SCIENZA E RICERCA

Il nucleo interno della Terra potrebbe non avere una struttura omogenea

Estendendosi a partire da quasi 2900 chilometri di profondità il nucleo terrestre sfugge ad ogni possibilità di osservazione diretta. Le perforazioni condotte a scopi scientifici o finalizzate alla ricerca di fonti energetiche finora non sono mai state condotte oltre il limite di 10-12 chilometri all'interno della crosta e anche le stratificazioni sedimentarie delle catene montuose, sebbene preziose per comprendere  le dinamiche che hanno portato la Terra ad assumere la conformazione odierna (comunque sempre in evoluzione), non possono fornirci informazioni sul cuore del nostro pianeta. 

Per questo motivo gli scienziati che cercano di comprendere la composizione chimica e mineralogica della Terra possono fare affidamento solo su informazioni indirette, come le inclusioni intrappolate nei diamanti, l'analisi delle meteoriti o il movimento delle onde sismiche.

Proprio grazie alla sismologia, disciplina che studia le modalità di propagazione delle onde sismiche e come la velocità con cui esse si muovono sia influenzata dal tipo di materiale attraversato, si è arrivati a ricostruire la struttura dell'interno terrestre deducendo che è composto da quattro livelli: la crosta, il mantello (diviso in due "regioni", quella superiore e quella inferiore), il nucleo esterno e il nucleo interno. A rilevare questa stratificazione in gusci concentrici è stata la scoperta di superfici di discontinuità caratterizzate da modificazioni brusche della velocità di propagazione delle onde sismiche. 

Un paio di decenni fa ha cominciato a farsi strada l'ipotesi che in realtà il nucleo della Terra contenga una stratificazione di secondo ordine che va quindi oltre la distinzione ormai assodata tra nucleo interno (solido) ed esterno (liquido). L'analisi delle onde sismiche che arrivano fino al nucleo interno (solo i terremoti particolarmente energetici possono fornire dati utili a questo scopo) ha infatti permesso di osservare un cambiamento nel modo in cui queste onde viaggiano attraverso i circa 1200 chilometri di spessore di questa parte del nostro pianeta, suggerendo quindi che la struttura del nucleo interno non sia omogenea. L'ipotesi è che vi sia uno strato distinto che in inglese è stato definito "innermost inner core” (IMIC) e che sarebbe una sfera metallica, dal diametro di circa 650 chilometri, contenuta all'interno del nucleo solido. 

I risultati di uno studio pubblicato qualche mese fa su Nature Communications e condotto dai sismologi dell'Australian National University vanno proprio in questa direzione e più recentemente la stessa rivista scientifica ha pubblicato una review sull'argomento (firmata anche da due degli stessi autori del paper precedentemente citato) con l'obiettivo di fare il punto sulle conoscenze attualmente disponibili riguardanti il nucleo terrestre e la sue strutture.

Una migliore comprensione delle proprietà strutturali del nucleo e delle loro origini dinamiche aiuta a far luce sulla formazione della Terra e sulla storia evolutiva e i progressi nelle tecniche di rilevamento e analisi dei dati sismici stanno ampliando le aspettative sulle nuove scoperte che potranno giungere da questo ambito di ricerca.   

Abbiamo parlato dell'argomento con Manuele Faccenda, professore del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova che ha da poco portato a termine anche un progetto di ricerca, finanziato con un ERC-Starting Grant, incentrato sullo sviluppo di una metodologia che indaga l'interno della Terra attraverso la combinazione di modellazione geodinamica e metodi sismologici.

Il professor Manuele Faccenda del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, illustra le più recenti scoperte sul nucleo terrestre. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Sappiamo da diversi decenni che l’interno del nostro pianeta è formato da una serie di livelli concentrici. "Partendo dalla superficie abbiamo un livello molto pellicolare che è la crosta e ha uno spessore di qualche decina di chilometri. Al di sotto abbiamo il mantello che arriva fino a circa 2900 chilometri di profondità e sotto ancora c’è il nucleo", introduce il professor Manuele Faccenda.

In particolare il nucleo costituisce il 15% in volume del nostro pianeta, circa un terzo della sua massa e che è formato prevalentemente da una lega metallica di ferro e nichel, oltre ad alcuni elementi più leggeri come ossigeno e zolfo. Queste informazioni provengono da dati "indiretti" e in anni più recenti sono state corroborate anche da prove di laboratorio finalizzate a sottoporre la tipologia di materiali presenti nel nucleo alle condizioni estreme di temperatura e pressione  che caratterizzano questa regione della Terra. 

