Negli ultimi cinquant’anni è stato rilevato a livello globale un graduale aumento delle malattie allergiche tra cui le pollinosi, soprattutto nei Paesi industrializzati, che può essere dovuto non solo a un cambiamento nello stile di vita rispetto al passato, ma probabilmente anche a un aumento della quantità di pollini allergenici trasportati nell’atmosfera e a un allungamento complessivo delle stagioni polliniche. Con tutte le conseguenze che ciò può comportare per i pazienti. Questi infatti, spiega a Il Bo Live Gianenrico Senna, presidente della Società Italiana di Allergologia, asma e immunologia clinica, devono assumere farmaci per periodi più lunghi, ma non solo. Rispetto al passato, sono in aumento i soggetti polisensibili, allergici dunque non a una sola specie pollinica ma a due o tre: ciò significa che i periodi di impollinazione si sommano e il soggetto soffre dei sintomi molto più a lungo rispetto a chi invece è sensibile a una sola specie. Da tempo si sta indagando il ruolo che i cambiamenti climatici possono avere sulle variazioni delle stagioni polliniche e le conoscenze si stanno via via ampliando.
Uno studio pubblicato in questi mesi su Pnas, per esempio, riferisce i dati raccolti in 60 stazioni del Nord America dal 1990 al 2018, e rileva un aumento della concentrazione pollinica in atmosfera del 21%, un anticipo della stagione pollinica di circa 20 giorni e un allungamento di otto. “I nostri risultati – scrivono gli autori – rivelano che il cambiamento climatico antropogenico ha già esacerbato le stagioni dei pollini negli ultimi tre decenni, con conseguenti effetti deleteri sulla salute respiratoria”. Ancora, su The Lancet Planetary Health sono riportati i dati di un’analisi retrospettiva condotta su 17 siti in tre continenti, in un periodo di circa 26 anni: nel 71% dei siti è stato rilevato un aumento significativo del carico pollinico cumulativo stagionale o annuale, e nel 65% un aumento della durata complessiva della stagione pollinica nel tempo. I risultati dello studio, secondo gli scienziati, rivelano che l’aumento delle temperature massime e minime annuali in corso potrebbe contribuire all’estensione della durata della stagione pollinica e all’aumento del carico di polline in atmosfera, e ciò per molti taxa di pollini aeroallergenici in diverse località dell'emisfero settentrionale. I ricercatori evidenziano, dunque, un’importante relazione tra riscaldamento globale in corso e salute pubblica, che potrebbe essere esacerbato dal continuo aumento delle temperature.
Per quel che riguarda l’Europa, invece, fornisce ulteriori dati un terzo studio pubblicato alcuni anni fa su Plos One: sono stati presi in esame 23 taxa in 97 siti di 13 Paesi europei in un arco temporale compreso tra il 1977 e il 2009 ed è stata notata una tendenza all’aumento della quantità annuale di polline per molti taxa, più pronunciato nelle aree urbane. “Il cambiamento climatico può contribuire a questi cambiamenti – sostengono in questo caso i ricercatori – tuttavia, l’aumento delle temperature non sembra essere il fattore di influenza principale. Riteniamo invece che a influire possa essere l’incremento antropogenico dei livelli di CO in atmosfera”. Quelli citati sono solo alcuni degli studi condotti in questa direzione, di cui ha riferito in maniera più ampia Elena Gottardini, ricercatrice della Fondazione Edmund Mach. Centro ricerca e innovazione nel corso di un seminario nazionale sull’argomento promosso da Arpa Marche.
Della relazione tra riscaldamento globale, cambiamenti climatici e pollini, abbiamo parlato con Giuseppe Frenguelli, professore di botanica generale all’università di Perugia. “Le piante – spiega il docente – rispondono ai parametri ambientali, prima di tutto alla temperatura che in questi ultimi decenni ha subito una variazione soprattutto nei mesi primaverili, dunque marzo e aprile, e nei primi mesi estivi, cioè giugno e luglio, senza trascurare anche un aumento della temperatura, sebbene meno evidente ma pur sempre significativo, durante l’inverno. Questo ha creato dei problemi nella fisiologia della fioritura delle piante che dipendono dalla temperatura, soprattutto alle nostre latitudini, in maniera estremamente significativa. Da non sottovalutare anche una risposta legata alle diverse piovosità, accentuata soprattutto nelle nostre regioni più meridionali rispetto a tutta l’Europa”.
