Come fanno i pipistrelli a orientarsi nel buio e a catturare le prede senza vederle? Questi mammiferi utilizzano l'ecolocalizzazione, che sfrutta gli echi dei suoni prodotti per stimare variabili come la distanza dalle prede e da eventuali ostacoli. Ora, grazie a uno studio di Adarsh Chitradurga Achutha e altri, pubblicato su Plos computational Biology abbiamo nuove informazioni su questo processo, che è molto più basico di quanto si potrebbe pensare.
In effetti, ci si potrebbe chiedere come riescano questi animali a non confondersi, vista l'alta quantità di stimoli che possono trovare: lo studio ha dimostrato che se riducessimo la qualità audio degli echi anche fino al 90%, le informazioni di base sarebbero mantenute.
I pipistrelli, in altre parole, riescono a bypassare la ridondanza degli stimoli. È come quando scrvmo sltnd dlle lttre: il crvll umn risce a mttre insme le prle e a drc n snso: per il nostro cervello, anche se non per grammatica e morfologia, la parola scritta contiene delle parti in eccesso, che non sono fondamentali per comprendere e interpretare il messaggio. In questo senso, i pipistrelli sono stati definiti i re dello small talk, un termine piuttosto intraducibile in italiano che va a indicare lo stile di comunicazione leggero e informale che caratterizza le conversazioni tra persone che non si conoscono: si parla del tempo, di cibo e di cucina o dell'ultimo telefilm visto alla tv, piuttosto che di argomenti più seri e potenzialmente divisivi come politica e attualità. Apparentemente questo tipo di scambi non dà molti indizi sulla persona che abbiamo di fronte, eppure sono ritenuti molto importanti in alcuni paesi, soprattutto in quelli di lingua anglofona, perché i discorsi poco impegnati danno modo alle persone di concentrarsi sulle informazioni non verbali che permettono, al primo impatto, di farsi un'idea di chi si ha di fronte.
In effetti, riuscire a separare ciò che è davvero importante dal rumore di fondo per estrapolare le cose più significative è fondamentale sia per gli esseri umani che per i pipistrelli. Ma nel caso di questi ultimi, come funziona il processo? Per comprendere meglio la questione, abbiamo intervistato Danilo Russo, professore di ecologia all'università di Napoli Federico II.
servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello
Intanto bisogna chiarire cos'è esattamente l'ecolocalizzazione. Il professor Russo fa un efficace parallelo visivo: potremmo immaginarci un pipistrello che mentre vola spara a raffica, ma invece che i proiettili avremmo in questo caso degli ultrasuoni che, durante il loro percorso, vanno a scontrarsi con tutti gli oggetti circostanti, che possono essere prede o ostacoli. Questi ultrasuoni tornano indietro, in modo che l'animale possa misurare la distanza tra lui e l'oggetto in questione, ma anche interpretare le caratteristiche ambientali, grazie all'analisi delle alterazioni dell'eco di ritorno. "Ciascuna di queste alterazioni - spiega Russo - può essere un indizio di una caratteristica ambientale, quindi l'eco porta con sé non solo informazioni di distanza, ma anche una serie di informazioni sulla struttura dell'oggetto intercettato, sulla sua tessitura e così via. Questo è un sistema estremamente sofisticato che ricorda quello del sonar a bordo delle navi, che però è solo una pallida imitazione di questo sistema che si è evoluto in oltre 50 milioni di anni."
Abbiamo visto in precedenza cosa si intende per ridondanza degli stimoli, ma andiamo più nello specifico: il professor Russo ci spiega che quando gli echi emessi intercettano un oggetto, restituiscono moltissime alterazioni, ma non tutte possono fornire informazioni utili agli animali. "Pensi per esempio - continua Russo - a un predatore che, in un ambiente più o meno complesso, cerca di identificare la sua preda: con l'esperienza si forma quella che viene detta immagine di ricerca: il pipistrello cerca gli elementi chiave che gli permettono di riconoscere rapidamente la preda, senza essere confuso dalle tante altre informazioni che arrivano nel mentre".
Questo processo assume un ruolo importante anche per agevolare la memoria, perché grazie al filtraggio delle informazioni si vanno a definire e circoscrivere anche quelle più importanti da ricordare e quindi l'intero meccanismo risulta molto più semplice rispetto al tentativo di ricordare elementi più complessi e articolati.
"Lo studio su Plos computational Biology - spiega Russo - ha simulato in laboratorio il comportamento di un pipistrello in diversi contesti ambientali. I ricercatori hanno utilizzato una sorta di robot che ha bombardato l'ambiente di ultrasuoni, che sono stati registrati e se ne è estratto quello che si chiama cocleogramma, cioè l'immagine che il sistema neurale dell'animale elabora per poi estrarre l'informazione. A questo punto gli studiosi hanno utilizzato dei filtri e hanno impoverito il cocleogramma di una serie di elementi, per poi scoprire che, nonostante questo filtraggio, l'immagine acustica rimaneva descrittiva dell'informazione che il segnale d'origine portava. Questo significa che i pipistrelli possono lavorare su una semplificazione dell'eco che lo rende più leggero, più facile da interpretare e da mantenere nel tempo".
È facile comprendere che questo processo di semplificazione porta a un vantaggio evolutivo non da poco: l'ecolocalizzazione, a quanto pare, è un sistema estremamente efficace per processare le informazioni, perché è rapido ed economico, in quanto permette di disperdere le energie solo per quello che conta veramente.
E chissà che un giorno non venga coniato il detto "andare dritti al punto come un pipistrello"!