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“Una diagnosi di tumore è un po’ come un pugno allo stomaco: dopo che hai assorbito il colpo, ti rimetti in piedi e vai avanti – a parlare è una paziente oncologica –. Non combatti alcuna battaglia, come amano dire in molti, ti curi con ciò che di meglio può offrirti la medicina. E se non ce la fai, non hai perso, perché non ci sono né vinti, né vincitori. Le domande che ti poni sono molte. Ti chiedi, per prima cosa, a quale struttura e a quali medici affidarti. Vuoi saperne di più sulla tua malattia. Ti chiedi cosa ti aspetta. Se le cure a cui dovrai sottoporti saranno invasive. Ti domandi come potrai organizzarti con il lavoro, perché sì, se il cancro lo permette la vita continua. Con il tempo ti chiedi anche quali siano i tuoi diritti. E all’inizio ti trovi smarrito, perché non è facile né immediato trovare le risposte a queste domande, soprattutto in un momento in cui tutte le tue risorse dovrebbero essere convogliate altrove”. Ottenere queste informazioni tuttavia è fondamentale per il paziente e, se da un lato esistono una serie di strumenti informativi di cui il malato si può avvalere, dall’altro il medico durante tutto il percorso di cura rimane la figura di riferimento principale.
Va considerato che informazione e comunicazione indicano processi differenti: “L’informazione è notizia, trasferimento di dati – osserva Maria Antonietta Annunziata del Centro di riferimento oncologico di Aviano nel Manuale per la comunicazione in oncologia a cura di Stefano Vella e Francesco De Lorenzo –. L’obiettivo è modificare le conoscenze di chi la riceve. Il trasferimento di notizie non è garanzia di comunicazione: l’informazione è lo strumento necessario, ma non sufficiente, della comunicazione. L’informazione è un processo “a una via” (linearità), in quanto l’effetto si realizza su uno solo degli interlocutori (aumento di conoscenze nel destinatario); si basa essenzialmente sulla comunicazione verbale e, quindi, agisce sulla comprensione, sul pensiero, sulla razionalità. La comunicazione è un processo “a due vie” (circolarità): prevede modificazioni dei comportamenti in entrambi gli interlocutori, in quanto non si basa solo sulla conoscenza (aspetto di informazione), ma anche sulle emozioni”. Ed esiste infine un terzo livello, la relazione, instaurata e mantenuta sulla base di una comunicazione efficace, che contribuisce a costruire una realtà condivisa.
Dove informarsi
Per potersi informare – anche per consolidare e approfondire quanto emerso durante il colloquio con lo specialista – oggi le possibilità non mancano. Almeno fino alla fine degli anni Novanta, invece, era ancora prematuro parlare di strumenti informativi per i pazienti. Solo con la diffusione del web e delle tecnologie di self publishing le risorse disponibili, in termini di libretti, guide, dvd e quant’altro, è notevolmente aumentato sia per tipologia che per quantità. Un contributo significativo in questa direzione è derivato dalle associazioni sorte da quegli anni in poi, tra cui si ricordano l'Associazione italiana malati di cancro, parenti e amici (Aimac), EuropaDonna, Fondazione Calabresi, Attivecomeprima che, insieme ad altre, nel 2003 hanno portato alla costituzione di Favo – Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia. Sui loro siti i pazienti possono reperire molte informazioni utili.
Sul sito di Aimac in particolare – che ha realizzato in Italia il primo sistema multimediale informativo nazionale – sono disponibili schede sui tumori e libretti informativi sulle singole neoplasie, di cui vengono spiegati gli effetti collaterali e i trattamenti; una guida che indica a chi rivolgersi per indagini diagnostiche, trattamenti terapeutici, sostegno psicologico e riabilitazione; riferimenti sui benefici previsti dalla legge dello Stato, sui diritti in ambito lavorativo, sulle tutele giuridiche per i malati di cancro e i loro familiari.
Esiste un Servizio nazionale di accoglienza e informazione in Oncologia (Sion), costituito da un servizio di help-line della sede centrale di Aimac e da 46 punti di accoglienza e di informazione, nei maggiori centri di cura dei tumori italiani. Qui viene distribuito materiale informativo e prestano servizio volontari Aimac, a disposizione dei malati oncologici e dei loro familiari. Anche il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di Sanità offrono notizie di interesse sui loro portali.
“Per quel che riguarda la mia esperienza, quando ho iniziato il percorso di cura – sottolinea la paziente –, non ero a conoscenza di questi strumenti informativi che invece mi sarebbero tornati molto utili. Non avevo idea che esistessero punti di accoglienza e ascolto, né materiale a disposizione dei pazienti. Forse si potrebbe pensare a un opuscolo di indirizzo da consegnare alle prime visite specialistiche”.
