SCIENZA E RICERCA
Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /05
Nel 2020, più di 1000 miliardi di microchip sono stati fabbricati globalmente, circa 130 per ogni abitante della terra. Ma sono stati comunque insufficienti al fabbisogno. Anche se alcuni ritardi sono dovuti alla pandemia, una delle questioni più complesse rimane quella del reperimento delle materie prime.
“I materiali che entravano nei microchip negli anni ‘60-’70 erano pochissimi, spiega Alessandro Paccagnella, fisico del Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova con cui, assieme a David Burigana, storico del Dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali, stiamo facendo questo percorso nel mondo della microelettronica che si conclude con questa quinta puntata. “Si trattava perlopiù di silicio, alluminio, fosforo, arsenico e poco altro - continua Paccagnella - Con gli anni però il numero di elementi della tavola periodica di Mendeleev che entrano nella fabbricazione è cresciuto. È chiaro che l'elemento primario nel microchip rimane il silicio. E per quello, fortunatamente, basta andare in spiaggia: ce n’è in abbondanza per tutto il processo di purificazione e poi di utilizzo nella produzione dei wafer.”
L’aspetto più problematico è invece quello relativo agli altri materiali che entrano nella filiera di produzione dei microchip e che entrano in tutte le componenti microelettroniche. In alcuni casi si tratta di elementi ampiamente disponibili nella crosta terrestre. In altri invece la situazione è più problematica. “Per esempio il tantalio - spiega ancora Paccagnella - si trova solo in alcuni paesi. Paesi che in qualche caso, come ad esempio quello della Repubblica Democratica del Congo, hanno grandi problemi di stabilità politica, di lotta, di guerre e di commercio illegale delle materie prime.” Uno dei terreni di scontro tra potenze interessate all’uso delle materie prime sono proprio i paesi africani dove si trovano i più importanti giacimenti di elementi necessari alla microelettronica. Si tratta, non casualmente, di paesi dove i conflitti sono costanti e continui, dove spesso non c’è una adeguata protezione ambientale e dove, soprattutto, c’è una bassa tutela delle persone, di chi lavora e di chi vive nei pressi di questi giacimenti. Sappiamo ad esempio che molte miniere vedono impiegate in condizioni di quasi schiavitù persone giovanissime. In questi casi, dunque, il problema è soprattutto etico, ed è necessario capire come porsi nei confronti di queste nazioni.
Quinta puntata della serie su storia e politica del microchip
Abbiamo bisogno di un sistema di diplomazia internazionale
“Ogni stato si posiziona nel contesto globale in base alla sua geografia e alle sue proiezioni geografiche - spiega David Burigana, - La Cina per esempio va a caccia di risorse nel mondo e in particolare in diversi paesi africani. La Repubblica Democratica del Congo è uno dei Paesi africani più ricchi di materie prime interessanti per lo sviluppo della microelettronica. Ma altrettanto ricchi sono anche il Madagascar, la Tanzania, lo Zimbabwe. In molti di questi paesi, la Cina propone di costruire infrastrutture a un costo di sfruttamento molto basso. Si tratta di una strategia diversa da quella dei paesi europei, che quando costruiscono infrastrutture poi chiedono delle royalties in cambio - spiega ancora Burigana. “La Cina agisce diversamente, e così facendo apre dei canali di scambio - aggiunge - In questo modo si garantisce approvvigionamento a lungo termine non solo dei materiali rari ma anche di altre risorse utili a nutrire i suoi mercati futuri.” Il rapporto con l’Africa, dunque, è fondamentale e viene perseguito al di là e senza prendere troppo in considerazione le questioni etiche, purtroppo. Anche la Russia di Putin si è dimostrata molto interessata all’Africa, e la stessa Europa, anche in virtù del suo passato coloniale, cerca di utilizzare strumenti di negoziazione diplomatica per garantirsi accesso a questi materiali così necessari. La microelettronica oggi, aggiunge Burigana, non è un settore tecnologico come era fino agli anni ‘80, è il settore strategico per eccellenza.
Certo, proprio in virtù di questo ruolo centrale, non possiamo permetterci che la microelettronica diventi anche uno strumento di distruzione ambientale e di sfruttamento umano. Sul rispetto dei criteri di protezione ambientale si gioca una vera e propria partita tra potenze, perché non tutti i paesi del mondo hanno lo stesso tipo di legislazione concernente l’impatto sull’ambiente dei processi industriali. Se la priorità è accumulare e purificare questi materiali per essere più performanti nel settore produttivo, è chiaro che un paese che ha meno vincoli di tipo ambientale, come la Cina, ha un vantaggio commerciale.
“La cosa importante sarebbe attuare un sistema di diplomazia internazionale - conclude Burigana - Ci sono degli interessi nazionali e dei posizionamenti a livello globale. Questi vanno mediati sul piano diplomatico, pensando a un interesse comune e trovando un terreno di accordo proprio guardando al ruolo strategico che la microelettronica gioca per tutto lo sviluppo umano in questa fase storica.”
Gli episodi precedenti li puoi leggere qui:
Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /01
Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /02
Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /03
Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /04