SCIENZA E RICERCA

Quando il microbioma si trasferisce nello spazio

Il microbioma è l'insieme di tutti quei microrganismi (virus, batteri, protozoi, funghi) che possiamo trovare nel nostro corpo. Risiedesoprattutto nel tratto gastrointestinale, ma anche da altre parti, per esempio sulla pelle, nella bocca e addirittura nelle orecchie. L'equilibrio di questi organismi ha un grande impatto sulla nostra salute, e può succedere che ci ammaliamo per un improvviso aumento o diminuzione di qualcuna di queste specie.
Negli ultimi anni sono state svolte molte ricerche su questo argomento, che in precedenza non aveva invece ricevuto molta attenzione, e si è scoperto che un'alterazione del microbioma può spiegare o comunque essere concausa di varie patologie, tra cui il diabete e altri disordini metabolici.
C'è inoltre un grande fermento per le nuove possibilità terapeutiche che lo studio del microbioma può fornire: si va dalla sperimentazione del trapianto fecale per la cura del diabete di tipo 2 a quella dell'utilizzo per trattare l'autismo.

Abbiamo fatto questa premessa perché è utile per comprendere a fondo l'importanza del microbioma, anche in una fase di studio e sperimentazione come quella in cui ci troviamo. Fino a questo momento, sembrerebbe banale sottolinearlo, studi ed esperimenti si sono svolti sul nostro pianeta, su esseri umani che vivevano in presenza di atmosfera.
Ma cosa succede quando il microbioma umano sbarca nello spazio, dove le condizioni sono molto diverse da quelle che troviamo sul nostro pianeta? Se lo sono chiesti gli autori di un documento pubblicato su BMC, che si concentrano sui possibili cambiamenti del microbioma durante un viaggio su Marte.
Quest'ultimo è molto diverso dai viaggi spaziali che si sono svolti fino a questo momento, soprattutto per un fattore di durata, ma lo vedremo.

Dobbiamo prima precisare che gli studiosi non sono concordi sui risultati, perché il campione molto particolare ostacola gli studi scientifici: da una parte poco più di 600 persone sono state nello spazio, e dall'altra i loro viaggi di solito non durano più di sei mesi. A tutto questo si unisce il fatto che non esiste un consenso unanime su cosa sia un microbioma sano, e come se non bastasse essendo questi organismi in equilibrio tra di loro e con la cellula ospite non possono essere analizzati per compartimenti stagni, ma solo nella loro interazione. C'è chi non ritiene che un viaggio spaziale possa avere un grosso impatto sul microbioma, nel senso che fino a ora si sono sì riscontrati dei cambiamenti, ma questi si sono risolti in poco tempo.

La questione del microbioma nello spazio potrebbe sembrare di importanza secondaria, ma non lo è, considerando che un viaggio su Marte è previsto per il prossimo decennio, e che è nell'interesse di tutti che gli astronauti rimangano in salute per tutta la durata della missione, che nel caso di Marte è ben superiore ai sei mesi, e ovviamente anche dopo. Non solo: vista la composizione così varia del microbioma, esiste la  possibilità che tornati dallo spazio gli astronauti portino indietro dei microrganismi in qualche modo mutati, e non è detto che questi non siano nocivi per i terrestri. Anche per questo motivo, è importante prepararsi e non lasciare niente al caso.

Ma come si possono fare dei test su quello che succede nello spazio se le persone sono sulla terra e quindi, di fatto, la condizione soggetto del test non si verifica? In questo caso sono state simulate di volta in volta alcune condizioni. Per esempio è stato analizzato il microbioma dei ricercatori che lavorano nelle stazioni Concordia e Neumayer in Antartide, perché vengono rispettate le condizioni di buio e di isolamento sociale che si ritrovano nello spazio. Un altro esperimento, il progetto Mars500, prevedeva di chiudere i membri di un equipaggio in un ambiente paragonabile a un veicolo spaziale per 520 giorni e qui ci sono state le prime anomalie: dei sei partecipanti, tutti hanno avuto dei cambiamenti nel microbioma, ma due sono tornati quasi subito alla condizione di partenza, mentre altri quattro hanno impiegato circa sei mesi. Questo suggerirebbe che le reazioni sono molto personali ma apre anche un importante interrogativo: cosa succederebbe con viaggi più lunghi? Esiste forse un punto di non ritorno in cui il microbioma non  torna allo stato precedente? Bisogna inoltre considerare che ci sono stati contatti, seppur sporadici, tra i membri dell'equipaggio e il personale esterno, e non è da escludere che questo abbia contribuito a ripristinare l'equilibrio del microbioma.

