SOCIETÀ
Un uomo e una donna, 2 paesi diversi ma la stessa lotta ai diritti e contro le violenze

Nella foto, Ala Azadkia
Se potessi dire qualcosa alle donne, a tutte le donne che vedono la loro libertà violata in qualsiasi modo, direi: non riesco a spiegare con le parole quanto ammiro i vostri passi minuscoli verso i vostri diritti. Voi che in silenzio, tutti i giorni, combattete. Voi che ogni giorno lottate seriamente e duramente come soldati, ma continuate a mettere un fiore tra i capelli, a truccare quel viso con un rossetto, a scegliere tra una gonna e l’altra per la battaglia di domani. Un abbraccio forte, mie sorelle.
Ala Azadkia
Se potessi dire qualcosa agli uomini afgani, ma forse a tutti gli uomini del mondo, direi: i diritti delle donne riguardano tutti noi. Una società può essere davvero libera e forte solo quando vi sono pari opportunità di crescita e successo per tutte e tutti. Se volete un futuro luminoso, dovete stare al fianco delle vostre sorelle, figlie e mogli, e sostenere il loro diritto all’istruzione, al lavoro e alla libertà. Questo non è segno di debolezza, ma di coraggio, consapevolezza e dignità, questo vuol dire essere uomo.
Shaheen Hussian Zada
Jin, Jiyan, Azadî. Donna, Vita, Libertà, grido di libertà delle donne curde nella lotta contro regimi oppressivi, è diventato il simbolo della lotta per i diritti delle donne in Iran dopo l’assassinio di Mahsa Amini, una giovane donna uccisa nel settembre 2022 dalla polizia morale di Teheran per non aver indossato correttamente il velo. La sua morte ha scatenato proteste in tutto il Paese, trasformandosi in un movimento più ampio di resistenza contro ogni repressione e per la libertà di tutte e tutti. Nel 2022, pur consapevoli delle terribili conseguenze che avrebbero pagato sotto il regime dei talebani, molte donne afgane si sono schierate a fianco delle sorelle iraniane, rivendicando libertà per tutte. Tre parole, un grido di resistenza che ha fatto il giro del mondo, fino a raggiungere le piazze d’America e d’Europa. “Avanti insieme, unite nella lotta”, “insieme siam partite, insieme torneremo, non-una-di-meno!” Sono alcuni degli slogan che risuonano nelle strade e nelle case; migliaia di voci, centinaia di lingue, un unico obiettivo: libertà e dignità per tutti e tutte.
La strada da fare purtroppo è ancora lunga e la violenza, la prevaricazione e la discriminazione continuano a essere un dato di fatto - seppure in modi e a livelli diversi - nel mondo intero. E troppo spesso continuano ad accadere nel silenzio, nonostante i rappresentanti della politica e dell’economia ribadiscano l’importanza di rispettare i diritti delle donne in tutti gli ambiti. Uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, il numero 5, è proprio la parità di genere, che i 193 Paesi delle Nazioni Unite hanno dichiarato di voler raggiungere, appunto, entro il 2030. In realtà, stando agli ultimi report dell’ONU, non stiamo affatto ottenendo i risultati desiderati, anzi, per quel che riguarda i diritti delle donne la situazione in molti casi è in peggioramento. Anche il dilagare dei conflitti, delle crisi umanitarie e degli effetti della crisi climatica ha un impatto esponenzialmente più drammatico sulla parte femminile della popolazione e contribuisce a esacerbare le disuguaglianze, soprattutto per coloro che sono già vulnerabili.
Secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum -, che misura il divario di genere in economia, educazione, salute e politica, con le misure in essere la parità di genere non potrà essere raggiunta prima di 132 anni. I tempi si accorciano o si allungano a seconda dei Paesi: al primo posto come esempio positivo c’è l’Islanda, che mantiene la posizione da dieci anni e nel 2024 ha colmato il 93,5% del divario di genere, seguita dagli altri Stati del Nord Europa - Finlandia, Norvegia e Svezia - e dalla Nuova Zelanda. Fra i primi dieci c’è anche il piccolo Nicaragua, che nonostante non vanti una politica interna delle più democratiche, sul divario di genere è più avanti della Svizzera. L’Italia invece è retrocessa dal 79º posto del 2023 all’87º del 2024: di questo passo alla parità di genere gli italiani e le italiane arriveranno forse nel 2158 - sempre a patto di non continuare a camminare all’indietro, perché in tal caso i tempi potrebbero prolungarsi ulteriormente.
