SCIENZA E RICERCA

Il ritiro dei ghiacci in Antartide e l’aumento del livello dei mari: rispettare l’Accordo di Parigi non è una scelta

In un sistema complesso è possibile che, in seguito alla modificazione delle condizioni iniziali, si inneschino meccanismi di retroazione, catene causali circolari di fenomeni in cui le cause e gli effetti si influenzano a vicenda, alimentando e modificando la traiettoria del cambiamento. I feedback possono essere negativi, quando tendono a bloccare il cambiamento, oppure positivi, quando invece lo amplificano.

È proprio quanto sta accadendo, da alcuni decenni a questa parte, al sistema climatico, che, sotto la spinta dei cambiamenti causati dalle attività umane, si sta progressivamente allontanando dal suo stato di equilibrio dinamico, avvicinandosi sempre più a una spirale di mutamenti autoalimentati che, con il passare del tempo, saranno sempre più difficili da fermare.

Un esempio eclatante di tale processo è lo scioglimento, sempre più rapido, dei ghiacci polari artici e antartici. Nell’analizzare questo fenomeno, si può notare come siano in atto diversi meccanismi di retroazione che contribuiscono ad accelerare la fusione dei ghiacciai perenni, amplificando di conseguenza gli effetti globali (non del tutto prevedibili) di questo fenomeno. Un feedback negativo, ad esempio, si verifica nella diminuzione dell’albedo, l’effetto che la superficie ghiacciata dei mari ha nel riflettere l’irraggiamento solare, contribuendo a mantenere stabile la temperatura terrestre; con la riduzione della superficie dei ghiacciai, l’effetto albedo diminuisce, determinando un maggiore assorbimento del calore solare da parte delle superfici marine (più scure) e, di conseguenza, accelerando lo scioglimento dei ghiacci. Un feedback positivo, invece, si può osservare per quanto riguarda la relazione fra fusione dei ghiacci e innalzamento del livello dei mari: una superficie meno estesa di ghiacci marini porta a un innalzamento delle temperature atmosferiche e marine nelle regioni polari, innescando un ulteriore scioglimento dei ghiacci e di conseguente innalzamento del livello dei mari, in un ciclo che si autoalimenta.

Una delle principali cause antropogeniche del riscaldamento globale è, come noto, l’immissione in atmosfera di gas climalteranti, in particolar modo di anidride carbonica. È questo il fattore che ha innescato lo scioglimento dei ghiacci polari e, come riconosciuto nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015, proprio su questo bisogna concentrarsi negli interventi di mitigazione, riducendo drasticamente l’impronta carbonica mondiale e puntando alla neutralità climatica dei sistemi umani entro la fine del secolo.

In uno studio comparso sulla rivista scientifica Nature, l’efficacia degli impegni presi dalle nazioni a Parigi viene analizzata alla luce delle conseguenze che i diversi scenari di mitigazione avranno sullo stato di salute della calotta polare antartica da qui ai prossimi duecento anni. La situazione, in Antartide, è particolarmente complessa: il continente, infatti, è coperto da una struttura glaciale complessa, la cui stabilità è garantita da un delicato equilibrio tra diversi fattori. La quasi totalità delle calotte glaciali che ricoprono la terraferma termina nel mare, dove si formano grandi piattaforme glaciali che fungono da freno allo scivolamento verso il mare dei ghiacci continentali. Inoltre, circa un terzo delle piattaforme glaciali formatesi sulla terra ferma poggia su uno strato roccioso che si trova ben al di sotto del livello del mare. Laddove lo strato roccioso va in profondità non in direzione dell’oceano, ma verso la terra ferma (reverse-sloped), la porzione basale del ghiacciaio sottostante corre un maggior rischio di scioglimento, dovuto alle possibili infiltrazioni di acque oceaniche calde. Una volta che le piattaforme marine iniziano a sciogliersi, i ghiacciai continentali, privati della “protezione” fornita dai ghiacci marini, vanno incontro a una fusione più rapida: si innesca così un meccanismo di retroazione positiva difficile – se non impossibile – da arrestare.

È quanto sta accadendo – avvertono da tempo i ricercatori – all’immenso ghiacciaio Thwaites, una piattaforma glaciale marina (profondo più di 1 km, e il cui troncone principale misura circa 120 km in larghezza) localizzata nella parte occidentale dell’Antartide, la regione del continente in cui il substrato roccioso è più basso (ben al di sotto del livello del mare) e i cui ghiacciai, perciò, subiscono un più alto rischio di fusione. Il ghiacciaio Thwaites è monitorato da anni con grande attenzione: qualora la velocità di scioglimento superasse una soglia critica, il processo acquisirebbe una portata incontrollabile, determinando un drammatico innalzamento globale del livello dei mari.

