Donald Trump. Foto: Reuters
Tutto si può dire di Donald Trump, tranne che abbia perso tempo. Dal suo ritorno alla Casa Bianca, lo scorso 20 gennaio, il presidente americano ha continuato a premere forte sull’acceleratore, anche a rischio di calpestare le regole (legali e morali), come a voler dimostrare che il pilota è lui, che le decisioni sono ormai prese e che le promesse elettorali saranno mantenute, per la gioia dei milioni di americani che l’hanno votato. Così sono partite le già annunciate deportazioni di massa, con i voli militari pieni di migranti in manette (come da foto postata su X dall’account ufficiale della Casa Bianca) diretti in Guatemala e in Messico: «La più grande operazione di deportazione di criminali nella storia degli Stati Uniti», come l’ha definita con fierezza la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt.
Just as he promised, President Trump is sending a strong message to the world: those who enter the United States illegally will face serious consequences. pic.twitter.com/yqgtF1RX6K
— The White House (@WhiteHouse) January 24, 2025
Il presidente si è poi affrettato a graziare tutti i rivoltosi che il 6 gennaio 2021 avevano preso d’assalto il Campidoglio (tutt’altro che pacificamente), compreso quel David Nicholas Dempsey che lo scorso agosto, dopo essersi dichiarato colpevole, era stato condannato a 20 anni di carcere per aver aggredito e ferito diversi agenti di polizia con pali e stampelle di metallo, oltre a spruzzargli contro uno spray urticante anti-orso. Poi ha ordinato un “congelamento delle assunzioni” con l’obiettivo di ridurre la forza lavoro negli uffici federali, in particolar modo nell’Internal Revenue Service, l’agenzia governativa responsabile della riscossione delle tasse, che a partire dal 2023, su impulso di Joe Biden, aveva puntato l’attenzione soprattutto tra i contribuenti più ricchi per “per ripristinare l’equità nella conformità fiscale”. Un proposito che, evidentemente, non era gradito ai Paperoni americani sponsor di Trump. Ma il presidente ha fatto di più: dopo aver ribadito che esistono soltanto due generi («only male and female», lasciando senza “copertura” oltre 1,6 milioni di americani transgender e non binari) ha dato ordine di smantellare i programmi federali che promuovevano la diversità, l’equità e l’inclusione, oltre alla protezione per le persone transgender, con il licenziamento di tutti i dipendenti federali; e l’esplicita minaccia alle imprese e alle organizzazioni private che operano in quel settore, avvisandole che da qui in avanti potrebbero essere indagate per aver favorito le politiche sulla diversità. Poi ha battuto un colpo anche sull’aborto, annunciando l’intenzione del governo degli Stati Uniti di rientrare a far parte della Geneva Consensus Declaration, un patto globale antiabortista fondato dallo stesso Trump durante il suo primo mandato (poi Biden se ne era tirato fuori) che si propone di negare l’esistenza di un diritto internazionale in merito alla possibilità di accesso all’interruzione di gravidanza, che vede “alleati” Russia, Polonia, Ungheria, Guatemala, Paraguay, Indonesia, Arabia Saudita, Oman, Iraq e una decina di stati africani, dall’Egitto al Kenya.
Il doppio passo indietro: clima e Oms
Ma c’è di più, e perfino di più grave. Il presidente americano ha firmato due “passi indietro” ampiamente previsti, ma non per questo meno allarmanti ora che si è passati dalle dichiarazioni ai fatti. Il primo è il nuovo ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, il trattato internazionale firmato nel 2015 che vincola giuridicamente i suoi firmatari affinché agiscano per combattere i cambiamenti climatici (e mantenere, tra l’altro, l’aumento del riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C). «Mi ritiro immediatamente dall’ingiusta e unilaterale fregatura dell’accordo sul clima di Parigi. Non saboteremo le nostre industrie mentre la Cina inquina impunemente», è stato il ragionamento proposto da Trump ai suoi fedelissimi. Secondo David Waskow, direttore dell’International Climate Initiative del World Resources Institute, l’uscita dall’accordo di Parigi potrebbe alla lunga rivelarsi dannosa per gli Usa, escludendoli potenzialmente da alcuni mercati dell’energia pulita e della tecnologia green. Il secondo passo indietro è la decisione di non far più parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che gli Usa avevano contribuito a fondare nel 1948, e al quale versavano il 18% dei finanziamenti complessivi. Trump, per giustificare la mossa, ha parlato di “inappropriata influenza politica degli Stati membri dell’Oms che richiedono pagamenti ingiustamente onerosi da parte degli Stati Uniti”. «La sanità mondiale ci ha derubato, tutti derubano gli Stati Uniti. Non accadrà più», ha aggiunto. Le reazioni all’annuncio, com’è ovvio, non sono mancate: «L’Oms può essere migliorata: ci sono inefficienze, come in tutte le organizzazioni», ha affermato Paul Spiegel, professore presso il dipartimento di salute internazionale e direttore del Center for Humanitarian Health presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. «Ma ritirare gli Stati Uniti dall’Organizzazione vuol dire azzopparla».
