SCIENZA E RICERCA

Pensare al futuro rende più buoni?

Il viaggio nel tempo è una fantasia (nonché un longevo topos letterario e cinematografico) che affascina gli esseri umani da tempo immemore. Quanto spesso abbiamo sognato di catapultarci indietro nel tempo per rivivere un evento passato oppure di ritrovarci, come per magia, in un mondo futuro? In realtà, tutti noi siamo viaggiatori del tempo. Seppur non esattamente come vorremmo, siamo in grado di proiettarci avanti e indietro nel tempo utilizzando l’immaginazione per calarci in situazioni passate o future.

Il cosiddetto future thinking (o pensiero futuro) è quell’attività mentale che compiamo quando spostiamo l’attenzione dal presente al futuro, immaginando scenari ipotetici (ma plausibili) su quello che potrebbe essere il nostro avvenire a una certa distanza di tempo. L’evoluzione e lo sviluppo di questa straordinaria capacità che consente agli esseri umani (e, chissà, forse anche ad altre specie animali) di viaggiare nel tempo sono tutt’ora oggetto di indagine nel campo delle scienze cognitive.

Secondo alcuni studi, il pensiero futuro potrebbe aver rappresentato un vantaggio importante nel corso dell’evoluzione umana, perché tale attività incrementa le capacità legate alla pianificazione, alla risoluzione di problemi, al processo decisionale e alla gestione delle emozioni. Per questi motivi, il pensiero futuro è anche considerato una vera e propria pratica che è possibile allenare e perfezionare attraverso percorsi didattici strutturati di formazione scolastica o lavorativa volti a rafforzare le capacità organizzative e la creatività.

L’abitudine di immergersi in ipotetici scenari futuri sembra favorire anche le competenze sociali, promuovendo la cooperazione, l’altruismo e l’apertura verso il prossimo. Eppure, come viene sottolineato in un recente studio pubblicato su PLOS ONE, la relazione tra pensiero futuro e comportamenti prosociali non è mai stata sufficientemente compresa e approfondita; infatti, come sottolineano i quattro firmatari – ricercatrici e ricercatori del Swiss Center for Affective Sciences dell’università di Ginevra – nella gran parte degli esperimenti scientifici condotti per studiare tale correlazione vengono considerati quasi sempre degli scenari futuri che riguardavano proprio il tipo di comportamento prosociale che poi veniva misurato (ad esempio, veniva chiesto ai partecipanti di immaginare di aiutare qualcuno e poi si sondava la sua disponibilità ad aiutarlo davvero). In altre parole, non era stato sufficientemente indagato, finora, il legame tra il pensiero futuro di per sé e la tendenza a collaborare con il prossimo.

I quattro studiosi dell’università di Ginevra hanno quindi deciso di colmare questa lacuna e, attraverso un esperimento che ha coinvolto 48 partecipanti, hanno confermato che il pensiero futuro positivo ha effettivamente un effetto causale sul comportamento prosociale di una persona a prescindere dal contenuto specifico dell’evento immaginato.

L’esperimento si è svolto in questo modo: ad alcuni dei 48 partecipanti è stato chiesto di immaginare un ipotetico evento futuro per un minuto, mentre gli altri (quelli assegnati casualmente al gruppo di controllo) dovevano elencare i nomi di tutti gli animali che venivano loro in mente per la stessa durata di tempo. Al sottogruppo di partecipanti a cui è stato chiesto di cimentarsi con il pensiero futuro è stato chiesto, in particolare, di immaginare uno scenario ipotetico e plausibile che avrebbe potuto verificarsi l’anno successivo e descriverlo agli sperimentatori, per poi rispondere ad alcune domande a riguardo.

Dopodiché, tutti i partecipanti si sono cimentati con lo Zurich prosocial game, uno strumento che permette di misurare il comportamento prosociale di una persona attraverso un’attività ludica. Si tratta di una sorta di videogioco da svolgere al computer che funziona in questo modo: due giocatori si trovano all’interno di un labirinto virtuale e ognuno deve cercare di collezionare più premi possibili lungo il suo percorso prima che il tempo scada. I due giocatori non sono in competizione, ognuno segue un percorso diverso e colleziona i suoi premi indipendentemente da quello che fa l’altro. Nonostante questo, i due possono decidere di darsi una mano a vicenda sbloccando delle porte che compaiono sul percorso dell’altro giocatore e che quest’ultimo non può aprire.

Ogni partecipante all’esperimento ha dovuto svolgere 11 manches, in ognuna delle quali le condizioni di gioco variavano leggermente per aumentare il livello di stress, angoscia o compassione (ad esempio, in alcune partite i giocatori potevano far piangere il loro avatar quando questo si trovava di fronte a una porta che non poteva aprire da solo). In ogni sessione, la decisione di aiutare l’altro giocatore comportava un diverso rapporto costi-benefici (ad esempio, in alcuni casi intervenire in soccorso dell’altro diminuiva le possibilità di raggiungere il proprio premio).

Analizzando i comportamenti dei giocatori durante le 11 partite giocate, un sistema di punteggio automatico ha misurato per ognuno di essi il livello di altruismo dimostrato. Questi dati sono stati poi confrontati con le risposte che ogni partecipante ha fornito in alcuni questionari pensati per valutare sia la tendenza a pensare al futuro positivamente, sia i comportamenti prosociali autoriferiti: in altre parole, nei questionari ogni partecipante doveva indicare, ad esempio, quanto spesso pensava al futuro con ottimismo e quanto spesso, nella vita quotidiana, provasse sentimenti di empatia e preoccupazione verso gli altri.

I risultati dello studio hanno confermato l’esistenza di una correlazione tra il pensiero futuro e il comportamento altruistico che le precedenti ricerche avevano descritto: le persone che avevano pensato al futuro prima di giocare al videogame erano maggiormente propense a collaborare durante la partita rispetto a quelle che avevano elencato nomi di animali. Inoltre, le risposte raccolte tramite i questionari hanno mostrato che, in generale, le persone che avevano dichiarato di pensare sia al passato che al futuro con ottimismo tendevano a riferire anche una maggiore propensione a compiere atti di disinteressato altruismo nella vita quotidiana.

Insomma, sembra che pensare al futuro in maniera positiva ci spinga ad aiutare gli altri e a collaborare con loro. Per questo, la conoscenza e la promozione del pensiero futuro all’interno della popolazione potrebbero produrre effetti positivi su piccola, media e larga scala, e trovare persino applicazione nell’ambito della mediazione e della risoluzione di conflitti su vari livelli. “Gli effetti benefici descritti potrebbero estendersi ad altri contesti del mondo reale in cui può essere difficile attuare comportamenti prosociali”, scrivono gli autori. “Il pensiero futuro può contribuire a risolvere una delle principali sfide affrontate dai decisori politici e dai ricercatori quando si interrogano su come intervenire in caso di conflitti intergruppi: incoraggiare le persone a modificare emozioni e atteggiamenti verso i membri che non appartengono al proprio gruppo di riferimento”.

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