No, non dobbiamo immaginare scenari apocalittici alla Terminator. E no: non dobbiamo nemmeno immaginare di avere presto a disposizione schiere di robot pronte a eseguire compiti al posto nostro.
Niente cyborg assassini con le sembianze di Arnold Schwarznegger. Allo stesso tempo, niente androidi con l’aspetto umanoide alla C3P0 di Star Wars o che si rifanno ai robot dei romanzi di fantascienza di Isaac Asimov. E per prendere uno dei temi che stavano più a cuore allo scrittore russo: niente ancora ragionamenti sulle famose tre leggi della robotica.
Ma come: viviamo nell’era dell’intelligenza artificiale e sotto al naso ci passano video di macchine con sembianze umane intente a prendere piatti e spostarli sul lavandino ma non possiamo averne uno in casa, tantomeno vederlo portare fuori il cane al posto nostro? Esattamente così: la realtà (tecnologica e scientifica) ha fatto passi da gigante in questi ultimi anni, ma non è ancora riuscita a superare la fantasia dell’industria culturale fantascientifica che, negli anni, ci ha affascinato (o terrorizzato) con le proiezioni sulla nostra vita. In un futuro, non prossimo, l’umanità ci arriverà. Per adesso, ci sono limiti – tecnologici, soprattutto, ed etici-sociali – tra noi e il robot umanoide tuttofare o anche quello che lavorerà nelle catene di montaggio senza interazione umana.
Insomma, siamo di fronte a un gap tecnologico tra l’enorme crescita nello sviluppo di intelligenze artificiali adatte a essere usate per scopi più disparati e una sostanziale posizione arretrata della ricerca nel campo della robotica.
I laboratori di ricerca e le aziende (soprattutto private) sperano di colmare il gap in fretta. Alcuni esempi: la celebre Boston Dynamics ha annunciato i test sul nuovo prototipo Atlas, interamente elettrico. Figure, un’altra azienda che si occupa di AI applicata alla robotica, ha mostrato ingenti miglioramenti al suo prototipo Figure 02; l’Agility Robotics ha annunciato di aver realizzato il primo robot pagato per muovere scatole in un’impresa logistica; Tesla spergiura di mettere al lavoro il suo umanoide Optimus entro il 2025; 1x ha introdotto da poco la versione beta di Neo, un altro robot progettato espressamente per lavorare con gli esseri umani in casa.
Robot “senza mani” e tempistiche di lavorazione
Sembrerebbe una battuta ma non lo è: il lavoro per realizzare un robot antropomorfizzato deve partire da una parte anatomica precisa e dal suo utilizzo: le mani. Chi scrive sta usando le sue dita sulla tastiera. Sa quanta pressione deve applicare, comprende, attraverso il tatto, la superficie che sta toccando e, soprattutto, sa passare, rapidamente, da un compito all’altro come prendere un bicchiere d’acqua e berne un sorso. Le chiavi sono la sensibilità, la ripetibilità di un gesto e, decisamente, anche la forma di queste mani. Quelle di un robot sanno fare tutte queste cose? Ancora no, o meglio, non del tutto. Rispetto all’ultimo punto, va da sé che le fattezze dello strumento mano devono essere simili a quelle reali. Le misure, meglio ancora, le proporzioni contano: se un robot avesse misure troppo spesse come potrebbe prendere e usare un utensile progettato per gente in carne ed ossa? Movimenti ripetibili e sempre portati a termine con successo: sembra facile, se si pensa a noi. Ma per un umanoide non lo è: molti test evidenziano miglioramenti nella gestione di pratiche routinarie, ma gli errori compiuti sul campo sono decisamente più elevati di quelli delle proiezioni fatte al computer con modelli di AI. Pensiamo a ChatGPT: è stato addestrato a parlare attingendo da milioni di dati ottenuti online. Ma come si potrebbero ottenere dati rispetto a questioni come “qual è la sensazione di prendere in mano una fragola?”. I ricercatori del team robotico di Google Deep Mind, in un documento di lavoro, aggiungono: “Un modello di linguaggio potrebbe anche descrivere come avvitare una vite o allacciarsi una scarpa, ma non è detto che – inserito in un robot – esso possa eseguire il compito richiesto”. Insomma, gli studi sull’agilità sono all’ordine del giorno, tanto che anche ARIA, l’agenzia britannica di ricerca avanzata (Advanced Research + Invention Agency) ha investito quasi 60 milioni di sterline in un programma che mira a trasformare le abilità dei robot.
Perché proprio un umanoide?
Alla fine di tutto questo, siamo davvero sicuri che un robot dalle forme e sembianze umane sia davvero la soluzione tecnologica migliore? D’altronde, di macchine al lavoro nelle fabbriche ce ne sono già parecchie con intere catene di montaggio automatizzate. Una forma o più forme diverse non potrebbero dare dei risultati migliori e più facilmente apprezzabili? Stiamo plasmando robot a nostra somiglianza perché tutto è plasmato su di noi, ma non è del tutto detto che sia la strada corretta da seguire a tutti i costi. Certo, l’immaginario collettivo non aiuta: chi non vorrebbe avere il già citato C3PO al suo fianco? O qualsiasi altro robot “buono” sfornato dai romanzi di fantascienza e dal cinema? O avere in casa qualche prototipo ammirato nei filmati della Boston Dynamics? Troppo presto, decisamente ancora troppo presto. E, comunque, non è tutto oro quel che luccica nemmeno nei video: diamo un’occhiata anche agli epic fail sui test robotici e capiremo come la strada sia decisamente lunga e impervia.