Poiché ad aumentare il rischio di fratturazione delle piattaforme glaciali concorrono sia l’aumento delle temperature delle acque marine sia l’aumento delle temperature atmosferiche, fermare il riscaldamento globale riducendo l’emissione di gas a effetto serra è essenziale per scongiurare possibili conseguenze catastrofiche nei prossimi decenni.

Il gruppo di ricercatori, guidato da Robert DeConto, climatologo dell’università del Massachussets, offre una stima di cosa potrebbe accadere nei prossimi anni in Antartide a seconda delle strategie di mitigazione adottate. Attraverso una serie di modelli che simulano la possibile evoluzione della coltre glaciale polare, i ricercatori mettono alla prova gli scenari che potrebbero verificarsi a seconda delle diverse modalità di attuazione dell’Accordo di Parigi – qualora, cioè, si riesca a contenere l’aumento della temperatura a +1,5°, a +2° oppure qualora si raggiungessero i +3° rispetto al periodo preindustriale. Secondo i risultati ottenuti dagli studiosi, «nel caso di un aumento di +1,5° o di +2°, la fusione dei ghiacci in Antartide continuerà con un ritmo simile a quello attuale per tutto il ventunesimo secolo. Questo determinerà un contributo all’innalzamento medio del livello dei mari pari, nel 2100, a 8 centimetri con uno scenario di +1,5° e a 9 cm con uno scenario di +2°». Invece, qualora il riscaldamento toccasse i +3°, verso la fine del secolo i fenomeni di fusione potrebbero accelerare sensibilmente: «Il balzo in avanti nella riduzione dei ghiacci previsto per la fine del ventunesimo secolo sarà causato principalmente dal ritirarsi del ghiacciaio Thwaites, fenomeno che porterebbe a una generale destabilizzazione della copertura glaciale nell’Antartide occidentale», avvertono gli autori della ricerca.

Prendendo in considerazione le previsioni sui tassi di concentrazione della CO2 in atmosfera – i Representative Concentration Pathways stilati dall’IPCC –, i ricercatori evidenziano come nello scenario peggiore (il RCP8.5, che prevede un costante aumento delle emissioni nel corso del secolo) l’intera copertura glaciale antartica diverrebbe instabile; nel 2100, lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe aver determinato un aumento del livello medio del mare di 34 cm, che salirebbe a un metro nel 2125 e addirittura a 9,6 metri nel 2300: un valore quasi decuplicato rispetto alle proiezioni condotte in uno scenario di limitazione del riscaldamento a +1,5°.

Per mostrare con ancor più chiarezza l’importanza delle decisioni dei prossimi anni, i ricercatori hanno realizzato un’ulteriore modellizzazione, simulando la risposta del ghiaccio antartico ad un eventuale ritardo nell’avvio di politiche di riduzione delle emissioni. «Ci siamo resi conto – avvertono gli autori – che, anche ipotizzando l’assenza di un ulteriore riscaldamento a partire dal 2020, la fusione dei ghiacci antartici continuerà a contribuire all’innalzamento del livello delle acque ad un tasso pressoché invariato rispetto a quello attuale, determinando un aumento di 5 cm entro il 2100 e di 1,34 metri entro il 2500. Nelle simulazioni in cui, all’inizio, si segue lo scenario di +3° di aumento, e in cui la riduzione delle emissioni ritardata fino al 2060, è evidente un netto incremento della rapidità dell’innalzamento del livello dei mari già nel corso del ventunesimo secolo. Ogni decennio di ritardo nell’avvio della riduzione delle emissioni climalteranti ha conseguenze profonde e a lungo termine sul livello dei mari, a prescindere dal possibile crollo della quantità di CO2 in atmosfera e dal calo delle temperature».

Se non si farà di tutto per raggiungere gli obiettivi concordati a Parigi, e si indulgerà nel mantenimento dello status quo ritardando i provvedimenti necessari, i ghiacci polari potrebbero superare un punto di non ritorno, raggiungendo livelli di instabilità e di fragilità che potrebbero rendere la loro sparizione inevitabile. Le conseguenze sulle società umane sarebbero drammatiche: forse non è un caso che il ghiacciaio Thwaites, simbolo del pericolo rappresentato dallo scioglimento incontrollato dei ghiacci antartici, sia stato nominato the doomsday glacier – il ghiacciaio dell’apocalisse.

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