Sappiamo inoltre che il nucleo può essere suddiviso in prima istanza in una parte più esterna che viene definita nucleo esterno ed è allo stato liquido e una parte più interno che è allo stato solido e viene denominato nucleo interno. Quest’ultimo ha uno spessore di circa 1200 chilometri, mentre il nucleo esterno ha uno spessore di circa 2200 chilometri. 

Come facciamo a conoscere la composizione strutturale e chimica del nucleo? "Abbiamo alcune evidenze che sono sia di carattere astronomico che geologico. Tra queste ci sono le meteoriti che provengono dallo spazio e sono i mattoni che hanno costituito il nostro pianeta così come gli altri pianeti del sistema solare e quindi andando ad analizzare la loro composizione chimica, in particolare delle condriti, si può vedere che esiste una differenza molto marcata nella composizione degli elementi metallici", continua il docente del dipartimento di Geoscienze. "Le condriti hanno infatti un contenuto di ferro e nichel molto superiore rispetto a quello che contraddistingue le rocce che possiamo trovare sulla superficie della Terra e ciò porta a pensare che questi elementi, essendo più pesanti rispetto agli altri, durante il processo di accrezione della Terra siano affondati verso l’interno per gravità e siano andati a costituire appunto il nucleo terrestre".

Altra evidenza molto importante è il campo magnetico terrestre. "E' quel fenomeno che, ad esempio, fa funzionare strumenti come la bussola e si forma solamente quando abbiamo un materiale ad alta conducibilità elettrica, come appunto la lega di ferro e nichel, allo stato liquido e che quindi può fluire. In questo modo si innescano dei processi simili a quelli che abbiamo nella dinamo e che vanno a creare il campo magnetico terrestre. L’evidenza della sua presenza ci fa supporre che esista una porzione interna del nostro pianeta dotata di una composizione chimica metallica, come la lega di ferro e nichel", spiega Manuele Faccenda.

Uno strumento essenziale per comprendere come è fatto l'interno del nostro pianeta è lo studio delle onde sismiche dei grandi terremoti. "Quando avvengono dei terremoti, in particolare quelli più energetici ad alta magnitudo, il nostro pianeta comincia a vibrare e si ha la propagazione di questi treni di onde sismiche. Noi possiamo registrare l’arrivo di questi treni d’onda in superficie mediante le stazioni sismiche, ottenendo così i sismogrammi. L'analisi di questi sismogrammi ha permesso di scoprire che durante queste oscillazioni nelle parti più profonde del nostro pianeta esiste un corpo a più alta densità. E' un’ulteriore evidenza che questa parte più centrale può essere formata da elementi più pesanti".

"L’altro aspetto che è stato visto già dal secolo scorso è che il comportamento delle onde sismiche che si propagano attraverso questa porzione più interna della Terra è diverso rispetto ai livelli circostanti. Nei primi 2200 km del nucleo, quindi nel nucleo esterno, alcune onde non riescono a propagarsi e questo ci fa supporre che questa parte sia allo stato liquido. Nella parte più interna possiamo invece osservare come qualsiasi tipo di onda sismica riesca a propagarsi, irrobustendo la convinzione che sia allo stato solido", continua il geofisico dell'università di Padova. 

Le prime prove a conferma della differenziazione tra i gusci concentrici della Terra, basate sull'applicazione della sismologia, arrivarono dal geofisico R. D. Oldham che nel 1906 identificò un cambiamento nel comportamento delle onde P ed S in profondità. Le onde P sono le più veloci e deformano i materiali nello stesso senso della loro propagazione. Attraversano sia i solidi che i fluidi e sono le responsabili del rombo cupo che si avverte all'inizio del terremoto. Le onde S sono invece più lente, deformano i materiali nello stesso senso della loro propagazione e non si propagano nei fluidi. Qualche anno dopo rispetto alla scoperta di Oldham, arriviamo al 1914, il geofisico tedesco Beno Gutenberg comprese che la discontinuità era collocata nel punto di contatto tra mantello inferiore e nucleo, a una profondità di circa 2900 chilometri. A comprendere per prima che il nucleo non è interamente composto da materia liquida è stata invece la geofisica danese Inge Lehmann nel 1936.

La scoperta di un'ulteriore differenziazione nel nucleo interno

Negli ultimi anni grazie all’incremento dei dati sismologici, quindi al maggior numero di stazioni sismiche che sono state disposte sulla superficie terrestre e anche al miglioramento della qualità dei dati sismici e delle tecniche di analisi dei sismogrammi, si è riusciti a scovare delle strutture di secondo ordine rispetto alla suddivisione di primo ordine tra nucleo esterno liquido e nucleo interno solido. Queste strutture, spiega il professor Manuele faccenda, ci possono dare delle info molto importanti sull’evoluzione composizione e dinamica del nostro pianeta.