“ Nel Global Gender Gap, l'Italia è retrocessa dal 79esimo posto all'87esimo del 2024
Gli ultimi cinque in classifica sono Niger, Iran, Yemen, Pakistan e Afghanistan, ultimo assoluto nella graduatoria mondiale. Da quando il Paese è caduto nelle mani dei talebani, nell’agosto 2021, la repressione delle donne è stata pressoché assoluta, privandole dei diritti fondamentali alla libertà, all’istruzione e, troppo spesso, anche alla vita e alla dignità. “L’applicazione di leggi restrittive ha fatto sì che in alcuni casi le persone si sentissero più sicure, ma le libertà individuali sono state drasticamente limitate e le più colpite sono state le donne, che non possono più studiare, lavorare, in molti casi nemmeno uscire di casa” racconta Shaheen Hussian Zada, poco più di vent’anni, che dopo aver combattuto contro i talebani per difendere il suo Paese, nel 2021 è dovuto fuggire dall’Afghanistan per non perdere la vita. “La povertà e la fame sono ovunque. Per molte famiglie la semplice sopravvivenza è una sfida insormontabile. Le donne non possono più nemmeno far sentire la loro voce, ma anche gli uomini non possono esprimere le loro opinioni in pubblico, o rischiano la vita loro e dei loro cari. Vorrei tanto dire loro: siete più forti di chiunque altro. Di fronte a tutte le restrizioni, umiliazioni e difficoltà che affrontate, ancora resistete e lo state facendo per tutti noi. Ma ogni giorno che passa anche io mi sento sempre più impotente, in un’Europa silenziosa”.

Shaheen Hussian Zada
Ala Azadkia viene invece dall’Iran, più precisamente da Teheran. Ingegnera meccanica, è venuta in Europa per seguire i suoi sogni - tra cui quello per l’arrampicata, coltivato fin da giovanissima sulle montagne del suo Paese e ora coltivato sulle Dolomiti trentine, dove lavora nel commercio equo e solidale dello zafferano. Questo oro rosso è la spezia più costosa al mondo, il cui mercato si basa sullo sfruttamento delle aree più povere del pianeta, tra cui appunto l’Iran, dove ne viene prodotto il 90% del totale a livello mondiale. Un modo per costruire giustizia quello di Ala, ma anche per far conoscere la meraviglia della cultura e delle tradizioni di Persia. “Io amo il mio Paese. L’Iran soffre, per me è come se fosse una carissima maestra anziana che non sta bene. È molto malata e tanti dicono che non si può farci niente, ma io continuo ad amarla e curarla nel mio piccolo perché so che può rialzarsi. La Repubblica Islamica ha sempre voluto cancellare la donna dalla società, ma non ci è riuscita, perché da 46 anni le donne stanno combattendo. Più del 60% degli studenti universitari continua a essere donne, nonostante tutto. In ogni settore ci sono donne di alto livello. La Repubblica Islamica non ha vinto in Iran, ha fallito e abbaia e mostra i denti perché ha paura di noi, perché le donne iraniane, anche nei paesini sperduti, hanno il desiderio di indipendenza e libertà nel cuore, come un fuoco acceso, e non si arrenderanno mai. Questo vale anche in Italia, perché anche se tante cose che in Iran appaiono obiettivi irraggiungibili qui sono ormai dati di fatto e conosco moltissimi esempi di relazioni fra uomo e donna positivi e costruttivi, pure qui c’è ancora violenza e anche se per fortuna sono casi che non riguardano la maggior parte della società, ci sono centinaia di donne che vengono accoltellate e uccise dagli uomini”.


Ala Azadkia
“Anche sulle molestie sessuali bisogna fare qualcosa” rincara Shaheen “perché io ne vedo parecchie anche qui. Ci sono più libertà e rispetto nel sistema di relazioni tra uomini e donne in Europa se si fa il confronto con altri Paesi, ma questa libertà richiede consapevolezza e responsabilità. E dovrebbero esserci più leggi per combattere la violenza sulle donne, di supporto a chi la subisce e di pene severe per chi le compie, ma soprattutto bisogna fare tanta educazione e parlare, parlare molto”.
