SCIENZA E RICERCA
Nell’altopiano persiano la prima fermata dei sapiens alla conquista dell’Eurasia
Immagine satellitare dell'Altopiano persiano. Fonte: Google Earth
Negli ultimi decenni, le conoscenze sulla storia profonda della nostra specie sono aumentate in modo sorprendente. Tra le ipotesi più largamente condivise dagli studiosi, ad esempio, vi è quella secondo cui la nostra specie si sia originata in Africa e, in una serie di ondate successive, si sia poi spostata in altre regioni, colonizzando nel corso del tempo l’intero pianeta.
Una tra le più significative ondate di migrazione “Out of Africa” – seppur non la prima – è quella occorsa intorno a 60.000 anni fa: dalle popolazioni che si spinsero verso il Medio Oriente e poi, da lì, si espansero nel resto del pianeta discendono tutte le odierne popolazioni non africane (con un’eccezione, forse, per le popolazioni oceaniche: ma su questo tema il dibattito è ancora aperto).
Tuttavia, la ricostruzione degli spostamenti in Eurasia dei nostri progenitori in quei millenni cruciali del Paleolitico è ancora tutt’altro che completa. Uno dei più ampi coni d’ombra riguarda il periodo compreso tra circa 60.000 anni fa, quando piccole popolazioni abbandonarono il continente africano per dirigersi verso il Medio Oriente, e 45.000 anni fa, periodo a partire dal quale sappiamo, grazie ai dati archeologici e paleogenetici, che Homo sapiens aveva colonizzato stabilmente l’Eurasia occidentale e orientale.
In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, il gruppo di paleoantropologia dell’università di Padova guidato da Luca Pagani, in collaborazione con l’università di Bologna, la Griffith University di Brisbane, il Max Planck Institute di Jena e l’università di Torino, hanno fatto luce su questo periodo ancora misterioso della nostra conquista dell’Eurasia.
L'intervista completa a Leonardo Vallini, primo autore dello studio. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
Basandosi sui dati paleogenetici disponibili e mettendo a punto una nuova tecnica di analisi, i ricercatori hanno infatti avanzato l’ipotesi secondo cui, in quel lungo periodo di tempo (tra i 10 e i 20.000 anni), i pionieri eurasiatici si stanziarono, in modo pressoché stabile, in un’area del Medio Oriente compresa tra l’Iran, la Mesopotamia e il Golfo Persico, che allora non era sommerso. Avvalendosi delle diverse competenze del gruppo di ricerca interdisciplinare, i ricercatori hanno poi confrontato le evidenze genetiche con dati paleoclimatici che hanno confermato la potenziale idoneità di quell’area a sostenere una popolazione di cacciatori-raccoglitori in quel periodo storico.
Come spiega Leonardo Vallini, dottorando dell’università di Padova e primo autore dello studio, la sfida maggiore consisteva nella necessità di ovviare alla mancanza di evidenze primarie (come fossili o altri resti archeologici) relativi a quel periodo. «Sappiamo che gli umani si lasciarono alle spalle l’Africa tra 70 e 60.000 anni fa, e che fino a 45.000 anni fa non è avvenuta alcuna separazione tra gli antenati delle popolazioni dell’Europa e dell’Asia orientale». In quel periodo, dunque, quei pionieri dovevano essere ancora un’unica popolazione, che viveva da qualche parte in Eurasia.
«La genetica è stata la nostra principale linea di indagine, sebbene non la sola», prosegue Vallini. In uno studio pubblicato dallo stesso gruppo di ricerca due anni fa, gli studiosi avevano dimostrato che proprio da quella zona del Medio Oriente aveva preso avvio la colonizzazione del resto dell’Eurasia. Avevano inoltre dimostrato che, dopo 45.000 anni fa, vi erano state più ondate di espansione verso l’Eurasia, a est e a ovest.
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«Questi risultati ci hanno consentito di prevedere le probabili caratteristiche genetiche di quella popolazione eurasiatica ancestrale, che abbiamo denominato “Hub”. Indagando sia i genomi delle popolazioni moderne sia i genomi antichi disponibili, abbiamo potuto valutare quali fossero le popolazioni che portano una componente genetica con caratteristiche genetiche più simili a quelle che ci saremmo aspettati di trovare nella popolazione Hub».
Tra i genomi antichi analizzati vi sono quelli appartenenti a due individui i cui resti fossili sono stati ritrovati in Cina (Tianyuan, risalente a circa 40.000 anni fa) e in Russia occidentale (Kostenki, risalente a circa 37.000 anni fa). Le caratteristiche genetiche di questi due individui, rappresentativi, rispettivamente, del gruppo che dopo i 45.000 anni fa colonizzò l’Eurasia orientale, spingendosi fino in Cina e successivamente nelle Americhe, e di quello che si stabilì in Eurasia occidentale sono state utilizzate come punto di partenza per risalire alle caratteristiche genetiche della popolazione Hub.
Dall’analisi dei dati genetici emerge che la prima delle espansioni dall’Hub che ha lasciato discendenti moderni nell’Eurasia orientale si verificò intorno a 45.000 anni fa; la successiva, avvenuta qualche millennio più tardi, rimpiazzò la precedente, ormai quasi estinta, in Europa.