La comunicazione con il paziente oncologico
Se dunque è importante fornire al paziente strumenti utili a informarsi anche autonomamente, il rapporto con gli specialisti di riferimento rimane basilare. Già in un precedente servizio della serie In Salute, abbiamo discusso sull’importanza di una buona comunicazione tra medico e malato, rimandando anche a riferimenti normativi sull’argomento. Perché la medicina sia efficace, sottolineava in quell’occasione Claudio Pagano, medico all’università di Padova e al Galway University Hospital, è necessario che ci sia un flusso continuo bidirezionale di informazioni, di percezioni, che rendono il rapporto tra medico e paziente un rapporto empatico. Ragion per cui sarebbe necessario che i medici in formazione acquisissero almeno le nozioni di base in tema di comunicazione con i pazienti, cosa che oggi invece ancora non avviene in modo sistematico e strutturato. Altro aspetto da considerare è il linguaggio, su cui si è soffermato Michele Cortelazzo, linguista dello stesso ateneo, evidenziando la necessità di riconoscere la diseguaglianza di conoscenze, competenze e consuetudini linguistiche tra specialista e paziente, e di conseguenza il bisogno di spiegare termini tecnici non noti al malato.
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Tutto ciò, in oncologia, necessita di ulteriori considerazioni. Soprattutto in questo settore, una comunicazione efficace ha lo scopo di creare un rapporto basato sulla fiducia, di far emergere le preoccupazioni dei pazienti e di comprenderne i bisogni; di guidare il malato e i caregiver alla comprensione della realtà clinica, specie quando si tratta di cattive notizie.
“La comunicazione è fondamentale sempre – sottolinea Gabriella Pravettoni, direttrice della divisione di Psiconcologia dell’Istituto europeo di oncologia e professoressa di psicologia cognitiva e delle decisioni all’Università Statale di Milano –, ma in ambito oncologico lo è particolarmente, perché dal momento della diagnosi in poi i pazienti hanno bisogno di comprendere ciò che accade, ciò che accadrà e quali saranno le conseguenze in molti ambiti della loro esistenza”. Il malato ha la necessità di capire da un lato come potrà cambiare il suo progetto di vita all’interno della famiglia o a lavoro, dall’altro quale sarà il percorso di cura e in che modo e misura lo vedrà coinvolto. Per questa ragione, nella comunicazione tra medico e paziente, è fondamentale rendere chiare le opportunità di scelta terapeutica e le conseguenze di quelle opzioni, affinché chi ha ricevuto una diagnosi di tumore possa rivedere il proprio progetto di vita. “Il medico ha il dovere di far comprendere tutte le possibili implicazioni e conseguenze rispetto alle scelte che vengono fatte, per poter meglio progettare e gestire una qualità di vita”.
Intervista completa a Gabriella Pravettoni, direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar
Accogliere la risposta emotiva del malato
Pravettoni osserva che, davanti a una diagnosi di cancro e al percorso di cura che ne consegue, il paziente può avere un impatto emotivo molto forte, così come i suoi caregiver, e questo potrebbe offuscare la capacità di comprendere completamente, almeno sull’immediato, quanto riferisce il medico. “In tali situazioni, si può valutare un supporto psiconcologico, perché proprio lavorando sugli aspetti emotivi, sull’accettazione della malattia, sull’aderenza al trattamento, sulla comprensione delle conseguenze, sulla progettualità, si riesce a lavorare bene nella comunicazione per una buona vita del paziente”.
L’importante è che l’oncologo sappia riconoscere quando si rende necessario il supporto di altri specialisti. “Quando deve comunicare cattive notizie, un bravo oncologo, se può permetterselo, si avvale della collaborazione di uno psiconcologo, perché capisce che la multidisciplinarietà è il vero segreto per lavorare bene con i pazienti. Un oncologo che ha 10-15 minuti a disposizione per una visita medica non può farsi carico di tutto, non perché non ne possieda le capacità o le competenze cognitive, comportamentali e di comunicazione, ma perché non ha il tempo necessario. Comunicare una brutta notizia significa anche accogliere il paziente nella sua risposta emotiva”. E altresì considerare la famiglia che poi accompagnerà il malato durante tutto il percorso di cura e di accettazione della malattia.
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“Un bravo oncologo quindi – sottolinea Pravettoni – sa avvalersi dell’aiuto degli altri professionisti, e quindi riconosce l’importanza di avere vicino l’infermiere, lo psiconcologo o un altro medico, che possono prendersi cura del paziente a tutto tondo”.
Discorso a parte va fatto per i pazienti oncologici pediatrici. “Per certi versi, lavorare con i bambini e con gli adolescenti a volte è quasi più facile. Certo, dobbiamo tarare la nostra comunicazione sul livello di comprensione dell’altro. Un bambino di cinque anni comprende, e bisogna parlargli, in un modo diverso rispetto a un ragazzo di 15. Difficile invece è il colloquio con i genitori, perché la ‘bordata’ che arriva ai caregiver, nel caso di un figlio, di un bambino, è ancora più atroce”. È molto importante per questo coinvolgere i genitori nella comunicazione della malattia al bambino, scegliendo con cura i termini che saranno utilizzati. Ciò anche per evitare di esternare angosce e paure che sarebbero molto dannose per il piccolo malato.