Vladimir Putin regna incontrastato sulla Russia da vent’anni, dall’ultimo giorno del vecchio millennio, quando l’ex presidente Boris Eltsin, un po’ a sorpresa come tempistica, fece un passo indietro per lasciare il posto all’ex capo dei servizi segreti, al suo volto impassibile, illeggibile, imperturbabile che tutto il mondo imparò a conoscere. E tutto lascia pensare che i vent’anni diventeranno molti di più. Perché di certo lo zar, come viene spesso chiamato, resterà in carica fino al 2024, quando scadrà il secondo mandato consecutivo della seconda tornata presidenziale da lui presieduta (e nel mezzo ci sono stati i quattro anni da primo ministro, con il fedele Medvedev a fare da presidente-ombra: qui una cronologia delle date salienti degli ultimi vent’anni). Ma Putin sta già provvedendo anche al dopo: basta cambiare le regole, secondo uno schema che ha già sperimentato in passato.
La nuova riforma della Costituzione
Lo scorso 15 gennaio, nell’annuale intervento all’Assemblea Federale, Putin ha annunciato una profonda riforma della Costituzione russa che di fatto sancirebbe il passaggio da una Repubblica presidenziale a una (quasi) parlamentare: il primo ministro e la sua squadra di governo sarebbero eletti dal Parlamento, mentre al presidente (che manterrebbe comunque le attuali competenze su politica estera e difesa) resterebbe la possibilità di rifiutare la nomina. Naturalmente le modifiche entreranno in vigore al termine dell’attuale mandato (vale a dire nel 2024). Nello schema disegnato da Putin avrà un ruolo importante il Consiglio di Stato, oggi piuttosto marginale, che sarà formalmente inserito nella Costituzione. E il futuro presidente dovrà risultare residente in Russia da almeno 25 anni. Contemporaneamente (ma non in dissenso col presidente, ci mancherebbe) il primo ministro Medvedev (da anni nel “cerchio magico” di Putin) e l’intero governo hanno presentato le dimissioni. Il nuovo premier è stato già scelto (il che fa presumere che l’intera manovra sia stata pianificata a tavolino): è Mikhail Mishustin, un tecnocrate, ingegnere per laurea, economista per formazione (era capo del servizio fiscale federale). Una mossa decisa probabilmente per placare l’opinione pubblica, che vedeva in Medvedev il simbolo della corruzione, della conservazione del potere, dello sfarzo ostentato, tra prestanomi e intermediari compiacenti. Una figura che mal si abbinava al progetto riformista del presidente.
Mikhail Mishustin
All’annuncio della riforma la domanda è sorta spontanea: perché l’ha fatto? Cos’ha in mente Putin? Quale ruolo immagina per il suo futuro? E soprattutto: perché con così grande anticipo rispetto alla scadenza del suo mandato? Probabilmente per disinnescare sul nascere eventuali dissidi e pubbliche proteste. Il New York Times sostiene che Putin avrebbe giocato d’anticipo proprio per evitare «cambiamenti improvvisi e destabilizzanti» nella struttura del potere russo. Per abituare i russi all’idea del cambiamento. Sul futuro ruolo di Putin le ipotesi, a oggi, sono due: o di nuovo primo ministro (ma con le nuove regole non avrebbe mano libera com’è abituato, e la sua azione resterebbe sotto il controllo del Parlamento) oppure la guida del Consiglio di Stato: carica che già ricopre, ma da lì, con nuove competenze, potrebbe controllare e orientare l’operato del futuro premier e del futuro presidente. Intanto lui, Putin, smentisce tutto e tutti: «La riforma della Costituzione russa non è stata proposta per prolungare il mio mandato al potere, ma è frutto della natura delle cose. Ho capito che certe cose non funzionano come dovrebbero», ha dichiarato il presidente martedì scorso in un incontro con le istituzioni locali a Cherepovets. Le novità proposte (il Parlamento potrà anche rimuovere i giudici della Corte Suprema e della Corte Costituzionale responsabili di “azioni disonorevoli”) saranno sottoposte a una consultazione popolare, probabilmente entro la prossima estate. Il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha fatto sapere che «le date e le regole saranno determinate in seguito, in un decreto speciale».
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— President of Russia (@KremlinRussia_E) February 5, 2020
Potere centralizzato e lotta al dissenso
Molto è cambiato da vent’anni fa, da quel 31 dicembre 1999, quando Vladimir Putin fu nominato presidente ad interim della Russia (poi vinse le elezioni nel marzo successivo e poi quelle del 2004). Rispetto a Eltsin l’ex capo dei servizi segreti (il Kgb fino al 1994, poi diventato Fsb, acronimo russo di Servizio di Sicurezza Nazionale) si pose subito come innovatore, riformatore, leader carismatico, decisionista. Nel 1998 il paese era in default. Putin prima spazzò via gli oligarchi dell’era Eltsin, sostituendoli nei ruoli chiave con uomini a lui fedeli, puntando tutto sulla centralizzazione del potere e su un piano di riforme che riguardò il fisco, i rapporti di lavoro, i salari, le abitazioni, le banche. Nel 2004 abolì le elezioni dirette dei governatori, dei sindaci delle città federali, dei presidenti delle Repubbliche della Federazione: tutti eletti dal Presidente (l’elezione diretta è stata poi ristabilita nel 2012). Un altro dei punti sui quali costruì il suo enorme consenso fu la lotta al terrorismo interno, trattando alla pari (c’è chi sostiene strumentalmente) separatisti ceceni ed estremisti islamici. L’intervento russo fu durissimo. Per quanto accaduto nella seconda guerra cecena, la Russia fu accusata di violazione dei diritti umani: la Corte di Strasburgo ha poi condannato la Federazione Russa per violazioni del diritto alla vita.
