In un rendering si ipotizza come potrebbe essere la superficie di Trappist-1f, uno dei tre pianeti inseriti nella fascia abitabile del sistema planetario. Foto: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (IPAC
Continua la caccia ai pianeti extrasolari con possibili forme di vita e l’ultimo annuncio in ordine di tempo arriva dalla Nasa. Secondo uno studio pubblicato su Nature intorno a una stella nana rossa, Trappist-1, orbitano sette pianeti di dimensione e massa simili alla Terra, tre dei quali si trovano nella zona abitabile, vale a dire a una distanza tale dalla stella madre da consentire la presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie del pianeta. E se negli Stati Uniti ora si concentreranno sull’analisi del sistema planetario, l’Europa si prepara (con un importante contributo da Padova) al lancio di due satelliti (Cheops nel 2018 e Plato nel 2025), realizzati proprio per lo studio e la scoperta di pianeti extrasolari.
Ma torniamo dall’altra parte dell’oceano. Dei sette pianeti che compongono il sistema, tre in realtà erano già stati scoperti lo scorso anno; ora, grazie allo sforzo congiunto di un gruppo di ricerca internazionale che ha messo in campo telescopi terrestri e spaziali tra cui il Very Large Telescope dell’Eso (European Southern Observatory), ne sono stati individuati altri quattro. Tutti orbitano intorno a una stella di piccola taglia, con una massa pari all’8% di quella del Sole e distante circa 40 anni luce. Gli scienziati hanno stabilito le dimensioni dei sette pianeti e avanzato le prime stime sulla massa di sei di questi, dato che ha permesso di calcolare anche la densità: ciò ha consentito di affermare che probabilmente i pianeti sono rocciosi. La massa del settimo, il più lontano, non è ancora stata calcolata. I pianeti hanno orbite molto strette: se facessimo un paragone con il nostro sistema solare sarebbero quasi tutte comprese entro l’orbita di Mercurio. Ciò che ha consentito di individuarne così tanti è la debole luminosità della nana rossa (molto più fredda del Sole): il contrasto tra la luminosità della stella centrale e quella dei pianeti che brillano di luce riflessa è tale da rendere la scoperta di questi pianeti più facile rispetto a casi in cui la stella è più brillante.
“L’Unione astronomica internazionale – sottolinea il segretario generale Piero Benvenuti – ha accolto con grande attenzione questa scoperta che conferma l’importanza della linea di ricerca di sistemi extrasolari e soprattutto dello studio dell’atmosfera di questi pianeti, che potrebbe dare indicazioni più precise sulla possibile presenza di forme di vita terrestre”. Va detto tuttavia che quella della Nasa non è una scoperta completamente nuova, dato che sono già stati individuati sistemi extrasolari con più di un pianeta. Si tratterebbe piuttosto di una conferma del fatto che la grande maggioranza delle stelle possiede almeno un pianeta che le orbita intorno e questo moltiplica le probabilità che su alcuni di questi esistano le stesse condizioni e gli stessi processi che hanno dato origine alla vita sulla Terra. Una probabilità, questa, che diventa sempre più alta.
Certo, il nuovo sistema di pianeti presenta caratteristiche interessanti. “È la prima volta – osserva Giampaolo Piotto, docente del dipartimento di Fisica e Astronomia “G. Galilei” dell’università di Padova coinvolto nei progetti Cheops e Plato – che viene osservato un sistema extrasolare con un numero di pianeti così elevato, di cui tre nella zona abitabile. Ciò significa essere vicini a un sistema planetario simile al nostro sistema solare in cui, se le caratteristiche atmosferiche sono quelle adatte, potrebbe esserci acqua allo stato liquido. Il condizionale tuttavia è d’obbligo dato che nel nostro sistema solare Venere, Marte e la Terra si trovano nella zona abitabile, dunque in condizioni che potenzialmente potrebbero permettere la vita, eppure solo sulla Terra la vita esiste”. Continua Piotto: “Va considerato che noi oggi conosciamo più di 3.500 pianeti e di questi una decina potrebbero trovarsi nella zona di abitabilità, potenzialmente dunque avere acqua liquida in superficie. I tre pianeti, dei sette individuati dalla Nasa, potrebbero essere tra i primi candidati a essere studiati”. Per caratterizzarne l’atmosfera dunque e per verificare l’eventuale presenza di molecole associabili a qualche forma di vita.
Intanto anche l’Europa sta lavorando in questa direzione. Padova è coinvolta in modo particolare nello studio dei sistemi extrasolari con l’Agenzia spaziale europea, con la partecipazione ai progetti Cheops (CHaracterising ExOPlanets Satellite) e Plato (Planetary Transits and Oscillations of Stars). La prima missione, a cui prendono parte ricercatori dell’università e dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Padova, prevede il lancio di un satellite che servirà a studiare le caratteristiche dei pianeti extrasolari già noti, per determinare se questi sono rocciosi, come la Terra o Venere, o gassosi come Giove o Saturno. Si tratta di un dato particolarmente significativo se si considera che, volendo individuare pianeti con possibili forme di vita, sarà necessario concentrarsi su quelli di tipo roccioso con una atmosfera in grado di proteggere la vita nella sua fase embrionale, invece che sui secondi in cui è altamente improbabile lo sviluppo di qualsiasi forma di vita. Ebbene l’“occhio” di Cheops, il telescopio progettato dai ricercatori dell’Inaf coordinati da Roberto Regazzoni e costruito in Italia, sarà assemblato sul satellite presumibilmente tra aprile e maggio e a metà del 2018, un po' più tardi rispetto a quanto previsto in un primo momento, sarà lanciato nello spazio.
Si dovrà attendere invece ancora qualche anno per il lancio di Plato (Planetary Transits and Oscillations of Stars), un secondo satellite altamente sofisticato che vede coinvolti ancora l’università di Padova e l’Inaf e che avrà a bordo ben 34 telescopi progettati sempre a Padova grazie ai quali sarà possibile individuare molti altri nuovi pianeti extrasolari.
Nel frattempo si lavora anche all’Extremely Large Telescope, il più imponente telescopio ottico/vicino-infrarosso della storia, che secondo le previsioni dovrebbe essere ultimato nel 2024. In questo caso l’Inaf si occuperà della progettazione e costruzione di “Maory” (Multi-conjugate adaptive optics relay), un sistema di ottiche adattive che verrà installato su E-Elt e avrà il coordinamento del consorzio Hires (High resolution spectrograph) per la realizzazione di uno spettrografo ad alta risoluzione che sarà posto sul telescopio. Tutto ciò per indagare i buchi neri supermassicci, la distribuzione della materia oscura nell’Universo e, non da ultimo, proprio i pianeti extrasolari.