SCIENZA E RICERCA
Polpi e soft robotics: dai modelli matematici al cuore ibrido biocompatibile
Il suo corpo si deforma, adattandosi anche a spazi molto piccoli. Non possiede alcuna struttura rigida. Le sue otto braccia si flettono in ogni punto e in ogni direzione, si allungano e si accorciano ma soprattutto, quando la situazione lo richiede, si possono irrigidire in alcune loro parti. I suoi arti diventano così una sorta di scheletro modificabile. E ancora, può afferrare e manipolare oggetti, ma anche nuotare e “camminare” sui fondali. Per tutte queste sue peculiarità, e per le ricadute pratiche che ne possono derivare, il polpo negli ultimi anni è diventato un “sorvegliato speciale” da parte di chi nella comunità scientifica si occupa di soft robotics bioispirata.
Alcuni scienziati della University of Illinois Urbana-Champaign, per esempio, hanno recentemente illustrato sui Proceedings of the Royal Society A un modello matematico dei muscoli del braccio del polpo, nell’ambito del progetto CyberOctopus. Come si è anticipato, l'animale ha una struttura anatomica particolare: i tre gruppi muscolari interni principali (longitudinale, trasversale e obliquo) fanno sì che il braccio si deformi secondo diverse modalità (taglio, estensione, flessione e torsione), ma l’elemento più interessante per le applicazioni robotiche è la capacità di indurre contrazioni muscolari simultanee che fanno irrigidire i tentacoli. Gli scienziati, nel caso specifico, hanno espresso la muscolatura del braccio utilizzando una funzione di energia immagazzinata, un concetto mutuato dalla meccanica dei continui.
Il lavoro fa parte di una letteratura che cerca di stabilire dei principi e dei modelli matematici per riprodurre in maniera artificiale la ricchezza dei comportamenti del braccio del polpo. I primi tentativi risalgono all’inizio degli anni Duemila in America, e anche in Europa intorno al 2010-2012 si è provato a inseguire questa possibilità.
Lavoro pubblicato su "Proceedings of the Royal Society A". Paper link: https://doi.org/10.1098/rspa.2022.0593
“I ricercatori – spiega Matteo Cianchetti, professore dell’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa al quale ci siamo rivolti per discutere di soft robotics, partendo proprio da questo studio – descrivono in modo preciso e dettagliato i gruppi muscolari che compongono il braccio del polpo, utilizzando strumenti matematici molto avanzati come il concetto di store energy function: cercano cioè di modellare singoli muscoli o gruppi muscolari con una funzione che descrive l’energia immagazzinata dai muscoli stessi. L’approccio che questo gruppo ha seguito è molto interessante dal punto di vista matematico, molto elegante e corretto, e sicuramente può essere utile per descrivere il comportamento di un robot continuo composto da materiali soft”. Una struttura che può essere immaginata come un cono o un cilindro allungato in silicone, senza alcun tipo di giunti. “Tra il mondo numerico e il mondo reale tuttavia – osserva il docente – ci sono molte differenze. Numericamente possiamo considerare un numero estremamente elevato di unità muscolari che possono determinare un comportamento complesso, ma quando si cerca di riprodurre questa complessità artificialmente la tecnologia abilitante manca. Ad oggi non possediamo la capacità di creare un muscolo artificiale, soprattutto delle dimensioni che servirebbero”.
Secondo Cianchetti, inoltre, nello studio non è stato preso in considerazione un elemento importante, e cioè l’interazione del polpo con l’ambiente. “Quella che gli scienziati propongono è una descrizione puramente interna dell’interazione tra gruppi muscolari, per dimostrare come queste sinergie siano in grado di generare movimenti complessi. In realtà quello che succede nel modello biologico, e che noi riteniamo essere l’aspetto più interessante, è che il polpo sfrutta moltissimo l’interazione con l’ambiente”. Non si tratta dunque solo di controllare in maniera fine ciò che accade a livello muscolare, ma bisogna considerare che l'animale riesce a realizzare un certo tipo di movimenti grazie alla sua struttura muscolare, a un sistema complesso di gerarchie del sistema nervoso e all’interazione con l’acqua.
