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Oceani sempre più caldi. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Advances in Atmospheric Science, nel 2023 le acque a livello mondiale hanno continuato a riscaldarsi, non solo in superficie ma fino a 2000 metri di profondità raggiungendo livelli mai registrati prima. Variazioni anche nella salinità e nella stratificazione oceanica. Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di fisica dell’atmosfera dell’Accademia cinese delle scienze (Iap-Cas) e composto anche da scienziati neozelandesi, francesi e statunitensi dei Centri nazionali per le informazioni ambientali della National Oceanic and Atmospheric Administration (Ncei-Noaa). In Italia hanno partecipato alle ricerche Simona Simoncelli dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e Franco Reseghetti dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Ebbene, gli scienziati hanno rilevato che lo scorso anno nello strato compreso tra 0 e 2000 metri gli oceani hanno immagazzinato in totale una quantità compresa tra 247 e 286 ZettaJoule di calore (a seconda che si consideri il calcolo di Ncei-Noaa o di Iap-Cas): per avere un’idea di cosa questo significhi, basti pensare che mezzo ZettaJoule di energia all’anno è sufficiente per alimentare l’intera economia globale. Ma non è tutto: il contenuto termico rilevato nel 2023 supera quello dell’anno precedente di un valore compreso tra 9 e 15 ZettaJoule (anche in questo caso a seconda che si considerino i risultati di Ncei-Noaa o di Iap-Cas). In particolare, l’oceano Atlantico tropicale, il mar Mediterraneo e gli oceani meridionali hanno registrato i valori più alti osservati dalla metà del secolo scorso. Globalmente, dalla fine degli anni Ottanta ad oggi il tasso di aumento del contenuto termico è cresciuto di due o tre volte. Dal punto di vista metodologico, va sottolineato che la discrepanza tra le cifre sopra riportate è dovuta ai diversi metodi di calcolo e di controllo della qualità dei dati utilizzati dalle organizzazioni: i dati di partenza sono ottenuti da misurazioni in situ rese disponibili attraverso il World Ocean Database.
Anche la temperatura media di superficie ha raggiunto il massimo storico lo scorso anno, con circa 0,23°C più del 2022, e ben 0,3°C nella seconda metà del 2023. Complessivamente rispetto alla media degli anni 1981-2020 si è rilevato un aumento delle temperature superficiali oceaniche di 0,54°C.
[1/12] Now 2023 Ocean Data is out! Global 2023 upper 2000 m ocean heat content was the highest ever recorded by modern instruments, 15 ZJ higher than 2022 for IAP data (https://t.co/qZmzOeOe6v) with a major update of IAP time series since 1940 (https://t.co/WYLpOG9Rtv) pic.twitter.com/e5SKyZWqPf
— Lijing Cheng (@Lijing_Cheng) January 11, 2024
Per spiegare le ragioni alla base del progressivo riscaldamento degli oceani, gli scienziati partono da alcune osservazioni: “L’aumento dell’anidride carbonica e di altri gas serra nell’atmosfera a causa delle attività umane ha portato a un aumento della radiazione a onde lunghe (quella emessa dal nostro pianeta verso lo Spazio, ndr) intrappolata all’interno del sistema terrestre, con conseguente aumento della differenza tra la radiazione in entrata e quella in uscita nella parte superiore dell’atmosfera e causando uno squilibrio energetico terrestre. Poiché circa il 90% del calore in eccesso accumulato nel sistema terrestre si deposita negli oceani, questo squilibrio energetico provoca l’aumento della temperatura degli oceani e l’incremento del loro contenuto di calore”. Un ruolo hanno anche le fluttuazioni termiche a breve termine dell’Oceano Pacifico dovute alla transizione dei fenomeni La Niña ed El Niño, a partire da maggio 2023. Sono, questi, due eventi climatici periodici che provocano rispettivamente un forte raffreddamento o riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico. Un insieme di fattori dunque contribuisce all’aumento del calore contenuto negli oceani, alcuni dei quali tuttora oggetto di dibattito tra i climatologi.
I ricercatori riferiscono cambiamenti sostanziali anche in altri parametri oceanici, a partire dalla salinità. "Le acque complessivamente più calde – spiega l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – possono modificare l’andamento meteorologico a livello globale: la variazione delle precipitazioni atmosferiche e l’evaporazione delle acque superficiali alterano la salinità dell’oceano, per cui le aree salate continuano a divenire sempre più salate e le aree con acqua più dolce continuano a diminuire la loro salinità, con conseguenze sulla vita marina, sulle correnti oceaniche e sulle interazioni con l’atmosfera". Nel caso specifico, i ricercatori riferiscono che nello strato superiore ai 2000 metri nell’ultimo mezzo secolo è stato rilevato un forte aumento dell’indice di contrasto della salinità, che indica la differenza di salinità tra le regioni a salinità più alta e quelle a salinità più bassa rispetto alla media globale.
Va considerato infine un ultimo aspetto. Le acque calde, meno dense e meno salate tendono a rimanere in superficie e non sono in grado di trasportare calore, anidride carbonica e ossigeno alle acque più profonde, con gravi conseguenze per la vita animale e vegetale. Si parla in questo caso di stratificazione delle acque oceaniche: ebbene, proprio a causa del cambiamento della struttura verticale della temperatura e della salinità anche la stratificazione oceanica è aumentata dalla fine degli anni Cinquanta raggiungendo, sopra i 2000 metri, valori record nel 2023.
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Gli oceani coprono i tre quarti della superficie terrestre, contengono il 97% dell’acqua presente sulla Terra e circa 200.000 specie identificate. Più di tre miliardi di persone dipendono dalla biodiversità marina e costiera per il loro sostentamento. È fondamentale tenere presente, dunque, che ogni minimo cambiamento negli oceani non è privo di conseguenze. Circa il 50% dell’attuale aumento del livello del mare, riferisce Nature, è attribuito all’espansione degli oceani quando le acque accumulano calore. Il rapido riscaldamento degli oceani può causare un’intensificazione degli eventi meteorologici estremi, perché gli oceani mediano i modelli meteorologici globali che determinano precipitazioni, siccità e inondazioni. Ancora, potrebbe portare a una diversa distribuzione della vita marina, con lo spostamento di alcune specie verso le regioni polari o le acque più profonde. Un oceano più caldo potrebbe provocare anche dei cambiamenti nelle tempistiche con cui avvengono determinati eventi biologici, come la migrazione e i cicli riproduttivi, e influenzare pure le dimensioni del corpo delle creature marine.
Non a caso la tutela degli ecosistemi marini e costieri è stata inserita tra gli obiettivi dell’Agenda 2030: “Gli oceani del mondo (la loro temperatura, la loro composizione chimica, le loro correnti e la loro vita) influenzano i sistemi globali che rendono la Terra un luogo vivibile per il genere umano. L’acqua piovana, l’acqua che beviamo, il meteo, il clima, le nostre coste, molto del nostro cibo e persino l’ossigeno presente nell’aria che respiriamo sono elementi in definitiva forniti e regolati dal mare… Un’attenta gestione di questa fondamentale risorsa globale è alla base di un futuro sostenibile”. Se le basi sono state poste, la strada da fare è ancora molta.