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In Salute. Nuove possibilità terapeutiche per la cura dell’obesità

“Curare l’obesità significa ridurre conseguentemente anche il diabete, le malattie cardiovascolari, le apnee ostruttive. Significa diminuire i casi di steatosi epatica, e dunque i trapianti di fegato. Curare l’obesità significa ridurre gli incidenti stradali e favorire le performance delle persone sul lavoro”. A sottolinearlo è Silvio Buscemi, professore di nutrizione clinica all’università degli studi di Palermo e presidente della sezione Sicilia della Società italiana dell’obesità, che negli ultimi anni con altri scienziati si è dedicato alla sperimentazione di un farmaco di ultima generazione per il trattamento della patologia. Se si considera che l’obesità sta crescendo in modo esponenziale, tanto che a livello mondiale il numero di obesi è triplicato dal 1975, e che secondo l'Oms nel 2016 circa il 40% degli adulti era considerato in sovrappeso e il 13% affetto da obesità, si intuisce quanto conti possedere nuovi strumenti terapeutici da impiegare nell’ambito di un approccio integrato alla malattia. 

Buscemi e colleghi si sono concentrati in modo particolare sullo studio della semaglutide, principio attivo di un farmaco per il trattamento del diabete di tipo 2 che ha dimostrato di avere effetti benefici anche sul peso: i risultati dei trial condotti sono stati pubblicati pochi mesi fa su Nature Medicine (Two-year effects of semaglutide in adults with overweight or obesity: the STEP 5 trial) e a gennaio di quest’anno su Obesity (Two-year effect of semaglutide 2.4 mg on control of eating in adults with overweight/obesity: STEP 5). La semaglutide appartiene alla categoria dei cosiddetti agonisti recettoriali del GLP-1 (glucagon-like peptide 1, peptide 1 simil-glucagone): agisce in maniera analoga al GLP-1 e ha una struttura più o meno simile. Fa parte, come vedremo, di un gruppo di nuovi farmaci in grado di mimare l’azione di più ormoni gastrointestinali, con risultati importanti nel trattamento dell’obesità.

Intervista a Silvio Buscemi, professore di nutrizione clinica all’università di Palermo. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Gli agonisti recettoriali del GLP-1: la liraglutide

GLP-1 è un ormone prodotto nell’intestino e rilasciato dopo il pasto, quando la glicemia sale, per favorire il controllo del glucosio nel sangue: GLP-1 stimola la produzione di insulina e limita quella di glucagone da parte del pancreas; rallenta lo svuotamento gastrico, aumenta il senso di sazietà e riduce l’appetito, agendo sui centri di regolazione della fame del sistema nervoso centrale. Questo ormone viene però velocemente degradato da uno specifico enzima, detto DPP-4 (dipeptil-peptidasi 4): proprio per ovviare a tale rapida degradazione sono stati sviluppati a scopo terapeutico gli analoghi di GLP-1, farmaci in grado di resistere all’azione di DPP-4 e rimanere in circolo più a lungo. 

Negli anni 2000 la Food and Drug Administration (Fda) iniziò ad approvare medicinali che imitavano l’azione di GLP-1 per il trattamento del diabete di tipo 2, ma gli scienziati si accorsero che i partecipanti agli studi clinici perdevano anche peso e iniziarono a sperimentare gli analoghi di GLP-1 per la terapia dell’obesità. Si vide che uno di questi, la liraglutide, dava risultati clinicamente interessanti: dopo l’approvazione della Fda e dell’European Medicine Agency (Ema), il farmaco fu introdotto nel trattamento dell’obesità negli Stati Uniti e in Europa, rispettivamente nel 2014 e nel 2015. Il medicinale oggi viene somministrato a un dosaggio di 3 mg al giorno e può indurre una riduzione del peso corporeo iniziale fino a circa l'8%. Se però dopo 12 settimane il paziente non perde il 5% del proprio peso, si legge nelle European Guidelines for Obesity Management in Adults, la terapia deve essere interrotta. Gli effetti collaterali, principalmente nausea e vomito, sono di solito transitori. Le linee guida mettono, però, in evidenza l’importanza di un approccio integrato nel trattamento dell’obesità che vede l’impiego del farmaco solo in casi ben specifici, e comunque associato a un programma che preveda attività fisica, dieta e supporto psicologico laddove lo specialista ne intraveda la necessità.

La semaglutide

Da qualche anno l’attenzione della comunità scientifica internazionale si è spostata sulla semaglutide, una versione modificata della liraglutide e più efficace. All’inizio del 2021 uno studio pubblicato su The New England Journal of Medicine (Semaglutide Treatment Effect in People with Obesity - STEP 1) riferiva che i pazienti che avevano ricevuto iniezioni settimanali di semaglutide a una dose di 2,4 mg, avevano perso in media il 14,9% del loro peso corporeo iniziale, dopo 68 settimane di trattamento, rispetto al 2,4% di chi aveva ricevuto placebo. 

Lo studio pubblicato su Nature Medicine pochi mesi fa (STEP 5), che vede anche la firma di Silvio Buscemi, si proponeva di valutare l’efficacia della semaglutide sul lungo periodo. Il farmaco è stato somministrato sottocute a una dose di 2,4 mg una volta alla settimana, in aggiunta all’intervento comportamentale in adulti in sovrappeso, con almeno una comorbidità correlata al peso ad esclusione del diabete, o con obesità (152 soggetti sono stati trattati con il farmaco e 152 con placebo). “La dose impiegata per la cura dell’obesità – precisa Buscemi a Il Bo Live – è superiore a quella che si utilizza per il diabete che prevede la somministrazione di 1 mg al massimo”.  

