È un’Europa più complessa, più frammentata, quella che esce dalle urne di quest’ultima tornata elettorale. Un’Europa sempre meno “Unione” e sempre più somma di 28 distinte realtà nazionali, autonome, variegate e complesse, ciascuna con le proprie tendenze, con le proprie parole d’ordine. Un voto che potremmo tentare di interpretare partendo dai titoli, dai grandi temi. Primo: i due principali Gruppi del Parlamento Europeo sono in netto calo: i Popolari (che comunque restano il Gruppo più rappresentato) sono accreditati di 180 seggi (risultati ancora parziali) rispetto ai 221 del 2014, mentre i Socialisti perderebbero 45 seggi, passando da 191 agli attuali 146. Da soli non avrebbero la maggioranza (ed è la prima volta che accade dal 1979). Per governare avranno bisogno di ulteriori alleati. Secondo: i vincitori di questa elezione, numeri alla mano, sono Liberali e Verdi, entrambi in grande crescita. Terzo: i sovranisti, come peraltro previsto, non sfondano. Ma ci sono. E promettono battaglia. Quarto: più della metà degli elettori è andato a votare. Non capitava da vent’anni.
Verdi in Germania, Le Pen in Francia
Sappiamo per certo che la “grande coalizione” tra Popolari e Socialisti non basterà più per guidare l’Unione Europea, nonostante si tratti ancora dei due principali schieramenti. E non c’è dubbio che si tratti di una bocciatura per “non aver fatto abbastanza” in questi lunghi anni di governo, su diversi argomenti: economia, occupazione, stato sociale, ambiente. La stampella naturale, per così definirla, potrebbe arrivare dai liberali europeisti di Alde(con Macron), che hanno ottenuto un ottimo risultato conquistando 109 seggi (erano 67 nel 2014). Una maggioranza che potrebbe infine essere cementata con l’ingresso dei Verdi, capaci di passare da 50 a 69 seggi. Oltre 500 seggi su 751. Ma per tentare di comprendere realmente le ragioni e le dinamiche del voto, bisogna immergersi in ciascuna delle realtà che compongono il frammentato quadro europeo. Il tedesco Günther Oettinger, ad esempio, Commissario europeo per il bilancio e le risorse umane ed esponente di spicco della Cdu, ha definito “deludente” il risultato del suo partito. Perché sempre di quello si finisce per parlare: dei propri partiti di appartenenza. Non dei Gruppi europei nei quali confluiscono, che restano una conseguenza. Per restare in Germania, c’è da registrare l’amarezza dell’ex leader della Spd, Sigmar Gabriel: «E’ una sconfitta disastrosa. Tutto e tutti sono ora sul banco degli imputati». Mentre invece sono trionfalistici i toni scelti dai Verdi. Annalena Baerbock, presidente del Partito Ambientalista: «I tedeschi si sono espressi con chiarezza per la protezione del clima, per la democrazia, contro il populismo e per i diritti dell'uomo. Adesso cambiamo insieme questa Europa».
Tutt’altra musica in Francia, dove il Rassemblement National di Marine Le Pen, con il 23,2% dei voti ha addirittura superato la lista europeista Renaissance di Emmanuel Macron, al 21,9%. «Èla vittoria del popolo, che ha ripreso con fierezza e dignità il potere» - ha dichiarato entusiasta Le Pen, che poi ha immediatamente incalzato Macron: «Ora il presidente deve sciogliere l'Assemblea nazionale e convocare nuove elezioni». Per completare il quadro francese: crollo dei socialisti, che si fermano al 7%, mentre i Verdi ottengono il 13% dei voti.
Altre tessere del puzzle: Spagna, Portogallo, Italia, Grecia
Eppure basta percorrere pochi chilometri, e oltrepassare qualche confine, per osservare scenari completamente diversi. In Spagna i socialisti del Psoe bissano il buon risultato ottenuto alle politiche dello scorso aprile, sfiorando il 33% dei voti, mentre i Popolari si fermano al 20%. Al 12% i liberali di Ciudadanos, al 10% Podemos, mentre Vox, il partito di estrema destra, è appena sopra il 6%. Netta vittoria dei socialisti (33,4%) anche in Portogallo, con i Socialdemocratici al 22% e il Blocco di Sinistra (BE) che sfiora il 10%. In Italia si cambia colore e tendenza, con la Lega sovranista al 34%, inseguita dal Pd (22,7%) che supera un arrancante Movimento 5 Stelle, fermo al 17%. Destra che avanza anche in Grecia: Nuova Democrazia ha ottenuto oltre il 33% dei voti, quasi dieci punti più avanti di Syriza. Un tracollo per la coalizione di sinistra, che fa traballare il governo di Alexis Tsipras: «Il risultato non è in linea con le nostre aspettative e non potrei mai ignorare un tale risultato» - ha dichiarato il premier greco, annunciando elezioni anticipate, forse già alla fine di giugno. Confermata la vittoria dei laburisti in Olanda, Repubblica Ceca e Malta. Mentre in Svezia e in Danimarca i socialdemocratici vincono col 25% e il 22% dei voti. I conservatori sono avanti anche in Belgio, Irlanda, Romania, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Slovenia e Cipro. I liberali in Lussemburgo, in Estonia il Partito Riformista.
L’onda (bassa) dei sovranisti
Altra certezza: l’Europa non è stata sommersa dall’onda sovranista, come qualcuno temeva. Però quei voti ci sono. E a quei voti corrispondono seggi. Non ancora in grado di modificare o di influenzare la politica comunitaria, ma ci sono. Le vittorie più marcate sono state appunto in Francia, in Italia e in Gran Bretagna, dove il Brexit Party di Nigel Farage ha conquistato il 32% delle preferenze: ma anche questo è un voto dettato esclusivamente dalle vicende britanniche, dalla Brexit mancata, più che da una visione europea (e comunque, appena passerà la Brexit i seggi britannici verranno eliminati). In Polonia la lista nazionalista Diritto e Giustizia è la prima forza con il 42%. In Ungheria Fidesz, il partito del premier Orban, ha ottenuto il 52% dei consensi. La somma dei tre Gruppi che si collocano all’estrema destra del Parlamento Europeo (ECR, EFDD, ENL) conquista 171 seggi.
Un puzzle da ricomporre
In conclusione, quale Europa esce dalle urne? Un’Europa senz’altro in evoluzione, dove crollano alcune certezze, mentre crescono nuovi entusiasmi, di diversi colori, alcuni più brillanti, altri più cupi. Ma dove continuano a prevalere logiche nazionali. Come tentare d’incastrare tra loro tessere di puzzle differenti, con diverse misure, con diverse figure. Riuscirà un’Unione così frammentata a offrire concrete ed efficaci risposte ai cittadini europei?