SCIENZA E RICERCA
Rapporto CMCC: serve un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici c’è bisogno di tutti. Nel senso che non è sufficiente che i leader mondiali si riuniscano intorno a un tavolo, come faranno tra poco più di un mese a Glasgow alla COP26, e prendano impegni il più possibile vincolanti per le rispettive nazioni. È necessario, ma non è sufficiente. Occorre poi coinvolgere tutti i livelli istituzionali e amministrativi sottostanti nella realizzazione degli impegni presi.
Gli obiettivi europei fissati dal Green Deal devono venire recepiti dai governi nazionali. Questo in parte è già avvenuto o sta avvenendo. Ma per mettere a terra le misure di mitigazione e adattamento occorre poi avere progetti concreti, come l’efficientamento energetico degli edifici o il superbonus edilizio al 110%, che si integrino nei piani amministrativi e urbanistici delle singole città.
La Fondazione CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (focal point per l’IPCC Italia), ha presentato martedì 21 settembre il rapporto “Analisi del rischio – il cambiamento climatico in sei città italiane” che analizza come sei tra le principali città italiane (Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma e Napoli) stanno affrontando la sfida dei cambiamenti climatici. L’ambiente urbano infatti, oltre a ospitare il 56% della popolazione italiana, ha caratteristiche specifiche che lo rendono particolarmente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici. La conformazione e la quantità degli edifici, la densità di popolazione, la presenza di superfici impermeabili e che trattengono il calore, la presenza limitata di aree verdi espongono maggiormente le città a ondate di calore, siccità, ma anche a precipitazioni intense e al rischio idrogeologico di alluvioni. Tutti questi fenomeni, secondo il rapporto, sono tendenzialmente destinati ad aumentare nei prossimi anni.
Il rapporto dell’IPCC pubblicato ad agosto dedicava già una sezione agli effetti regionali (e non solo globali) dei cambiamenti climatici: l’Europa ad esempio è una di quelle zone del pianeta che rischia di diventare tendenzialmente più arida. Il lavoro di Fondazione CMCC fornisce ora un dettaglio ancora maggiore a livello di singole città italiane.
Il documento, la cui redazione è stata coordinata da Donatella Spano (Fondazione CMCC e università di Sassari) prende in considerazione 4 elementi in particolare.
Clima
Il primo riguarda gli scenari climatici, passati (degli ultimi 30 anni) e futuri. Il punto forte del rapporto è il livello di dettaglio con cui sono state compiute queste analisi, ovvero con dati a una risoluzione che arriva fino ai 2 km, per gli scenari passati, 8 – 12 km per gli scenari futuri al 2030. Negli ultimi decenni la temperatura media è andata crescendo in tutte le città considerate, fino a quasi 1°C. Entro fine secolo potrebbe aumentare di 2°C con l’applicazione di politiche climatiche, mentre crescerebbe fino a 6°C senza alcun intervento, secondo le stime del rapporto.
Impatti climatici
I giorni di caldo intenso in un anno potrebbero essere tra i 30 e i 60 a Milano, tra i 50 e i 90 a Napoli, tra i 28 e i 54 a Roma, tra i 29 e i 39 a Torino. Aumenteranno anche le precipitazioni intense con conseguenti fenomeni di allagamento: questo genere di fenomeni che a Napoli ad esempio si sono verificati in media ogni 10 anni, potrebbero verificarsi ogni 4 anni. Il livello idrico di sicurezza a Venezia negli ultimi 10 anni è stato superato 40 volte, scrive il rapporto. A Milano ci si aspetta meno giorni piovosi, ma precipitazioni più intense.
Valutazione dei rischi climatici
Questa sezione analizza come le municipalità hanno condotto la valutazione rischi climatici. Il quadro di riferimento è stato elaborato da CMCC nell’ambito del programma europeo per l’analisi e la gestione del rischio da disastri. Sono stati considerati 6 aspetti, riassunti nella ricca infografica dedicata. Bologna risulta la città più all’avanguardia nella capacità di valutare i rischi collegati al cambiamento climatico. Milano e Torino anche dispongono di ricche risorse amministrative, tecniche e finanziarie, che risultano invece limitate a Napoli e potrebbero venire migliorate a Roma. A Venezia invece di portare queste competenze nell’amministrazione si preferisce collaborare con università e enti di ricerca.
