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In Salute. Digiuno intermittente, cos'è e come agisce sul metabolismo

Di digiuno intermittente si parla ormai da anni. La letteratura rivolta al largo pubblico abbonda, con firme talora importanti. Basta una rapida ricerca su Google per ottenere un significativo ventaglio di possibilità. Anche i media dedicano spazio all’argomento, illustrando di volta in volta rischi e benefici dello schema dietetico. Come orientarsi, dunque?  E quali sono le posizioni della comunità scientifica in merito?

Per cercare di fare chiarezza ci siamo rivolti a Paolo Spinella, direttore della scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione dell’università di Padova e dell'unità operativa complessa di Dietetica e nutrizione clinica dell’azienda ospedale-università di Padova.

Partiamo da qualche definizione: cosa si intende per digiuno intermittente?

Mi permetta di puntualizzare che sarebbe meglio parlare di diversa programmazione dei pasti nell’arco delle 24 ore. Credo che il termine digiuno, abusato per finalità “salutistiche” o per altre non meglio precisate finalità pseudo sanitarie, sia improprio e non rispettoso in particolare  per tutte quelle persone nel mondo che soffrono la fame (oltre 800 milioni) o sono malnutrite (circa 2 miliardi) e che digiunano loro malgrado e non per scelta, o perché qualche solone deve vendere libri o kit di prodotti collegati. Fatta tale premessa, è opportuno ricordare che nella sua lunga storia l’uomo (più o meno sapiens) ha maturato conoscenze in merito a condizioni e situazioni ambientali diverse  e ha anche messo in atto le misure possibili per difendersi.

Tralasciando le scelte religiose o filosofiche, la pratica del digiuno, in alcuni casi e attuata per il tempo necessario, ha avuto anche delle finalità terapeutiche – in corso di alcune patologie gastroenteriche, per esempio –, ma il digiuno intermittente di moda, riguardante  solo l’assunzione di cibo e non l’apporto idrico, viene proposto non certo su solide basi scientifiche con “indicazioni” non meglio definite, che spaziano dal salutistico al controllo del peso e ad altro, e con modalità di vario tipo. 

Intervista a Paolo Spinella, direttore della scuola di specializzazione in Scienza dell'alimentazione dell'università di Padova. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Una di queste, detta Eat-Stop-Eat, prevede due giorni non consecutivi di digiuno, o di astensione dal cibo, nell’arco della settimana. C’è poi il metodo 5:2, che contempla la riduzione dell’apporto energetico del 70-75% per due giorni alla settimana, anche consecutivi. Lo schema più popolare, non molto distante da una normale distribuzione dei pasti nella giornata (nelle nostre abitudini con cena alle ore 19.00-20.00 e colazione dopo 8-10 ore), è definito invece Time-restricted fasting, cioè alimentazione a tempo limitata, con finestre più o meno ampie di non introduzione di alimenti: ciò significa, per esempio, assumere cibo in un arco temporale di 6-10 ore, senza introdurre alimenti per la restante parte della giornata, dunque con un digiuno variabile tra le 14 e le 18 ore al giorno, pur mantenendo però l’indispensabile apporto di acqua.

Quali effetti ha sul corpo e sul suo metabolismo il digiuno intermittente? Esistono studi sufficientemente solidi in proposito?

Dobbiamo avere chiaro che il nostro organismo segue dei ritmi biologici anche di tipo circadiano che sono determinati da oscillazioni di parametri fisiologici e metabolici nell’arco delle 24 ore. Il sistema si compone di orologi circadiani (clocks), oscillatori biologici localizzati in specifiche aree del sistema nervoso centrale o in tessuti periferici. L’organizzazione di questo sistema molto accurato è quasi di tipo gerarchico e all’apice troviamo il Master Clock, localizzato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo e controllato in special modo da segnali luminosi. Al di sotto vi sono orologi biologici secondari e periferici, distribuiti in vari organi e tessuti, che sono sensibili a segnali di tipo metabolico e nutrizionale, e che possono attivarsi o meno; tali orologi biologici sono inoltre sotto un complesso controllo ormonale che, a sua volta, ha dei ritmi che seguono il ciclo luce-buio e il ritmo sonno-veglia. 

Uno scorretto ritmo del ciclo sonno-veglia, un’alterata esposizione alla luce solare (eccesso di luce artificiale) un’alterata e non equilibrata distribuzione dei pasti e del timing nutritivo o importanti squilibri dello stile di vita sono in grado di minare l’equilibrio dei ritmi circadiani e produrre una “desincronizzazione circadiana” con più che probabili ricadute a livello metabolico, ormonale, neurovegetativo. Tale contesto può essere alla base dello sviluppo di alterazioni metaboliche, come eccesso ponderale, diabete di tipo 2, sindrome metabolica, con successivo aumento del rischio cardiovascolare. 

La luce è il più potente sincronizzatore del sistema nervoso centrale (i tedeschi lo chiamano “zeitgeber”: che dà il tempo). Basta pensare alla melatonina che è in grado di influenzare sia a livello cerebrale che periferico i ritmi, anche quello del cortisolo che gioca sul piano metabolico un ruolo molto importante. Ma ci sono altri sincronizzatori di tipo ormonale come la leptina, l’insulina, la grelina che controllano l’appetito e il metabolismo energetico. Bisogna ricordare che anche pattern comportamentali quali il sonno, l’alimentazione, l’attività fisica hanno un ruolo nella sincronizzazione o nella perturbazione del sistema circadiano.