Ebbene, alla settimana 104 i pazienti in trattamento con la semaglutide avevano visto diminuire il proprio peso iniziale del 15,2%, con una differenza di 12,6 punti percentuali rispetto al placebo. Questi risultati, sottolineano i ricercatori nell’articolo scientifico, superano quelli ottenuti in momenti simili della terapia (in termini di perdita di peso corporeo) in studi con altri farmaci per la gestione del peso in adulti con sovrappeso o obesità. “Gli effetti di semaglutide si sono rivelati molto più intensi rispetto a quelli di liraglutide – sottolinea Buscemi –, cioè il suo omologo di utilizzo giornaliero, probabilmente perché mantenere delle concentrazioni stabilmente elevate in circolo, senza avere il calo nelle ultime ore della giornata come avviene con la somministrazione quotidiana, sicuramente potenzia l’azione del farmaco”. 

Semaglutide: efficacia, sicurezza ed effetti collaterali 

“In termini di efficacia, nessun medicinale ha mai dato risultati simili – osserva il docente –. Si è rivelato inoltre sicuro, e ha dimostrato di avere effetti protettivi di tipo cardiovascolare. Inoltre, è un farmaco che si sta sperimentando anche per la cura della steatosi epatica”. Uno studio pubblicato su The New England Journal of Medicine condotto su oltre 3.000 diabetici ad elevato rischio cardiovascolare, per esempio, ha dimostrato che i casi di infarto, ictus o decesso si sono verificati con meno frequenza nei pazienti trattati con la semaglutide, rispetto al placebo. 

“Si tratta di un risultato che non era mai stato ottenuto. Ci stiamo collocando ai livelli della chirurgia dell’obesità, che oggi per efficacia e per intensità della riduzione ponderale è ritenuta la terapia di riferimento. Con il bypass gastrico ci si attende una perdita di peso di circa il 30%, sia pure gravata da possibili recidive”. La maggior parte degli eventi avversi è stata di entità lieve-moderata e transitoria. “Gli effetti indesiderati sono controllabili. Nello studio che ci ha visto coinvolti hanno causato la sospensione della terapia solo nel 3% dei casi. Si tratta di effetti di tipo gastrointestinale fondamentalmente, digestione lunga, svuotamento gastrico rallentato, problemi di motilità intestinale, nausea. Per questo, si inizia con la cura a dosi crescenti progressive, così da consentire all’organismo di adattarsi agli effetti del trattamento”. 

La semaglutide è stata approvata per il trattamento dell’obesità dalla Food and Drug Administration e dall’Ema. “Siamo in attesa che il farmaco venga introdotto anche in Italia con queste indicazioni. Ci auguriamo che venga immesso in commercio quanto prima, per dare una possibilità di cura a chi soffre di questa patologia”. Buscemi sottolinea che la terapia viene prescritta solo in casi specifici. “Non è una terapia con cui si devono curare tutti i pazienti obesi, quanto piuttosto coloro che non sono responsivi al solo intervento medico-nutrizionale, con cui oggi si ottengono successi importanti e che rimane comunque il trattamento di riferimento”. I farmaci dunque sono una risorsa nel paziente in cui un intervento sul cambiamento dello stile di vita non risulta efficace.

Tirzepatide: doppio agonista del recettore del GLP-1 e del GIP

È ora in fase di studio per il trattamento dell’obesità un farmaco che sembra avere un’efficacia ancora maggiore rispetto alla semaglutide. Si tratta della tirzepatide, un doppio agonista recettoriale che va ad agire dunque non solo su GLP-1, ma anche sul GIP, Glucose-dependent Insulinotropic Polipeptyde (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente), un altro ormone appartenente alla categoria delle incretine coinvolto nella secrezione dell’insulina. Il medicinale è stato approvato dalla Fda e da Ema nel 2022 per il trattamento del diabete mellito di tipo 2.

Stando a uno studio di fase 3 che ha coinvolto 2.539 adulti (Surmount-1), i cui risultati sono stati pubblicati alcuni mesi fa su The New England Journal of Medicine, la tirzepatide a un dosaggio settimanale compreso tra i 5 e i 15 mg induce una riduzione media del peso corporeo di circa il 15-20% al termine delle 72 settimane di terapia (a seconda della quantità di farmaco assunto) e invece di circa il 3% con il placebo.   

“Ora si parla di dual agonist – sottolinea Buscemi – e di altri sentiremo parlare presto. Per esempio, CagriSema è un’altra associazione che sta andando in sperimentazione e che vede semaglutide in unione con amilina. E all’orizzonte si profilano anche i tri-agonist, tre sostanze che con tre meccanismi diversi sono in grado di agire sul sistema di controllo dell’appetito su più punti”. Sono in fase di sperimentazione anche altri co-agonisti recettoriali, come GLP-1 e glucagone, e GLP-1,GIP e glucagone. “Le prospettive – conclude il docente – sono veramente notevoli e presto avremo certamente risultati che saranno concorrenziali rispetto alla chirurgia bariatrica”.

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