Un altro esperimento interessante riguarda uno studio del 2019 in cui sono stati confrontati i microbiomi dell'astronauta Scott Kelly e del suo fratello gemello, Mark, per vedere se si potevano riscontrare delle differenze visto che il secondo era rimasto sulla Terra. Certo, la missione di Kelly è durata solo un anno e la situazione su Marte potrebbe essere diversa, ma è comunque un punto di partenza.
Sembrerebbero esserci effettivamente delle differenze tra questi due microbiomi, per esempio nel caso di Kelly c'è stata una riduzione del Bacteroidetes.
Un altro gruppo di astronauti ha messo a disposizione del J. Craig Venter Institute alcuni campioni provenienti da alcuni oggetti come i serbatoi dell'acqua e da parti del corpo come bocca naso e pelle raccolti durante le loro missioni che andavano da sei a 12 mesi. Tra i vari riscontri, c'è stata una diminuzione dei gammaproteobatteri, e questo potrebbe collegarsi a fenomeni infiammatori della cute , ma non basta: diminuivano anche alcuni batteri intestinali, e questo potrebbe portare a conseguenze metaboliche o addirittura cognitive.

Come dicevamo, però, questi studi hanno dei grossi limiti statistici, come ha rilevato Jack Gilbert, professore di pediatria all'università di San Diego, ha dichiarato a Undark che è più preoccupato dei batteri che, uscendo dal corpo degli astronauti, potrebbero diventare più pericolosi nello spazio: i membri della sua squadra hanno sequenziato i geni di un fungo raccolto sulla Stazione Spaziale Internazionale e hanno scoperto che erano diversi da quelli degli stessi funghi sulla Terra e più efficaci nell'uccisione dei nematodi (un tipo di verme). L'ipotesi, ancora da chiarire, è che i patogeni che riescono a sopravvivere in un ambiente a loro meno congeniale come quello spaziale riescano ad evolversi, guadagnando una maggiore resistenza, un po' come succede con gli antibiotici. Gilbert ha tra l'altro rilevato che sono stati fatti vari studi sui microbiomi dei gemelli monozigoti che non fanno gli astronauti, e sono comunque significativamente diversi gli uni dagli altri.

C'è da considerare però anche il fatto che un solo ciclo di antibiotici riduce sensibilmente la diversità del microbioma, e che questo cambiamento rimane rilevabile per mesi se non addirittura per anni, lasso di tempo nel quale si raggiunge un nuovo equilibrio diverso dal precedente. A maggior ragione potrebbe succedere nello spazio, tanto più che la gravità zero porta al rilascio di gocce di sudore che favoriscono il proliferare di funghi potenzialmente resistenti ai disinfettanti, di cui si fa comprensibilmente ampio uso. È stato inoltre dimostrato che le radiazioni nello spazio, oltre ad essere fatali per l'uomo se privo di protezioni, contribuiscono alla mutazione dei microrganismi (del resto anche le terapie a base di radiazioni hanno un impatto sul microbioma), quindi è ragionevolmente lecito aspettarsi qualche cambiamento, più o meno nocivo.

Nel complesso, le ricerche sono ancora in una fase iniziale, tanto più che anche gli studi sul microbioma in condizioni canoniche sono tutto sommato recenti. Per ora dobbiamo quindi accontentarci di conclusioni provvisorie, pronte per essere aggiornate quando ci saranno nuovi risultati, perché così funziona il metodo scientifico.

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