Chiaramente – spiegano gli autori dell’articolo – queste ramificazioni non emergono in modo lineare dal record genetico. Infatti, nell’analizzare i DNA antichi, non bisogna ignorare il ruolo dei continui fenomeni di rimescolamento genetico. Nel caso della probabile popolazione Hub, ad esempio, è importante tenere a mente il fatto che, quando questi Sapiens si stabilirono nel Vicino Oriente, quest’area era già abitata da tempo dai “cugini” Homo neanderthalensis, con i quali sembrano esserci stati ripetuti eventi di ibridazione, di cui rimangono tracce nei genomi degli umani moderni.
Per dimostrare l’ipotesi secondo cui l’odierno altopiano iranico sia stato la prima destinazione della migrazione “Out of Africa” di 70-60.000 anni fa, i ricercatori hanno sviluppato un metodo di analisi genetica per identificare, a partire dai dati a disposizione, la popolazione portatrice di una componente genetica più simile all’Hub. «Per validare questo metodo, non potendo realizzare nuovi esperimenti su una storia già avvenuta, unica e irripetibile, abbiamo simulato dei genomi in uno scenario demografico definito da noi, ma realistico. Abbiamo poi mescolato le diverse popolazioni – già sapendo in partenza quali fossero le più simili all’Hub – e abbiamo verificato se e in che misura fossimo in grado, attraverso il nostro metodo d’indagine, di identificare la popolazione più simile all’Hub», approfondisce il primo autore dello studio. «Una volta ottenuta la conferma del valore euristico di questo metodo, lo abbiamo applicato ai dati reali: i risultati ottenuti ci mostrano che fra tutte le popolazioni – antiche e moderne – che abbiamo analizzato, quelle con la componente genetica più simile all’Hub sono quelle che vivono nell’area tra Iran e Mesopotamia».
«Sulla base di questi risultati – aggiunge Vallini – abbiamo perciò ipotizzato che l’area che ha costituito una sorta di rifugio per tutti i Sapiens euroasiatici fra circa 60.000 anni fa, quando i nostri antenati lasciarono l’Africa, e 45.000 anni fa, fosse l’area geografica compresa tra l’altopiano iranico, la Mesopotamia e il Golfo Persico, che all’epoca non era sommerso».
Questa localizzazione è stata poi ulteriormente confermata incrociando i risultati delle analisi genetiche con quelli delle ricostruzioni paleoclimatiche. «Interrogando i dati paleoclimatici disponibili, siamo riusciti a costruire dei modelli paleoecologici che ci hanno permesso di prevedere quali aree del mondo fossero ecologicamente ospitali nei diversi periodi e anche di calcolare qual era il massimo numero di individui che una certa area avrebbe potuto sostenere sulla base della disponibilità di risorse utilizzabili da piccole popolazioni di Homo Sapiens con l’organizzazione sociale dei cacciatori-raccoglitori. Questi risultati ci hanno mostrato non solo che parte dell’Iran era continuamente abitabile durante il periodo che ci interessa, ma anche che proprio questo territorio avrebbe potuto sostenere un numero di individui maggiore rispetto ad altre zone del Medio Oriente, che sono le prime che si incontrano una volta usciti dall’Africa», sottolinea il paleoantropologo.
Questo risultato corrobora l’ipotesi secondo cui l’altopiano persiano avrebbe tutte le caratteristiche necessarie per essere riconosciuto come prima “culla” eurasiatica dei Sapiens non africani.
La dinamica di eventi ricostruita dai ricercatori riempie senz’altro un vuoto di conoscenza, gettando luce su quanto accaduto in quei ventimila anni che, finora, sembrano non aver quasi lasciato tracce fisiche in Eurasia. Tuttavia, osserva ancora Vallini, descrivere il potenziale susseguirsi degli eventi non è sufficiente: per avere un quadro completo di quel periodo della storia umana, bisognerebbe riuscire a rispondere a molte domande che, purtroppo, rimangono ancora aperte.
«Abbiamo descritto il susseguirsi degli eventi, ma quali siano le cause di questi fenomeni non è ancora chiaro. Sarebbe interessante, ad esempio, provare a scoprire cosa ci ha portato, una volta usciti dall’Africa, a stabilirci in questo luogo per un lasso di tempo così ampio. Tra le ipotesi possibili vi è la necessità di riprendersi dallo stress demografico dovuto all’uscita dall’Africa, o dal tempo richiesto per adattarsi a un nuovo ambiente, potenzialmente sia dal punto di vista biologico che dal punto di vista tecnologico e culturale. Sono ipotesi plausibili, ma per il momento non verificate».
«D’altra parte – prosegue il ricercatore – quali sono i motivi che spinsero a nuove espansioni verso altre aree dell’Eurasia intorno a 45.000 anni fa? C’è una correlazione, ed eventualmente di che tipo, con l’emergere, proprio da quarantacinquemila anni fa, di una serie di industrie litiche (strumenti di pietra) diverse e innovative?
Sono molte le domande interessanti che al momento non hanno una risposta precisa: una futura direzione di ricerca da esplorare potrebbe consistere nel tentativo di identificare le cause di questi movimenti, al di là delle modalità con le quali sono avvenuti».