Matteo Cianchetti e Giada Gerboni, dell'Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, parlano di soft robots e del progetto Stiff Flop
Matteo Cianchetti è stato tra i primi, nell’ambito del progetto Octopus coordinato dalla professoressa Cecilia Laschi della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e finanziato dalla Commissione europea, a esplorare le possibilità offerte da questo settore di ricerca. “Il polpo ha dei comportamenti incredibili nonostante non possieda alcuna parte rigida su cui fare leva e alcuna struttura scheletrica, un concetto questo che fino a 20 anni fa non era nemmeno preso in considerazione. Il nostro obiettivo allora fu principalmente quello di dimostrare che si possono ottenere movimenti interessanti e utili dal punto di vista robotico, anche senza contare su strutture rigide. Abbiamo dunque creato un polpo artificiale, la cui applicazione non era nemmeno descritta, poiché non era quello il punto: l’importante era capire e sviluppare tecnologie che potessero avvalorare queste possibilità, queste nuove abilità”.
Solo successivamente, nell’ambito del progetto Stiff Flop, coordinato in questo caso dal King’s College di Londra, si decise di considerare le ricadute pratiche di quanto appreso nel corso di questi primi studi, nello specifico in campo medico: l’idea fu quella di sviluppare uno strumento chirurgico per endoscopia e interventistica che potesse contare sui vantaggi di una robotica soft, dunque su una sicurezza intrinseca e una elevata destrezza soprattutto in distretti come quello addominale o gastrointestinale, difficili da ottenere con la strumentazione chirurgica attuale. A guidare le ricerche, la convinzione che robotica tradizionale e robotica soft non siano settori antitetici, ma complementari. “Abbiamo sviluppato un sistema che dal punto di vista biomimetico ha perso via via molte delle caratteristiche anatomiche che possiede il polpo – sottolinea Cianchetti –, ma le funzionalità, i materiali e le tecnologie che sono state sviluppate guardando a questo animale come modello hanno continuato a vivere”. Ciò che i ricercatori hanno realizzato è un endoscopio, della lunghezza di circa 15 centrimetri e con un diametro di 14 millimetri, in cui è stata valutata anche l’integrazione di sensori per determinare la posizione e l’orientamento del robot. Lo strumento è compatibile con la tradizionale dotazione chirurgica e con il robot Da Vinci, attualmente l’unico robot approvato per l’utilizzo nelle sale chirurgiche.
Rendering del sistema di doccia robotica I-Support. Foto: Istituto di Biorobotica, Scuola Superiore Sant'Anna (CC BY 4.0)
Sfruttando tecnologie di soft robotics, ma di rigidezza variabile – imitando dunque la capacità del polpo di utilizzare i suoi arti come fossero uno scheletro modificabile – nel corso del progetto I-Support i ricercatori negli anni a seguire hanno lavorato a una doccia robotica, principalmente per l’assistenza agli anziani e alle persone non completamente autosufficienti nelle attività di igiene personale. “In questo caso abbiamo sviluppato un braccio robotico, testato all’interno di una struttura ospedaliera, che viene utilizzato come un doccino capace di muoversi da solo, attraverso un comando vocale, anziché essere manipolato dall’utente”.
Se questi sono alcuni dei risultati ottenuti in questi anni, oggi Cianchetti e colleghi stanno collaborando alla realizzazione di un cuore artificiale ibrido biocompatibile nell’ambito del progetto europeo HybridHeart, che punta a riprodurre i movimenti e le funzionalità del cuore umano per ripristinare il flusso sanguigno naturale nei soggetti con insufficienza cardiaca. L’intuizione è stata di Jolanda Kluin, professoressa di cardiochirurgia alla Amsterdam Umc University Medical Centers e coordinatrice del gruppo di lavoro, e l’obiettivo è di realizzare un cuore ibrido che ha una parte interna composta da tessuto umano, vasi sanguigni e valvole cardiache in grado di interagire con una struttura esterna, formata da un guscio robotico morbido con muscoli artificiali e da un supporto realizzato con materiali biocompatibili su cui far crescere le cellule cardiache. Nelle intenzioni, la tecnologia alla base di HybridHeart sarà poi applicabile a una serie di altri organi artificiali basati sulla soft robotics, tra cui l'intestino, il polmone o le strutture muscolari.
Cuore artificiale ibrido, progetto HybridHeart, su gentile concessione di Matteo Cianchetti