Strumenti di adattamento
C’è molta variabilità riguardo agli strumenti e alle azioni che ciascuna città può mettere in campo per contrastare il cambiamento climatico. Esiste un piano strategico per l’infrastruttura verde a Torino, un piano d’azione per l’energia sostenibile a Roma, Napoli, Bologna e Venezia, un piano aria clima a Milano. A Bologna c’è anche un piano dedicato ai cambiamenti climatici e un piano urbanistico generale. Secondo Donatella Spano, Napoli e Venezia fanno meno riferimento ai cambiamenti climatici rispetto alle altre amministrazioni.
“Si sentiva molto l’esigenza di questo report” ha commentato Mariagrazia Midulla di WWF Italia. “Sappiamo dall’ultimo report IPPC che alcuni cambiamenti sono irreversibili e che la responsabilità è interamente umana. L’Italia non si è ancora dotata di strumenti per far fronte a questi cambiamenti irreversibili. Abbiamo bisogno di un piano di adattamento italiano al cambiamento climatico, se n’era accennato nel 2017, è stato revisionato nel 2018, ma poi non se n’è fatto più nulla, è rimasto in attesa di approvazione. Manca la fase operativa, ci sono città nel mondo che ci lavorano da molto tempo. C’è bisogno di concertazione. Probabilmente non siamo ancora consapevoli a livello di decisori politici di quanto sia importante la fase operativa. Ricordo quando a Città del Capo per la siccità hanno chiuso i rubinetti e una città di 3,5 milioni di abitanti aveva 20 punti di distribuzione dell’acqua, immaginatevi l’impatto sociale”.
Del fatto che buona parte della partita si giochi nelle città è convinto anche Matteo Leonardi, ECCO think tank. “Quando si deve reagire a un aumento di temperature, detto chiaramente, la scelta non deve ricadere su un nuovo condizionatore, ma su una casa più efficiente” sostiene Leonardi. “Dobbiamo assicurarci che il dibattito sull’adattamento si sommi a quello sulla mitigazione e che questo avvenga per e nelle le città. C’è bisogno di una governance specifica per questo. Putroppo non vedo traccia, o ancora troppo poca, di una declinazione di policy di adattamento che vada dal livello nazionale a quello locale delle città, che si tratti di superbonus, trasporti, sharing della mobilità o distribuzione di cibo. Manca ancora questo collegamento tra politiche nazionali e politiche delle città. A Roma circolano il doppio di automobili per abitante rispetto a Parigi. La mobilità ad esempio trova la sua soluzione nelle città”.
I dati prodotti dal rapporto della Fondazione CMCC dovrebbero essere usati per guidare le decisioni politiche, secondo Serena Giacomin di Italian Climate Network. “Questi dati devono essere usati come strumento. Una corretta gestione del rischio è l’obiettivo del rapporto, che non sono solo individua i rischi fisici (ondate di calore, siccità, precipitazioni), ma sottolinea anche i rischi finanziari (occorre riservare fondi per i danni, munirsi di coperture assicurative adeguate) e altri rischi reputazionali, di mercato, tecnologici. Serve non solo una diffusione di queste conoscenze, ma anche una formazione nei centri amministrativi urbani. E si dovrebbe fare un lavoro così anche per le realtà imprenditoriali”.
Gli aspetti socio-economici sono impliciti in questo rapporto, sottolinea Donatella Spano, non vi è un capitolo dedicato, ma vengono messi in evidenza rispetto agli strumenti e al rischio di ciascuna città. “Occorre avere una chiara governance, verticale e orizzontale, rispetto alle politiche da adottare” conclude Donatella Spano. “Il piano di adattamento nazionale al cambiamento climatico, e i sottostanti piani locali o per lo meno relativi a sistemi urbani e regionali, se fossero disponibili ci sarebbe più ordine. Il nostro contributo è dare strumenti perché questo avvenga, dare informazioni, analisi climatiche sempre più sofisticate, fornire suggerimenti sulla governance. La comunità scientifica si mette a disposizione, ma servono capacità politiche e amministrative per mettere tutto questo a sistema”.
La stringente necessità di prevenire i danni causati da eventi naturali è emersa in tutta la sua drammatica attualità allo scoppio della pandemia da Covid-19 che ha travolto sistemi sanitari che spesso, specialmente nelle fasi iniziali, non si sono fatti trovare pienamente preparati ad affrontare l’emergenza. Il caso dell’aggiornamento del piano pandemico nazionale del resto è balzato agli onori di cronaca specialmente durante la prima ondata. Oggi disponiamo di sofisticati strumenti e analisi per prendere le misure agli impatti del cambiamento climatico. Non abbiamo scuse per non farci trovare pronti nella gestione di emergenze causate da alluvioni o ondate di calore quando ci investono.