SCIENZA E RICERCA

SARS-CoV-2, nuovo studio: i bambini sopra i 10 anni trasmettono il virus come gli adulti

Sin dall’inizio il virus SARS-CoV-2 ci ha abituato a non contare troppo sulla possibilità di ottenere spiegazioni certe e definitive sul suo comportamento. Ma pur consapevoli che sono tanti gli aspetti che ancora sfuggono ad una completa comprensione, avevamo accolto come una rassicurazione importante il fatto che sui bambini il virus avesse avere un impatto molto più limitato, non solo per l’esito della malattia, che solo raramente evolve in forme gravi, ma anche perché sembrava che difficilmente i più piccoli potessero avere un ruolo importante nel contagio di altre persone.

Il rapporto tra nuovo coronavirus e bambini è stato infatti uno dei temi principali su cui gli scienziati hanno cercato di dare delle risposte. Un nodo complesso anche perché si articola in diversi interrogativi che riguardano non solo il decorso dell’infezione, ma anche la probabilità che bambini e adolescenti possano contrarre il virus se esposti ad adulti infetti e, viceversa, la capacità di essere fonte di contagio in caso di positività. E l’argomento è particolarmente cruciale dal momento che, con la fine dell’estate, ogni Paese dovrà prendere delle decisioni sulle modalità con cui garantire l’insegnamento scolastico, con tutte le conseguenze che ogni scelta potrà comportare.


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Fino a questo momento alcune ricerche, come lo studio tedesco condotto dal virologo Christian Drosten, della Charitè di Berlino, che aveva riscontrato una elevata carica virale nella gola di 47 pazienti infetti tra 1 e 11 anni, avevano suggerito di adottare una certa cautela nella riapertura delle scuole. Nella stessa direzione era andato uno studio pubblicato su Science da parte di un team cinese che, analizzando i dati provenienti da Wuhan e Shangai, aveva scoperto che la riaperura delle scuole favorendo maggiori contatti tra i bambini finiva per annullare l’effettiva minore suscettibilità dei più piccoli al contagio.

Altri studi, invece, erano stati decisamente più tranquillizzanti: una ricerca australiana, condotta dal mese di marzo fino alla metà di aprile e relativa a 15 scuole, aveva evidenziato come nessuno dei 735 studenti e 128 dipendenti avesse contratto il virus nonostante fossero stati a contatto con nove bambini e nove adulti risultati positivi. Anche dallo studio di Vo’, recentemente pubblicato su Nature, era emerso come nessuno dei bambini al di sotto dei 10 anni fosse stato contagiato dal virus SARS-CoV-2, sebbene in diversi casi si trattasse di bambini che vivevano con adulti positivi. E uno studio osservazionale, non ancora sottoposto a peer review, che aveva analizzando la letteratura pubblicata tra dicembre 2019 e marzo 2020 era giunto alla conclusione che è “improbabile che i bambini siano stati la fonte primaria di infezioni SARS-CoV-2 domestiche”. Allo stesso risultato era giunta un’analisi, pubblicata in preprint, secondo cui le persone al di sotto dei 18 anni se esposte ad un soggetto infetto hanno una probabilità di contrarre l’infezione inferiore del 56% rispetto a un adulto. E a corroborare questa ipotesi è anche un articolo di Nature che applicando un modello matematico strutturato per età ai dati epidemici provenienti da Cina, Italia, Giappone, Singapore, Canada e Corea del Sud ha mostrato un’effettiva minore suscettibilità dei bambini, forse come conseguenza di una cross-reattività dovuta alla frequente esposizione ai coronavirus del raffreddore e ad altri virus respiratori.

A riaprire gli interrogativi è adesso uno studio realizzato dal Korea Centers for Disease Control and Prevention di Cheongju che, ricostruendo i contatti di quasi 60 mila persone con 5706 soggetti positivi a SARS-CoV-2, ha scoperto che al di sopra dei dieci anni non esistono differenze significative per quello che riguarda la capacità di dare origine a catene di contagio. Gli adolescenti sarebbero quindi in grado di trasmettere il virus come gli adulti, mentre nella fascia di età fino al 9 anni la trasmissione è significativamente inferiore, ma comunque possibile.

Che ci sia una differenza tra i bambini e gli adolescenti nella suscettibilità al virus SARS-CoV-2 non è però una novità e sul tema si era già espresso su Il Bo Live anche il professor Andrea Crisanti che in un'intervista realizzata della collega Monica Panetto, aveva sottolineato come occorresse distinguere tra i bambini di età compresa tra 1 e 11 anni e i ragazzi più grandi. 

Inoltre, sottolineano gli autori dello studio coreano, un ulteriore fattore critico è rappresentato dall’elevato numero di casi in cui l’infezione tra i bambini rimane in forma asintomatica e questo potrebbe aver portato a sottostimare il totale delle catene di contagio familiari avviate dai più piccoli. Lo studio è appena uscito e deve quindi ancora essere valutato dalla comunità scientifica ma a differenza di molti precedenti lavori che si erano concentrati su questo aspetto è stato condotto su una popolazione molto ampia. Una considerazione che ha portato Ashish Jha, direttore dell'Harvard Global Health Institute, a dichiarare al New York Times che si tratta di "uno dei migliori studi che abbiamo avuto finora su questo problema".