Una donna e un uomo che vengono da due paesi diversi, non si conoscono, rispondono a molti chilometri di distanza l’uno dall’altra, eppure le loro frasi sembrano parte di uno stesso discorso: “Nella lotta alla violenza sulle donne l’educazione gioca un ruolo fondamentale - continua Ala -aumentare la consapevolezza, il livello culturale sia per gli uomini che per le donne, discutere, costruire insieme. In Iran c’è un regime repressivo e violento, ma non basta che cambi la legge e cada il regime affinché ci sia libertà: se non cambiano le persone e il modo di pensare, se non si affrontano la povertà e l’ignoranza, un governo terribile sarà sostituito da un altro ancora peggiore. I cambiamenti veri, quelli a lungo termine, hanno radici profondamente culturali. Anche lavorare sul concetto di amore è importante: amore non è gelosia, né controllo. È condivisione, rispetto e supporto reciproco. Ti rispetto anche quando non condivido le tue scelte, ti supporto quando vuoi volare verso i tuoi sogni, li vedo, li considero come miei e farò tutto ciò che è in mio potere affinché tu possa realizzarli. L’indipendenza economica poi è fondamentale: lavoriamo duramente noi donne perché sappiamo che avere il nostro lavoro e i nostri soldi ci permette di essere libere e autonome e di scegliere quali legami costruire, nella condivisione e nello scambio reciproco”. Anche per questo Ala sta portando avanti il suo progetto transnazionale tra Iran e Italia: Shirin Persia. È un progetto equo e solidale, il cui cuore è costituito dalle donne - spesso totalmente sconosciute - che in Iran coltivano lo zafferano, tessono, ricamano: “Cerco di portare in Italia la voce delle donne e gli odori e i colori della mia terra ospitale”.
Anche Shaheen menziona con tristezza l’abbandono che sta vivendo la sua terra martoriata e che si allarga a macchia d’olio anche a chi è riuscito a fuggire, ma di quella terra porta la storia e la nazionalità e dopo mille traversie in Europa trova solo altra sofferenza. “Eppure - commenta - è proprio dell’Europa il motto ‘non lasciare nessuno indietro’, o sbaglio? Io credo che non esista libertà che non sia condivisa. La parola ‘libertà’ è complessa. Non significa fare ciò che si vuole, significa responsabilità, giustizia e rispetto. Se c’è discriminazione, non c’è libertà. E io di discriminazioni ne ho viste tante anche qui: pregiudizi culturali e religiosi, pregiudizi linguistici e lavorativi, pregiudizi razziali e di aspetto. È assurdo poi quando una lotta per i diritti viene strumentalizzata per altre discriminazioni: non è raro sentire usare i diritti delle donne come scusa per alimentare sentimenti razzisti e xenofobi. Se un uomo fa del male o non rispetta una donna - o un altro essere umano - va punito, a prescindere dalla sua nazionalità. È terribile però quando episodi di violenza di genere commessi da stranieri vengono strumentalizzati per dipingere intere comunità come pericolose o criminalizzare intere categorie di persone - magari le stesse che hanno sacrificato tutto e che hanno dovuto cercare rifugio qui proprio perché hanno difeso i diritti fondamentali che stanno scritti nelle Costituzioni d’Europa. La parità di genere non è una ‘scusa’ per fomentare altro odio, è un diritto fondamentale! Per lottare contro la violenza sulle donne bisogna fare educazione, non ulteriore discriminazione. Le lotte per i diritti sono tutte interconnesse e tutte ci riguardano, dall’Afghanistan all’Europa abbiamo ancora tanta strada da fare e ognuno e ognuna di noi è egualmente responsabile di quel che succede qui e lì”.
Una testimonianza incrociata, quella di Ala Azakdia e di Shaheen Hussian Zada, un passato troppo grande per i loro anni, di fronte solo la strada che loro stessi vogliono avere il diritto e l’opportunità di scegliere. Parole di dolore e di speranza che ci ricordano come - oggi più che mai - soltanto lottando insieme per i diritti di tutte e tutti possiamo costruire dignità, democrazia e libertà.
Libertà, un concetto tanto fondamentale quanto il nostro diritto di respirare e che forse è molto più profondo di qualsiasi definizione. “Mi sono chiesta molte volte: sei una donna libera? Prima in Iran e poi qui in Italia” racconta Ala “Quando sono arrivata in Italia, volevo liberarmi da una società tradizionalista e da un governo pazzo. Era come se la ‘libertà’ fosse un oggetto da cercare, nascosto da qualche parte nel mondo. Ma dopo pochi mesi in Europa ho scoperto che avevo portato con me, nella mia testa, tutte le catene che limitavano la mia libertà. Oggi definisco la libertà come una qualità interiore. Conosco persone che sembrano libere, ma sono prigioniere dei loro pensieri, delle loro paure, e conosco persone rinchiuse da anni nelle carceri di Evin, in Iran, ma che sono incredibilmente libere. Credo che la cosa più grande che possiamo fare per chi si trova in difficoltà sia vivere pienamente e fare buon uso dei doni e delle opportunità che abbiamo, dando loro il valore che meritano. È così che nasce la consapevolezza necessaria a cambiare il mondo attorno a noi”.