SCIENZA E RICERCA

La prevenzione ci salverà

Tre debiti, impegnativi, e una sola possibilità per ripagarli. 

I tre debiti che gravano sul bilancio familiare dell’umanità – già, perché noi Homo sapiens formiamo una sola ancorché litigiosa famiglia – sono: 1) quello acceso con la (con il resto della) natura, il debito ambientale; 2) quello acceso all’interno della famiglia stessa, il debito socioeconomico, con le più grande disuguaglianze che la storia della specie abbia mai conosciuto; 3) il debito cognitivo, quello acceso con le nuove tecnologie all’interno dell’infosfera. 

La sola opportunità per saldare questi debiti, risolvendo almeno in parte i problemi che sollevano è la prevenzione: ovvero la ricerca e la messa in atto di «soluzioni globali, preventive e lungimiranti». Questo affermano i tre autori con background culturale affatto diverso – Paolo Vineis, epidemiologo ambientale; Luca Carra, giornalista scientifico; Roberto Cingolani, fisico esperto di nanotecnologie – in un libro appena pubblicato con Einaudi (pag. 130; euro 15,00): Prevenire.

Consigliamo, però, di leggere subito il sottotitolo – Manifesto per una tecnopolitica – perché essa indica subito la strada da seguire secondo l’epidemiologo dell’Imperial College di Londra nonché vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità (Vineis); il direttore di Scienzainrete, il web journal del Gruppo 2003 che raduna buona parte degli scienziati italiani più citati nella letteratura scientifica internazionale (Carra) e il dirigente di Leonardo che ha fondato l’ITT, l’Istituto Italiano di Tecnologia (Cingolani). 

La mancanza di prevenzione ha portato a prendere in prestito dalla (dal resto della) natura una quantità crescente di capitale fino a giungere e talvolta a superare la soglia della insostenibilità. Gli esempi sono quelli classici, la cui gravità ci è nota (ahimè quasi inutilmente) da tempo, come il cambiamento del clima e l’erosione della biodiversità. Entrambi questi processi sono chiaramente causati dalle attività umane. Ma gli autori fanno anche riferimento agli altri “confini planetari”, i debiti ambientali con una soglia da non superare come definiti nel 2009 dallo svedese Johan Rockström e dal suo gruppo di ricerca in un articolo – famoso, ma forse non ancora abbastanza – pubblicato sulla rivista Nature. Se non ripaghiamo questi debiti le conseguenze per l’umanità in termini di salute, benessere, economia saranno gravi.

Vale la pena sottolineare che la biosfera stessa subisce, a causa di questi debiti crescenti contratti dall’uomo, cambiamenti molto accelerati. Tanto che, per esempio, in nessun’altra epoca la mortalità delle specie è stata così rapida: neppure nelle cinque grandi estinzioni di massa conosciute. Tuttavia sbaglia chi sostiene che bisogna ripagare i debiti per “salvare il pianeta”. Il nostro pianeta è del tutto indifferente a quanto accade. E, a meno di catastrofi cosmiche, resterà a galleggiare tranquillamente nel vuoto cosmico fino a quando il Sole, al termine della sua vita, fra 4 o 5 miliardi di anni, lo inghiottirà. I debiti ambientali che stiamo contraendo a velocità crescente fanno male soprattutto a noi, uomini sedicenti sapienti. Malgrado l’enorme coscienza che abbiamo di questi fenomeni. Un esempio: è dal 1992 che esiste una Convenzione internazionale sui cambiamenti climatici che cerca di prevenire l’aumento della temperatura del pianeta causata dalle emissioni antropiche di gas serra. Ma da quella data le emissioni antropiche del principale gas serra (gli esperti li chiamano gas climalteranti), l’anidride carbonica, invece di diminuire sono aumentate del 40%. Non abbiamo saputo, in questi trent’anni, prevenire.

Prevenire: è una parola cui Vineis, Carra e Cingolani danno un’interpretazione la più olistica possibile. Perché il debito ambientale è caratterizzato da un’estrema complessità e per ripagarlo occorre una risposta altrettanto complessa. Un requisito che mal si adatta alla capacità attuale delle società umane, dove sembrano prevalere le risposte semplicistiche, rozze e spesso negazioniste. 

La politica della prevenzione ci rimanda direttamente al secondo grande debito, quello socioeconomico. Detta in breve: mai il mondo è stato così ricco, ma la ricchezza è stata così mal distribuita. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Negli ultimi decenni, detti della globalizzazione, centinaia di milioni di persone soprattutto in Cona e nell’Asia sud-orientale sono passati da una condizione di povertà allo status di ceto medio, con relativo benessere. Tuttavia resta il carattere più significativo della nostra società attuale: la disuguaglianza. Che ha anche aspetti sanitari: il diritto alla salute non è uguale per tutti. I poveri vivono meno e peggio. Lo diamo quasi per scontato. Ma scontato non lo è affatto. Prevenire significa rimuovere il più possibile gli ostacoli che impediscono il diritto al benessere, secondo la definizione che ne ha dato da qualche decennio ormai l’Organizzazione Mondiale di Sanità.

Terzo debito, quello cognitivo. Grazie alle tecnologie digitali viviamo, ormai, nella infosfera. Condizione che rende le attuali generazioni particolarmente privilegiate. Abbiamo la possibilità tecnica di accedere a una quantità pressoché infinita di informazione e di relazionarci in tempo reale a quasi tutte le persone nel mondo. È una condizione dalle potenzialità enorme, se solo riuscissimo a prevenire (appunto) le infodemie, le malattie da eccessiva informazione non sempre di qualità, e quella esposizione a sua volta eccessiva alle nuove tecnologie che può comportare un “sovraccarico mentale” con danni biologici e, appunto, cognitivi.

Riassumendo: Vineis, Carra e Cingolani non ci prospettano uno scenario né tutto nero né tutto bianco. Lo sviluppo tecnologico e anche civile ha creato le condizioni per cui oggi si vive meglio che in passato: la probabilità di morire di morte violenta oggi è 40 volte inferiore a quella che interessava i nostri bisavoli nel Medioevo; la vita media non è mai stata così alta e così via. Ma ha anche creato quei debiti di cui sopra. Come se ne esce?

Qui è la proposta se non originale certo non molto frequentata avanzata da Vineis, Carra e Cingolani: occorrono più scienza e più tecnologia, da utilizzare in maniera più intensa e più consapevole. Senza la scienza e la tecnologia non c’è modo di ripagare quei debiti. Ma l’uso della scienza e della tecnologia non può essere lasciato al libero mercato: occorre la politica. Una politica che realizzi un capovolgimento di prospettiva”. E che in definitiva faccia propria il progetto di Francis Bacon, non a caso politico e pioniere del pensiero scientifico del Seicento: la scienza non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma dell’intera umanità.

Se riusciamo a fare questo capovolgimento di prospettiva e a prendere atto che non esistono soluzioni semplici ai nostri complessi problemi, allora effettivamente, come sostengono Vineis, Carra e Cingolani «la prevenzione ci salverà».

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