SCIENZA E RICERCA

La discriminazione di genere nascosta nella percezione dei volti

Quali processi guidano la percezione sociale? Quando incontriamo una persona per la prima volta, tendiamo inevitabilmente a classificarla in base alle categorie a cui appartiene (tra le principali troviamo il genere, l’età e il gruppo etnico). Quasi sicuramente, questa persona farà lo stesso con noi, instaurando quello che viene definito processo di categorizzazione.  Che si basi su ruoli sociali o altri segnali, identificare una persona come appartenente a una particolare categoria ci consente di fare inferenze su una serie di questioni importanti. Possiamo dedurre, ad esempio, quali potrebbero essere le sue intenzioni e quali tratti generali della personalità potrebbero caratterizzarla. Così facendo, possiamo avviare un’interazione sociale appropriata e instaurare una conversazione efficace. A tal proposito, classificando una persona come giovane o come adulta riusciamo a stabilire, in maniera rapida e senza particolari difficoltà, quali potrebbero essere gli argomenti di conversazione più adatti e quelli meno interessanti. La capacità di estrarre dalle altre persone informazioni socialmente rilevanti è quindi di grande importanza, poiché da essa dipenderanno i nostri pensieri e le nostre azioni future. Inoltre, le dimensioni della categorizzazione sociale, soprattutto collegate all’aspetto esteriore (come genere ed età), possono essere codificate anche senza altre informazioni individuali. Ad esempio, una persona potrebbe ricordare che il suo nuovo vicino è un giovane uomo bianco, senza ricordare nient'altro su di lui. 

Tra tutti gli stimoli, il volto della persona con cui stiamo interagendo svolge un ruolo chiave nei processi di categorizzazione. Se, da un lato, questa categorizzazione è un processo cognitivo fondamentale poiché organizza gli stimoli ambientali in modo rapido e funzionale e ci aiuta nelle nostre interazioni, dall’altro lato può condurre ad alcune conseguenze negative. Nelle persone, infatti, è insita la tendenza ad andare oltre le informazioni fornite da un volto, facendo così emergere inferenze circa particolari disposizioni personali, come stati mentali o tratti di personalità. Questo avviene, per esempio, quando il volto di una persona evoca pensieri come ‘questa persona mi sembra male intenzionata ’ oppure ‘questa persona mi sembra inaffidabile’. Nella letteratura accademica, la tendenza ad inferire caratteristiche della personalità basata su tratti esteriori (in primis il volto, ma anche il comportamento, l’abbigliamento, e così via) è stata ampiamente studiata ed è nota come effetto alone. Queste inferenze si basano su stereotipi e pregiudizi, che vengono considerati come una conseguenza inevitabile della categorizzazione sociale. 

Come già discusso in un articolo precedente di questa rubrica (Partiamo dalle basi: Gli stereotipi di genere e le loro implicazioni), gli stereotipi contengono principalmente due dimensioni fondamentali: il calore e la competenza. In tale contesto, la categorizzazione dei volti basata sul genere può modulare entrambe queste dimensioni. Ad esempio, la mascolinità o la femminilità di un volto svolgono un ruolo cruciale sia nella categorizzazione di una persona come femmina o maschio, sia nell'attribuzione della personalità sulla base di stereotipi preesistenti. Infatti, non solo è probabile che una donna dall'aspetto stereotipicamente femminile venga categorizzata più facilmente come donna, ma è anche probabile che venga percepita come più calorosa (un tratto femminile stereotipico), rispetto a una donna dall'aspetto più mascolino. Le inferenze spontanee e automatiche sulla personalità, d'altro canto, sono il risultato di effetti di sovrageneralizzazione, che risultano particolarmente evidenti per la dimensione genere. Per esempio, se i tratti del viso di una persona assomigliano ai tratti del viso che sono percepiti come tipici per uno specifico gruppo stereotipato (ad esempio, le donne), è probabile che la persona venga associato ai tratti della personalità del gruppo stereotipato (ad esempio, l’affettuosità), indipendentemente dal genere della persona. In linea con questo principio, gli studi che hanno indagato il legame tra le impressioni suscitate dai volti e gli stereotipi di genere suggeriscono che le donne il cui aspetto comunica tratti incoerenti con gli stereotipi della categoria (ad esempio, una donna con un volto giudicato particolarmente dominante o autoritario) abbiano maggiori probabilità di essere valutate in modo più negativo (ad esempio, come meno affidabili) rispetto agli uomini con lo stesso grado di incoerenza stereotipica comunicata dal loro aspetto (ad esempio, un uomo con un volto giudicato particolarmente caloroso o accudente).

Infine, è stato osservato come la categorizzazione dei volti basata sul genere sia in grado di modulare anche la seconda dimensione degli stereotipi, ovvero la percezione del grado di competenza di una persona. In particolare, è noto come i volti maschili vengano spesso percepiti come più competenti rispetto ai volti femminili. Una ricerca condotta da Oh, Buck e Todorov (2019) ha rivelato che le persone tendono a giudicare volti mascolini come più competenti e affidabili in contesti professionali, anche senza alcuna conoscenza pregressa di quella specifica persona. Allo stesso modo, altri studi hanno osservato come un aumento della mascolinità nella forma di un viso porti a valutazioni più elevate circa la dominanza percepita e a valutazioni più basse circa l'emotività, mostrando ancora una volta come la classificazione della categoria sociale si intrecci con alcune inferenze relative ai tratti di personalità. 

La percezione dei volti è quindi profondamente influenzata dagli stereotipi di genere, che possono distorcere il modo in cui giudichiamo la competenza, l’affidabilità e l’emotività di una persona. Studi scientifici suggeriscono come i volti maschili siano più frequentemente percepiti come autorevoli e competenti, mentre quelli femminili siano spesso associati a caratteristiche di vulnerabilità e affettuosità. L’attribuzione stereotipata di tratti di personalità a partire da caratteristiche di femminilità o mascolinità reca con sé implicazioni significative per le opportunità professionali e sociali in cui le donne, potenzialmente percepite come meno competenti e più affettuose, potrebbero essere oggetto di discriminazione. Questo fenomeno è, purtroppo, evidente in differenti ambiti sociali e lavorativi, così come nella vita politica e nei ruoli di leadership, dove le donne, rispetto ai colleghi uomini, devono spesso affrontare ostacoli aggiuntivi per poter essere riconosciute come ugualmente affidabili e competenti. 

Queste disparità non si limitano al contesto lavorativo e di leadership, ma si vivono anche in contesti di forte disagio socioeconomico. Ad esempio, nel prossimo articolo si affronterà l’argomento delle differenze di genere legate alla condizione di senza dimora. 

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