Poi cominciò la stretta sui media. Putin non tollera il dissenso. Scrive Repubblica: «Il 7 ottobre 2006, giorno del suo compleanno, la reporter Anna Politkovskaya, famosa per i reportage sulle violazioni dei diritti umani commesse dai russi in Cecenia, viene uccisa nel suo condominio. Il Cremlino ha sempre negato ogni coinvolgimento, sminuendo il ruolo e l'incisività della giornalista. Poche settimane dopo, a Londra, viene ucciso con polonio radioattivo l’ex spia russa dissidente, Aleksandr Litvinenko». La successiva indagine di Scotland Yard stabilì che l’avvelenamento fu un’operazione “probabilmente approvata” dal direttore dell’FSB e dallo stesso Putin.
Oppositori perseguitati, arrestati o uccisi
Difficile, in questo scenario, organizzare una qualche forma di opposizione. Scrive il Post: «Fare opposizione o affermare i propri diritti in un paese come la Russia, con uno come Vladimir Putin alla presidenza, non è per niente facile. L’elenco delle violazioni dei diritti umani nel paese è sterminato e lo stato della democrazia – ammesso che si possa parlare di democrazia – è criticatissimo da osservatori e analisti internazionali, oltre che da attivisti e giornalisti russi. Decine di oppositori sono stati uccisi in circostanze poco chiare (come Boris Nemtsov o Denis Voronenkov), perseguitati e incarcerati (come il blogger Alexey Navalny, le Pussy Riot o l’attivista Lyubov Sobol, per citare solo i casi più famosi) e gli imprenditori lontani dal regime sono stati messi in condizione di non poter operare». Nello stesso articolo, il Post affronta poi l’aspetto delle elezioni: «Putin gestisce direttamente ogni aspetto della macchina dello stato e ha costruito col tempo quella che molti analisti definiscono una “democrazia controllata”: in Russia si svolgono periodicamente le elezioni, ma candidarsi come sfidanti è molto difficile e chi ci riesce viene sfavorito dai media, quando non minacciato, perseguitato giudiziariamente o più semplicemente eliminato fisicamente».
Russia grande potenza in Medio Oriente
Sul piano internazionale il mandato di Putin cominciò con una grande apertura verso l’occidente, proponendo addirittura a Bill Clinton (giugno 2000) l’ingresso della Russia nella Nato, ricevendo in risposta un incoraggiante: «Nulla in contrario». Poi gli scenari sono cambiati. Scrive Bloomberg: «Sotto Putin, la Russia ha ripristinato parte del potere geopolitico esercitato dall'Unione Sovietica. Ha approfondito i legami con la Cina, ha annesso la Crimea dall'Ucraina, ha cambiato le sorti della guerra in Siria, ha venduto sistemi avanzati di difesa aerea alla Turchia, membro della Nato, e ha raggiunto importanti accordi di armi e petrolio con un alleato chiave degli Stati Uniti, l'Arabia Saudita. Ha riacceso i legami militari con l’Egitto. In Libia sostiene le truppe del generale Haftar (contro un governo sostenuto dall’Onu). La Russia è oggi una grande potenza in Medio Oriente (grazie anche al disimpegno americano) e si sta espandendo per la prima volta in Africa». Quanto alla corsa agli armamenti, Putin ha lanciato pochi giorni fa una specie di dichiarazione di vittoria nei confronti degli Stati Uniti: «L’Urss doveva mettersi in pari con l'Occidente, oggi invece abbiamo una situazione unica nella storia moderna: sono loro che provano a rincorrere noi», ha detto rivolgendosi ai vertici militari. Senza dimenticare le intromissioni della Russia nelle elezioni dei paesi occidentali, dagli Stati Uniti (Donald Trump) al Regno Unito, fino all’Italia, con il caso Lega-Savoini. Il Cremlino ha inoltre costruito forti legami (vale a dire finanziamenti) con gran parte dei partiti o movimenti di estrema destra in Europa: Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, il Partito della Libertà (Fpö) in Austria, Alba Dorata in Grecia.
L’obiettivo di Putin: eternizzare il potere
Il futuro del paese è ancora tutto da decifrare, ma è certo che Vladimir Putin (che nel 2024 avrà 72 anni) avrà ancora il ruolo di protagonista, con il suo piglio autoritario. In vent’anni la sua figura è diventata inscindibile dalla Russia, la personificazione di una nazione. Avvenire scrive: «Putin non ha alcuna intenzione di lasciare il potere, semmai ha la ferma volontà di eternizzarlo, come sta tentando di fare in Turchia Erdogan, come ha fatto in Cina Xi Jinping, come provano a fare tutti i leader delle democrazie autoritarie, dal brasiliano Bolsonaro all’indiano Modi, solo che Putin cerca di farlo usando i guanti bianchi». Lo zar è amatissimo in patria. Assieme alle riforme costituzionali sono state presentate nuove misure di welfare che prevedono aiuti mensili per i genitori di bambini tra i 3 e i 7 anni, oltre ad aumenti consistenti per i bonus bebè: 6.800 euro per la nascita del primo figlio e altri 2.200 per il secondo. «Nascono pochi bambini», ha dichiarato Putin. «E il successo storico della Russia dipende da quanti saremo». Una formula perfetta per costruire il consenso.