"Per quanto riguarda il nucleo interno, che fino a qualche decennio fa pensavamo avesse una composizione e una struttura omogenee, si è visto che in realtà nella parte più interna le onde sismiche sembrano comportarsi in modo diverso rispetto a quella più esterna. Questo ha portato all’identificazione di un terzo livello, definito “nucleo interno nel nucleo interno”.

Lo studio pubblicato a febbraio su Nature Communications e condotto da Thanh-Son Phạm e Hrvoje Tkalčić della Australian National University Research School of Earth Sciences è la ricerca che di recente ha irrobustito l'ipotesi che al centro della Terra ci sia una ulteriore differenziazione. I due scienziati si sono basati sui dati provenienti dall'analisi di circa 200 terremoti di magnitudo superiore a 6, avvenuti negli ultimi dieci anni in diverse regioni del mondo e per la prima volta hanno osservato un rimbalzo, fino a cinque volte, delle onde sismiche dal punto di innesco del terremoto fino al suo antipodo, nel lato opposto del globo. 

Questa differenziazione del nucleo interno tra parte più centrale e parte periferica può essere dovuta a diversi processi e la questione è ancora ampiamente dibattuta.

"E’ stato proposto che sia dovuta a una transizione nel processo di crescita dei cristalli nella lega di ferro e nichel, con una possibile differenza delle loro dimensioni. Alcuni di questi cristalli possono avere dimensioni di decine di metri e questo potrebbe spiegare il diverso comportamento nella propagazione delle onde sismiche. Un'altra ipotesi è che la transizione stia a rappresentare il relitto di due fasi di accrescimento del nucleo interno: possiamo immaginare una prima fase di accrescimento seguita poi da una pausa, prima della successiva ripresa dell’accrescimento della parte più periferica del nucleo interno. Queste fasi potrebbero essere state caratterizzate da meccanismi differenti che vanno ad influenzare le proprietà elastiche e quindi la velocità delle onde sismiche. Questo è corroborato dal fatto che la transizione nell’intensità del campo magnetico viene anche registrata nel record fossile geologico. Vi è poi un terzo meccanismo che è legato al fatto che tra la parte più interna e quella più periferica esisterebbero delle diverse tessiture dei cristalli, cioè diverse orientazioni preferenziali di questi cristalli che si sono formati durante l’accrescimento del nucleo", approfondisce il professor Faccenda.

"Un’altra cosa che oggi sappiamo è che il nucleo interno sembra essere meccanicamente meno rigido rispetto a quanto si pensava in precedenza. Questo potrebbe forse indicare una maggiore temperatura perché sappiamo che all’aumentare della temperatura il materiale diventa meno rigido.

Altri aspetti molto importanti per lo sviluppo e l’evoluzione del nucleo sono legati a delle anomalie di velocità che sono state individuate ai margini del nucleo esterno, quindi nella transizione tra nucleo interno ed esterno e nella transizione tra nucleo esterno e mantello sovrastante. Nel margine inferiore si è visto che c’è questa anomalia ben marcata delle velocità e questo potrebbe indicare la fase di accrescimento del nucleo interno: nella parte inferiore del nucleo esterno dove le temperature sono più vicine a quelle di solidificazione si cominciano a formare dei cristalli più pesanti del liquido circostante, cominciano così ad affondare a depositarsi sul fondo del nucleo esterno e quindi questo livello anomalo rappresenterebbe l’arricchimento dei cristalli di questo livello che però non è del tutto solidificato. Per quanto riguarda invece il margine superiore le anomalie di velocità sono state ricondotte ad un possibile rimescolamento tra le rocce del nucleo esterno e le rocce silicatiche che compongono il mantello sovrastante", conclude il docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova.

Nei prossimi anni l'acquisizione di dati sismologici di alta qualità e il continuo sviluppo di tecniche di analisi di questi dati sempre più sofisticate avranno un ruolo chiave nei tentativi di comprendere l’enigmatico nucleo della Terra e altre opportunità arriveranno dal progresso degli algoritmi di machine learning. Le ricerche sulla struttura e sulla dinamica interna del nostro pianeta potranno quindi continuare a rivelare sorprese e a fornire informazioni che fungono anche da porta d'accesso agli eventi del passato. 

 

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