature e realistiche, in cui gli altri non sono più vissuti come persone sotto il suo controllo. Solo attraverso questa trasformazione ragazzi e ragazze possono diventare più autonomi e creativi nel percorso di crescita verso l’età adulta.

Ebbene, nell’adolescente hikikomori questo processo subisce una sorta di sospensione che lo porta a rifugiarsi psichicamente nell’isolamento fisico, dove l’ideale domina sul reale, come ben delineato da Gustavo Pietropolli Charmet: il mondo esterno prende una forma minacciosa e persecutoria, mentre il mondo interno è svuotato di senso, lasciando spazio alla noia. Il mondo ideale si trasforma nel rifugio estremo, rassicurante ma regressivo, erigendo a sua difesa il rigido comportamento ritirato. 

Ne deriva una precarietà sul piano della costruzione dell’identità che, se non accuratamente affrontata nell’adolescente hikikomori, può cronicizzare la condizione di ritiro ossia diventare un vero e proprio disturbo psicopatologico con l’avanzare dell’età.

Esistono interventi efficaci, sia terapeutici che preventivi, per aiutare un giovane a uscire da una situazione di questo tipo? Che ruolo hanno anche scuole e famiglie in questo processo?

Le linee guida giapponesi suggeriscono la necessità di individuare il problema e intervenire precocemente nei casi di hikikomori. Eppure, non sono ancora stati elaborati metodi efficaci o specifici di intervento, e riconosciuti in quanto tali dalla comunità scientifica. Va detto, tuttavia, che la psicoterapia rappresenta il trattamento di elezione in particolare con gli adolescenti. 

Quella degli hikikomori è sicuramente una condizione che richiede un approccio multidisciplinare e coordinato in cui il sistema che circonda la persona in ritiro deve poter essere sostenuto, attenzionato, accompagnato. Mi riferisco sia alla famiglia che alla scuola, ai contesti di socializzazione. Ormai è condiviso che l’insorgenza del fenomeno si colloca in età adolescenziale, nonostante i prodromi siano rintracciabili già nella preadolescenza. Paradossalmente la fase di esordio adolescenziale è la meno studiata, per quanto sia la parte più visibile del fenomeno hikikomori.

Si riesce a dare una dimensione del fenomeno hikikomori?

Uno studio coordinato da Simone Amendola ha individuato una percentuale più alta di soggetti che sperimentano una situazione di isolamento sociale grave compatibile con la condizione hikikomori nei Paesi dell’Europa centrale e orientale, con il 2,8% dei casi, rispetto all’Europa settentrionale (0,8%), meridionale (1,5%) e occidentale (1,7%). 

Come ha inciso la pandemia da Covid-19?

Come hanno rilevato numerosi studi internazionali, la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto significativo sul comportamento umano e sulle interazioni sociali; alcuni studi sostengono che abbia rappresentato un fattore di rischio o di peggioramento del ritiro sociale negli adolescenti più fragili, così come il progressivo aumento della socializzazione digitale, l’internet gaming e il cyberbullismo. È importante sottolineare però che l’aumento dell’iperconnessione spingeva gli adolescenti verso la trasposizione delle relazioni umane nella sfera virtuale già prima della pandemia. Tuttavia, il Covid-19 ha rappresentato un evento dirompente, ha portato a una trasformazione improvvisa e significativa non prevedibile. Le misure di distanziamento fisico e dei lockdown adottati per contenere la diffusione del virus hanno impattato in maniera significativa sul benessere delle persone e ciò può rappresentare una delle cause della tendenza maggiore di isolamento fisico e sociale; la diffusione del Covid-19  ha accelerato questo fenomeno, esacerbando la tendenza all’autoisolamento. 

Quali sono state, dunque, le conseguenze sul piano psicologico?

L’impatto della pandemia, seppur devastante per tutta la popolazione, ha rappresentato un fattore di rischio significativo in fasi dello sviluppo come la preadolescenza e l’adolescenza. L’allontanamento dai coetanei unito alla forzata vicinanza ai familiari, ha aumentato il disagio emotivo, in particolare nelle famiglie con conflitti preesistenti o con uno spazio privato limitato. Sebbene le interazioni digitali offrano agli adolescenti un mezzo per mantenere i contatti sociali, spesso non riescono a soddisfare i bisogni psicologici più profondi di appartenenza, intimità e sviluppo dell’autonomia. Di conseguenza i sentimenti di malessere vengono esacerbati e rafforzati i modelli di ritiro di fronte alla complessità dei compiti che l’adolescenza richiede e che per alcune persone possono rappresentare una sfida difficile: ci si riferisce, per esempio, alla crescita dell’autostima, alla gestione di emozioni come la vergogna, l’invidia, la critica, alla capacità di far parte di un gruppo o esserne esclusi.

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