L’ultima idea: “ripulire” Gaza
Poi c’è il capitolo della politica estera: non più smaccatamente isolazionista com’era stata durante il suo primo mandato, ma addirittura con mire espansionistiche (Canada, Groenlandia, Panama), pur pasticciate e imprevedibili com’è nello stile di Trump, sempre al grido di “America first”, quasi a cercare l’incidente diplomatico, a spazzar via le regole dell’ordine internazionale, per creare una continua escalation di emergenze (alcune reali, altre meno) in grado di disorientare e/o distrarre gli avversari politici. Ha fatto enorme scalpore la sua proposta, avanzata domenica scorsa, di “ripulire dai palestinesi” la Striscia di Gaza. L’idea è quella di cacciarli altrove, deportarli in Egitto e in Giordania: e parliamo di un milione e mezzo di persone. «Sto guardando la situazione dell’intera Striscia di Gaza ed è un disastro, un vero casino», ha commentato Trump durante un incontro con i giornalisti a bordo dell’Air Force One. «In questo momento è letteralmente un sito di demolizione. E la gente sta morendo lì. Quindi, preferirei coinvolgere alcune nazioni arabe e costruire alloggi in un luogo diverso, dove potrebbero forse vivere in pace». La “soluzione”, secondo Trump, potrebbe essere “temporanea o definitiva”, si vedrà. Intanto ha incassato il plauso dell’estrema destra israeliana, con il ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che l’ha definita “un’idea eccellente”: «Con l’aiuto di Dio, lavorerò con il primo ministro per sviluppare un piano operativo per attuare questo il prima possibile». Il ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, ha già dichiarato che il rifiuto del suo paese della proposta di trasferimento dei palestinesi è “fermo e incrollabile”.
Ma ogni giorno che trascorre porta nuovi esempi, nuove polemiche, nuovi strappi, sempre seguendo lo stesso schema: dividere, sorprendere, lacerare coscienze e istituzioni, senza badare al rispetto delle forme, delle regole e delle persone. «È stato eletto come un disgregatore», ha commentato con la Cnn David Miliband, ex ministro degli Esteri britannico, e attuale amministratore delegato dell’International Rescue Committee, storica ong per l’aiuto umanitario globale. «Ha promesso che avrebbe sconvolto il modo esistente di fare le cose, sia negli Stati Uniti che a livello internazionale. È stato coerente». A proposito di aiuti internazionali: la scorsa settimana lo staff presidenziale ha inviato un memorandum ai dipendenti della United States Agency for International Development (USAID), l’agenzia governativa che guida gli sforzi internazionali di sviluppo e di assistenza umanitaria ai paesi partner, ordinando ai dipendenti di “allineare le operazioni di aiuto estero con la politica America First”, minacciando azioni disciplinari per coloro che non dovessero attenersi alle disposizioni ricevute. La Casa Bianca ha ordinato di congelare per 90 giorni tutti i programmi di aiuti esteri, anche quelli già approvati, per valutare se siano o meno in linea con i nuovi obiettivi di politica estera. È bene ricordare che nel 2023 gli Stati Uniti hanno erogato 72 miliardi di dollari di aiuti, mentre nel 2024 hanno contribuito al 42% di tutti gli aiuti umanitari monitorati dalle Nazioni Unite.
Tra minacce e timori
Trump vuole continuare a dimostrare forza, determinazione, pugno duro, a vestire i panni del macho-man senza paura («Continuerò a firmare ordini esecutivi fino a quando la mia mano non si spezzerà») che tanto eccita i fautori delle politiche più autoritarie. Arrogante, aggressivo, eccessivo: in una somma di «affermazioni di potere personale che infrangono le norme e mettono alla prova la democrazia e che sfidano i tribunali, il Congresso e le linee etiche che hanno limitato i presidenti del passato», come riassume Peter Baker, capo corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca. O come scrive David French, editorialista sempre per il NYT: «Non sono mai stato così preoccupato per lo stato di diritto negli Stati Uniti. Perché c’è una domanda chiave che riguarda il futuro: Trump rispetterà le sentenze della Corte Suprema? Oppure ignorerà le sentenze che non gli piacciono, chiederà che il ramo esecutivo si pieghi alla sua volontà, e poi perdonerà gli uomini e le donne che potrebbero sfidare penalmente la Corte Suprema»? La domanda è lecita. Se dovessimo scommettere un cent è assai probabile che Donald Trump tenterà di cambiare anche le regole interne, magari arrivando a “forzare” la Costituzione per ottenere la possibilità di un terzo mandato (il deputato repubblicano Andy Ogles ha appena presentato una proposta di modifica al 22° emendamento). E ricordate cosa disse Trump in campagna elettorale, il 26 luglio dello scorso anno a West Palm Beach, in Florida, intervenendo al The Believers' Summit, un evento ospitato dal Turning Point Action, uno dei gruppi di difesa nazionalisti cristiani più estremi? Disse testualmente: «Vi amo, cristiani. Anch’io sono cristiano. Dovete uscire e votare per me. Ma tra quattro anni non dovrete votare di nuovo. La risolveremo così bene che non dovrete più votare». Qualcuno l’ha letta come una minaccia: e Trump è un uomo che le promesse, quando vuole, fa di tutto per mantenerle.