A tornare urgentemente alla ribalta è quindi la necessità di capire se e quanto i bambini possono avere un ruolo attivo nella trasmissione del virus SARS-CoV-2. Mentre, per fortuna, a livello di decorso clinico è ormai appurato che quando bambini e ragazzi presentano sintomi, e questo sembra accadere solo in un caso su cinque, la malattia tende ad assumere comunque una forma molto più lieve rispetto agli adulti. E, fa notare Enrico Bucci in un post su Facebook, il rischio di morte è veramente molto ridotto: in uno studio su 137 milioni di minori di 19 anni che vivono nelle zone in cui al 19 maggio era arrivata l’epidemia, sono state riscontrate solo 44 morti, un numero molto piccolo soprattutto se lo si confronta alle centinaia di migliaia di adulti che non hanno superato la malattia.

Abbiamo chiesto all'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, di approfondire le nuove conoscenze scientifiche sulla capacità di trasmissione del virus SARS-CoV-2 da parte di bambini e ragazzi e di fornire qualche consiglio sui comportamenti da adottare in classe quando riapriranno le scuole.

Intervista all'immunologa Antonella Viola sulle ultimi dati scientifici relativi alla capacità di bambini e ragazzi di trasmettere il virus SARS-CoV-2. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Questo è un tema veramente delicato - introduce l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova - e io continuo a sostenere da tanto tempo che è la domanda più importante alla quale dobbiamo rispondere perché a settembre nell’ottica di riaprire le scuole noi dobbiamo sapere se i bambini sono una fonte di contagio oppure no. Quello che sappiamo già è che i bambini si possono ammalare e che nella maggioranza dei casi sviluppano una malattia più lieve rispetto agli adulti, sebbene sia stato visto che casi gravi possono manifestarsi anche tra i piccoli e quindi il bambino va protetto comunque. Ma il punto è: la scuola sarà un posto dove ci saranno contagi oppure no? E il bambino può essere fonte di contagio all’interno della famiglia o no? Da questo punto di vista finora gli studi sono stati piuttosto contrastanti e ci sono stati dei deboli risultati verso entrambe le possibilità. Adesso - prosegue la direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza - questo studio è piuttosto robusto perché ha analizzato circa 60 mila contatti di 6000 persone malate e ha dimostrato che in realtà dai 10 anni in su la possibilità di contagiare è la stessa e quindi il bambino di età superiore ai 10 anni contagia quanto un adulto. Si tratta di uno studio molto solido e ben strutturato che è riuscito a realizzare il contact tracing e a ricostruire le varie catene di contagio. I dati emersi dallo studio sono estremamente preoccupanti perché significa che a settembre con la riapetura delle scuole dovremo prestare molta attenzione a questo aspetto. E in più i risultati di questa ricerca supportano la scelta che è stata portata avanti di chiudere le scuole nel momento del picco della pandemia. I bambini al di sotto dei 10 anni invece sembrerebbero infettare di meno e quindi essere una minore fonte di contagio. C’è però un aspetto importante da considerare e riguarda il fatto che probabilmente lo studio sottostima il numero di bambini che possono essere effettivamente portatori dell’infezione perché sappiamo che i bambini spesso sono asintomatici o hanno una sintomatologia molto lieve. Quindi purtroppo questo sembra essere un dato molto preoccupante che ci deve far stare molto attenti e cauti nella riapertura a settembre".

Al tema dell'apertura delle scuole anche la rivista Science ha dedicato recentemente un ampio approfondimento, partito dalla lettera aperta firmata da oltre 1500 membri del Royal College of Paediatrics and Child Health del Regno Unito secondo cui il protrarsi delle chiusure rischierebbe di avere un impatto molto forte "sulle opportunità di vita di una generazione di giovani". La rivista ha analizzato le strategie con cui alcuni Paesi, come Sudafrica, Finlandia e Israele, hanno riaperto le scuole nei mesi scorsi e ha osservato che mantenendo gli accorgimenti più adeguati come l'utilizzo delle mascherine, la creazione di aule non troppo numerose e lo svolgimento, laddove possibile, di lezioni e attività all'aria aperta, è possibile ridurre i rischi di contagio, soprattutto quando la circolazione virale complessiva sembra sotto controllo. 

"Naturalmente noi dobbiamo riaprire le scuole - puntualizza la professoressa Antonella Viola - perché se non riapriamo si ferma il Paese e poi anche per i ragazzi e per i bambini la socialità è importante. Le misure che si stanno mettendo in atto adesso sono giuste e cioè cercare di mantenere un distanziamento fisico, più che sociale, tra i bambini, poi forse dovremmo riuscire a spiegare ai nostri bambini quanto sia importante non abbracciarsi, non scambiarsi la merendina, non scambiarsi il giocattolo. Questo approccio è difficile per noi adulti e quindi possiamo immaginare quanto lo sia per i bambini, però dobbiamo riuscire a comunicare loro la necessità della distanza: il virus si trasmette prevalentemente attraverso l’aerosol che viene prodotto, quindi bisogna spiegare ai bambini l’importanza di indossare la mascherina e i genitori dovrebbero essere consapevoli che si tratta di una pratica a cui anche i piccoli si possono tranquillamente abituare".

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