Intervista completa a Giuseppe Frenguelli. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar
Con quali conseguenze dunque? “In questi ultimi 20-30 anni sono state registrate variazioni legate essenzialmente all’inizio della liberazione del polline in atmosfera, alla durata della sua presenza in atmosfera, cioè alla durata della cosiddetta stagione pollinica. Questo è particolarmente evidente nelle specie che fioriscono a fine inverno, inizio primavera, fino a primavera inoltrata, dunque a maggio, tali variazioni sono invece meno evidenti in quelle che fioriscono nel periodo estivo. Per quel che riguarda l’Europa o in particolare la stessa Italia, possiamo dire vi sia un anticipo che va circa da 0,2 a 0,7-0,8 giorni all’anno. Per esempio per le graminacee, che sono tra le specie più allergeniche in assoluto, in tutta Europa e anche in Italia si rileva un anticipo medio di 0.4-0.5 giorni all’anno. Quindi ogni dieci anni la stagione pollinica viene anticipata di cinque giorni, con la conseguenza per chi soffre di allergie a queste piante di avere un inizio dei sintomi precoce rispetto al passato”.
Frenguelli spiega, inoltre, che la durata della stagione pollinica delle singole specie si è un po’ accorciata, le piante fioriscono prima ma lo fanno poi in maniera più veloce, e questo è determinato dall’aumento della temperatura sia nei mesi immediatamente precedenti la fioritura, sia durante il periodo della fioritura stessa. Ciò vale sia per l’Italia che per il resto d’Europa, e dipende anche dal tipo di piante che si considerano, poiché ogni regione ha le sue peculiarità. “L’accorciamento della stagione, in Italia come in tutto il Mediterraneo e in gran parte dell’Europa, riguarda la grande maggioranza degli alberi, anche se spesso non in modo significativo, con poche eccezioni. Solo Parietaria, in Italia e in tutto il Mediterraneo, e Ambrosia, nel nord Italia e in tutto il centro Europa, mostrano un trend diverso con un allungamento della loro stagione di pollinazione, registrato nelle ultime tre decadi, che è rispettivamente di circa 25/30 giorni e di 15/20 giorni, dovuto sia ad un anticipo che a un prolungamento della pollinazione”. Parietaria nel centro e nord Italia inizia a fiorire in aprile, al sud anche in marzo e nelle zone più calde rimane quasi tutto l'anno e continua a liberare polline fino a tutto settembre; Ambrosia comincia invece a luglio, fiorendo fino all’inizio dell’autunno.
“Se, però, andiamo a considerare la lunghezza della stagione dei pollini nel suo complesso – precisa il docente –, cioè senza distinguere le singole specie, questa tende ad allungarsi sia per l’anticipo di specie con pollinazione invernale come nocciolo o cipresso, sia per l’allungamento della stagione di alcune altre primaverili/estive, come appunto parietaria: andiamo dunque a sommare specie diverse, ognuna con un tipo di risposta”. Frenguelli spiega che sia l’anticipo delle specie invernali/primaverili che il prolungamento delle erbe primaverili/estive è dovuto (come si è detto) all’aumento della temperatura. Parietaria, per esempio, nelle regioni più calde è considerata come un “allergene permanente” e non più stagionale in quanto presente, anche se in quantità variabile, in tutti i mesi dell'anno.
Quando si parla di stagionalità pollinica, qualche considerazione va fatta anche su centri urbani e aree rurali. Nelle città, infatti, la temperatura media è sempre più elevata rispetto alla campagna: le cosiddette isole di calore dovute al riscaldamento degli edifici, dell’asfalto, delle strade determinano anche in questo caso un leggero anticipo della stagione pollinica nei centri urbani rispetto alle aree rurali. Anche per questo, quando si discute l’opportunità di aumentare il verde urbano si dovrebbero considerare, secondo Frenguelli, piante che hanno una pollinazione entomofila, che avviene cioè attraverso gli insetti e non tramite il vento, e ciò perché tali piante liberano una minore quantità di polline in atmosfera e dunque sono meno allergeniche. È importante dunque, secondo il docente, avere più piante possibile in città, per tutti i benefici che ne possono derivare alla popolazione, ma è altrettanto rilevante fare una scelta mirata delle specie da utilizzare, optando per una vegetazione non allergenica.
Ormai da oltre 40 anni esistono reti di monitoraggio della presenza di pollini aerodiffusi nell’atmosfera. Non solamente in Italia, ma anche in Europa le centraline monitorano giornalmente la presenza di polline. “Quando si costruiscono i calendari di pollinazione - conclude Frenguelli - si nota, specie su medie decennali, un anticipo della stagione pollinica, si rileva un rilascio molto più immediato di polline, quindi presenze elevate di ‘picchi di polline’ in atmosfera rispetto ad anni che invece erano un po’ più freddi, come in passato. Il monitoraggio permette di seguire giorno per giorno, anno dopo anno, la presenza dei pollini. Si tratta dunque di un’indagine fenologica che invece di essere condotta direttamente in campo con l’osservazione del fiore e delle gemme, viene fatta monitorando la presenza di questi pollini in atmosfera”.