SCIENZA E RICERCA
New data for new challenges. Le disuguaglianze di salute non sono un fatto solo economico
La periferia di Baltimora. Foto: Contrasto
Globalmente le disuguaglianze di salute sono andate riducendosi negli ultimi decenni. Soprattutto grazie al fatto che i paesi poveri sono riusciti a raggiungere molti buoni risultati. Certo, ci sono ancora enormi differenze: l’aspettativa di vita in Giappone è oggi di oltre 80 anni e in alcuni dei paesi più poveri, come quelli africani, arriva a malapena a 50. Ma solo qualche anno fa la differenza era di oltre 40 anni, quindi il gap si è un po’ ristretto.
Sir Michael Marmot, epidemiologo direttore dell’Institute of Health Equity della UCL di Londra, è uno dei keynote speakers della seconda giornata di lavori della Conferenza “New data for the new challenges of population and society” organizzata dal Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Padova il 22-24 Settembre.
A livello globale, sostiene Marmot in questa intervista a Il Bo Live, le disparità si sono un po’ assottigliate. Invece, quello che stiamo osservando, a parte la pandemia, è che le disuguaglianze stanno aumentando all’interno dei paesi ricchi, di società percepite come ugualitarie, come quelle dei paesi del Nord Europa, la Svezia per esempio. Ma anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La disuguaglianza aumenta tra i gruppi socio-economici e anche tra le comunità di diversa origine etnica. Negli Stati Uniti per molto tempo il focus è stato principalmente sulle differenze su base razziale: nel secolo tra il 1870 e il 1970 per esempio, c’è stato un netto miglioramento della aspettativa di vita delle comunità di colore rispetto a quelle bianche, cioè un recupero significativo. Ma negli ultimi anni, la tendenza non è più così netta.
“ Non è accettabile accontentarsi del miglioramento della salute media se aumentano anche le disuguaglianze.
I fattori sociali ed economici che determinano le disuguaglianze
Sulla base di dati molto solidi che in Gran Bretagna sono stati raccolti per molto tempo, spiega Marmot, nel 2010 sono state fatte una serie di raccomandazioni al governo britannico. In particolare, Marmot e il suo team hanno acceso i riflettori su sei ambiti di sviluppo delle disuguaglianze e dunque sulle aree dove è importante intervenire: sviluppo nell’età infantile; istruzione e formazione continua; impiego e condizioni lavorative; un reddito minimo per poter avere una vita decente; comunità sane e sostenibili in cui vivere e una società capace di sostenere comportamenti corretti e adeguati in termini di prevenzione. Nell’ultimo decennio, invece, si è assistito a un aumento della disuguaglianza e a un peggioramento delle condizioni di salute soprattutto per la popolazione più povera. E secondo Marmot la causa va cercata proprio in quelle sei aree di intervento mancato.
Alla domanda se sia più urgente ridurre le disuguaglianze o migliorare le condizioni generali di tutta la popolazione, Marmot risponde sostenendo che una società matura dovrebbe fare entrambe le cose: nessuno pensa che miglioriamo le condizioni dei poveri facendo ammalare i ricchi. Ma non c’è dubbio che sia necessario ridurre le differenze e dunque sostenere in modo particolare il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione più povera.
Oggi sappiamo leggere i dati in modo molto più raffinato, continua Marmot. E abbiamo capito che non basta essere ricchi per essere in salute. Per un paese molto povero anche un minimo aumento del reddito medio si traduce in un consistente aumento dell’aspettativa di vita e in generale delle condizioni di salute della popolazione. Man mano che aumenta il reddito, questo effetto tende a livellarsi. Per esempio, il Costarica ha un reddito medio di circa 17.000 dollari procapite aggiustato per il potere di acquisto. Questa è una cifra molto simile al reddito medio nei quartieri poveri della città americana di Baltimore. Però l’aspettativa di vita media degli uomini di questi quartieri di Baltimore è di 62 anni mentre in Costarica arriva a 77. Non è solo questione di soldi. Le zone povere di Baltimore sono davvero insalubri, ci sono problemi di traffico di droga, violenza da parte della polizia che arresta frequentemente giovani ragazzi neri. Insomma, troviamo qui tutti gli indizi di una società in cui è difficile vivere. È chiaro che avere un reddito minimo è essenziale per la propria salute, perché senza soldi difficilmente si può prendersi cura di se stessi. Ma poi non servono tanti soldi per stare bene, serve assai di più la possibilità di accedere ai benefici sociali della collettività. L’accesso all’istruzione, al servizio sanitario, a un ambiente piuttosto sicuro per vivere, a una casa decente sono ben più importanti per determinare un buono stato di salute dei soldi.
Se la nostra popolazione non ha uno stato di salute soddisfacente, il nostro paese sta bene
La salute delle persone non è solo una condizione biologica, spiega ancora Marmot, ma è determinata da molti fattori diversi, dalle condizioni strutturali della società in cui viviamo, dall’ambiente, dalla gestione politica, dalla scuola e via dicendo. Anche per questo l’approccio alla pandemia non può essere trattato solo come una questione solo sanitaria, ma chiama in causa anche tutte le altre politiche che vanno messe in campo, da quelle economiche a quelle ambientali, per intervenire su tutti i determinanti di salute.
Prima della pandemia, conclude Marmot, avrebbe sostenuto che le due crisi di cui dobbiamo occuparci sono proprio quella della disuguaglianza e la crisi climatica. Adesso invece dobbiamo necessariamente includere anche la crisi pandemica che ha avuto un immenso impatto in termini peggiorativi laddove c’erano già delle disuguaglianze. Mentre ricostruiamo in un modo più giusto - Marmot ha pubblicato lo scorso dicembre un report dal titolo Build back fairer commissionato dalla Health Foundation britannica - dobbiamo farlo tenendo insieme la crisi sanitaria e quella ambientale.
Puoi leggere le altre interviste di questa serie qui:
Guido Alfani - La lunga storia delle disuguaglianze
Fausta Ongaro - L'incertezza e l'impatto sulle scelte della vita
Inaki Permanyer - Longevità e salute: la grande sfida
Tomáš Sobotka - La bassa fertilità non è necessariamente un problema
Isabel Séguy - Cosa ci dice la paleodemografia sul nostro passato