I protocolli di studio sul digiuno sono modesti e prevalentemente sui roditori, in particolare non sono facili quelli sull’uomo, anche per evidenti motivi di tipo etico e deontologico. Quindi da questo punto di vista nulla è possibile dire, oltre ad avere dei dubbi. 

Il digiuno intermittente può avere dei benefici sulla salute e se sì quali? La comunità scientifica è unanimemente concorde?   

Un approccio corretto che tenga conto dell’adeguata copertura del fabbisogno energetico e di nutrienti, che attui le scelte qualitative migliori per la salvaguardia della salute – penso al modello mediterraneo, con riduzione degli zuccheri semplici, apporto di fibra alimentare, basso utilizzo di cibi ricchi di grassi saturi, utilizzo di grassi buoni per l’organismo come l’olio di oliva, adeguato apporto proteico da fonti diverse (sia animali che vegetali, ma preferibilmente vegetali), appropriato consumo di frutta e vegetali, e di acqua –, con una distribuzione dei pasti rispettosa del ciclo luce-buio e dunque dei ritmi circadiani  (con una finestra di circa 12 ore tra la cena e la colazione), mantenuta con regolarità, può  favorire un miglior controllo metabolico, in particolare la sensibilità insulinica, che è in relazione agli squilibri metabolici più frequenti nelle patologie del benessere (eccesso ponderale, obesità, diabete, gotta, dislipidemie). Recenti segnalazioni ritengono che anche il microbiota intestinale possa giovarsene. 

In merito ai problemi del peso corporeo in soggetti con eccesso ponderale e il più   delle volte in presenza di altre problematiche, le variabili in gioco sono tante e la corretta impostazione di un trattamento dietetico o dietoterapico non può prescindere da una valutazione medica di competenza specialistica, magari prima di affidarsi alle diverse “sirene” circa le diverse offerte “risolutive”.

Come si può immaginare le posizioni della comunità scientifica a riguardo non sono unanimi, ma la raccomandazione di non farsi ammaliare da proposte sempre più “fantasiose e costose”, ma spesso anche pericolose per la salute, dovrebbe essere certa, almeno da parte della comunità medica. Purtroppo, non è sempre così. 

Sul fronte opposto, ci possono essere effetti collaterali? 

Credo che si debba tener conto delle reazioni individuali e delle condizioni di salute (e non solo in  questo caso) e affermare che la risposta dell’organismo potrà essere molto variabile, come diversi possono essere gli eventuali effetti negativi.

Nelle forme non equilibrate, sono stati segnalati disturbi di vario tipo: cefalee, ipersonnia, difficoltà di concentrazione, irritabilità, alterazioni dell’umore, fatica, insonnia, minore efficienza fisica e mentale, alitosi, presente quest’ultima soprattutto quando cominciano a innescarsi i processi di chetosi nel nostro organismo. Tra gli effetti spiacevoli si possono affacciare problemi importanti della sfera psichica, magari su condizioni predisponenti: atteggiamenti rigidi e ossessivi nelle scelte alimentari, con quadri di tipo ortoressico, e l’inizio di percorsi verso i disturbi del comportamento alimentare, di tipo anoressico, bulimico etc. 

Forme di digiuno o altri approcci aggressivi o poco rispettosi dell’equilibrio psico-fisico sono sicuramente da evitare in bambini, adolescenti, maschi e femmine, in donne in gravidanza, in chi ha disturbi della nutrizione e del comportamento alimentare e in presenza di malattie, soprattutto di patologie croniche importanti. 

Ritiene che il digiuno intermittente sia da consigliare? 

Puntualizzo che il digiuno non è mai un regime alimentare, non è una scelta dietetica. La corretta distribuzione dei pasti che preveda una maggiore finestra temporale  di non assunzione di alimenti  tra cena e colazione (da 10 a oltre 12 ore) va sicuramente consigliata, ma prescinde da ciò che posso pensare io,  perché  la natura  e le sue leggi sono le indicazioni, da sempre, più corrette. 

Mi permetto di consigliare alcune misure che sarebbero da attuare per garantire la sincronizzazione circadiana o per evitare l’effetto opposto di desincronizzazione, e cioè una maggiore esposizione alla luce solare e riduzione dell’esposizione alla luce artificiale nelle ore serali; la programmazione dei tempi del sonno, più rispettosi del ritmo luce-buio  e coincidenti con giorno-notte; l’adozione di pasti regolari, andando a dormire e alzandosi più o meno  alla stessa ora; la pratica  regolare dell’attività fisica, magari evitandola nell’ultima parte della giornata. La mancata adesione a questi principi può creare le condizioni  per le perturbazioni circadiane che sono presenti negli stili di vita stressanti  della nostra società del benessere, e che hanno prodotto un quadro che da alcuni studiosi è stato definito  come una sorta di “jet-lag sociale”. 

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