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Il piano per eradicare la poliomielite

Cinque bilioni di dollari per eradicare la poliomelite entro il 2026. È questa la cifra stanziata da una serie di organizzazioni sanitarie di tutto il mondo per la Global Polio Eradication Initiative, un ambizioso progetto nato nel 1988 che conta sulla partnership tra enti pubblici e privati.
Con il Coronavirus, infatti, il piano di vaccinazioni precedente ha rallentato il ritmo e nel 2020 ci sono stati 1.226 casi, ma anche prima della pandemia gli sforzi per vaccinare l'intera popolazione non avevano ottenuto il risultato sperato, e si erano verificati 138 casi di polio (certo, non sono tanti, ma parliamo di una malattia che si può prevenire in una percentuale che si avvicina molto al 100%). Un'occasione persa, se pensiamo che il 25 agosto 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, ha annunciato al mondo l'eradicazione della poliomielite dal continente africano.

Naturalmente ci si è chiesti cosa fosse andato storto nei piani vaccinali. La risposta più ovvia è quella che riguarda i finanziamenti, ma quella che sembra una causa è in realtà solo un effetto dell'agenda politica di alcuni stati, che forse non vedono una priorità nell'eradicazione della malattia. Se questo era vero in periodo pre-Covid, ora la situazione può solo peggiorare, ed è proprio in questo contesto che si inserisce il piano da cinque bilioni di dollari, che serviranno a garantire le risorse economiche necessarie per un efficace piano di vaccinazione ma anche una corretta informazione per prevenire la resistenza vaccinale (in Afghanistan, per esempio, i talebani impediscono ai medici di vaccinare i bambini andando casa per casa come si è fatto invece in altri paesi).

Del resto non è la prima volta che questa malattia spinge ad aprire il portafoglio: lo ha raccontato Agnese Collino, supervisore scientifico della Fondazione Umberto Veronesi, nel libro La malattia da 10 centesimi. Storia della polio e di come ha cambiato la nostra società (Codice Edizioni) e con lei abbiamo ripercorso alcune tappe di questa storia.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello

"Gli sforzi economici - spiega Collino - sono iniziati in realtà molto tempo fa: parliamo degli anni Trenta perché, per quanto la poliomielite sia una malattia antica le epidemie più serie sono cominciate solo all'inizio del Novecento. Questi sforzi sono iniziati sull'onda di una spinta politica o comunque mediatica data dal fatto che il primo malato famoso che si è esposto in prima persona per questa malattia è stato Franklin Delano Roosevelt, cioè il futuro presidente degli Stati Uniti d'America. Roosevelt fu colpito dalla poliomielite all'inizio degli anni Venti ed era ancora all'inizio del suo percorso politico; quando poi nel 1932 è stato eletto presidente fu un grande cambiamento, perché all'epoca non era consueto che un disabile ottenesse una carriera così prestigiosa".
È stato proprio lui con il suo staff a rendere la lotta alla poliomielite così importante per tutti gli americani, una sorta di sfida patriottica che li interessava tutti.
Ed è stato lui a creare la Warm Springs Foundation che in un primo tempo si è concentrata sulla riabilitazione dei pazienti grazie all'idroterapia.

Ma la vera svolta in chiave di ricerca fondi avvenne nel 1934, quando si introdussero i balli di compleanno. "Da allora ogni anno - spiega Collino - per il compleanno di Roosevelt venivano organizzate delle cerimonia di gala in tutti gli Stati Uniti e i proventi andavano proprio la ricerca per la polio. Nel '38 nacque la vera e propria fondazione prototipo un po' di tutte le charity moderne, ovvero la National Foundation for Infantile Paralysis, la fondazione nazionale per la paralisi e infantile, che aveva tra i suoi obiettivi la ricerca sul funzionamento del virus della poliomielite e di una di una cura o di un vaccino".
Per ottenere finanziamenti fu introdotta la March of Dimes, la marcia delle monetine (da cui il titolo del libro): il messaggio di questa campagna era tanto semplice quanto efficace ed era che chiunque può contribuire alla causa, anche con una monetina da pochi centesimi (e di monetine ne arrivarono parecchie, direttamente alla Casa Bianca: il totale fu di 1 milione e 823 mila dollari, l'equivalente di 34 milioni di dollari odierni).

Ma com'è possibile, allora, che in quasi cento anni, con un vaccino efficace a disposizione, non si sia ancora riusciti a debellare questa malattia?
La storia del vaccino nel libro è trattata diffusamente. Semplificando, esistono due vaccini utilizzati per la polio, uno a somministrazione orale, ideato da Albert Bruce Sabin partendo dal virus attenuato e un altro, creato da Jonas Salk, che va iniettato e che contiene il virus inattivato.
Il vaccino di Sabin ha il pregio di essere più semplice da somministrare, ma ha un difetto non da poco: in alcuni casi può portare individui non vaccinati ad ammalarsi, perché il virus attenuato si diffonde attraverso le feci e può mutare se entra in contatto con persone non protette, e quindi l'uso rischia di tenere vivo il fuoco dell'epidemia.
Il vaccino di Salk, invece, è molto più stabile e quindi previene le mutazioni, ma è più complicato da somministrare su larga scala, sia a livello organizzativo sia per problemi di percezione che rischiano di portare a una resistenza vaccinale nelle popolazioni più colpite.

Anche per questo motivo, la deadline che si poneva come obiettivo l'eradicazione della polio nel 2018 non è stata rispettata, ma ora la Global Polio Eradication Initiative prevede tra le altre cose l'attivazione di due squadre pronte ad agire in caso di epidemia entro 72 ore, una nel Mediterraneo orientale e l'altra nell'Africa subsahariana: è una sfida che si può e si deve vincere, e la poliomielite potrebbe essere la seconda malattia debellata dopo il vaiolo.

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