SOCIETÀ
Lo Sri Lanka ha un nuovo presidente, ma il malcontento popolare e la crisi restano
Ranil Wickremesinghe. Foto: Reuters
Il “cambiamento” dovrà ancora attendere. La nomina di Ranil Wickremesinghe come nuovo Presidente dello Sri Lanka è uno schiaffo del Parlamento alle migliaia di manifestanti che per oltre cento giorni hanno tenuto in scacco la politica locale, occupando i palazzi del potere, costringendo dapprima alle dimissioni il primo ministro Mahinda Rajapaksa, e addirittura alla fuga, il 13 luglio scorso, l’ex Presidente Gotabaya Rajapaksa. Al centro della protesta (in gran parte pacifica) è il drammatico stato dell’economia del paese asiatico (inflazione al 57% su base annua, un debito pubblico fuori controllo, frequenti blackout, carenza di cibo, di medicine, di carburanti), che ha messo in ginocchio la popolazione. La rabbia dei dimostranti, soprattutto studenti e giovani, si era concentrata sul clan Rajapaksa, populista, nazionalista, che per quasi due decenni governato l’isola come un’impresa di famiglia, spingendola verso la bancarotta: oltre ai due fratelli Mahinda (premier) e Gotabaya (Presidente) c’è anche il terzo fratello, Basil, da molti indicato come la vera eminenza grigia della famiglia, ex ministro delle Finanze, costretto anche lui a dimettersi dagli incarichi. Il clan lascia dietro di sé una scia di corruzione, di violenze, di sistematico saccheggio dei beni del paese, di militarizzazione e una colossale montagna di debiti. Oltre all’eredità della sanguinosa guerra civile, con la ribellione delle minoranze tamil (musulmani, in un paese a maggioranza buddista), che chiedevano uno stato indipendente al nord, brutalmente repressa nel 2009 dall’allora presidente Mahinda Rajapaksa, mentre Gotabaya era suo segretario alla difesa. In seguito alle dimissioni da premier di Mahinda, lo scorso maggio, Gotabaya aveva nominato nel ruolo di primo ministro Ranil Wickremesinghe, 73 anni, leader del partito di minoranza United National Party, politico di lunghissimo corso, che aveva poi assunto anche l’interim della presidenza dopo la precipitosa fuga della scorsa settimana (a bordo di un areo militare, prima alle Maldive, poi a Singapore) dello stesso Gotabaya. Ieri il Parlamento lo ha eletto formalmente presidente: Wickremesinghe, sostenuto anche dall’Slpp (Sri Lanka Podujana Peramuna), partito di maggioranza in Parlamento ed espressione del clan Rajapaksa, ha ottenuto 134 voti, contro gli 82 del suo principale rivale, Dullas Alahapperuma, che era sostenuto dai partiti di opposizione, compreso lo Sri Lanka Freedom Party (SLFP), guidato dall'ex presidente Maithripala Sirisenae. Anche i manifestanti speravano in una sua elezione, perché vedono in Wickremesinghe una prosecuzione della “dittatura” dei Rajapaksa: il 9 luglio scorso un gruppo di dimostranti aveva assaltato e dato alle fiamme la sua residenza privata, oltre all’ufficio del primo ministro, al grido di “Ranil go home”, mutuando lo slogan base della protesta “Gota Go Home”.
Probabili nuovi disordini
Come dire: è assai probabile che l’elezione del nuovo Presidente possa innescare nuove proteste e disordini. L’emittente araba Al Jazeera riporta la dichiarazione a caldo di una delle leader dei dimostranti, Melani Gunathilake: «Stiamo discutendo la nostra strategia: questo non è assolutamente quello che volevamo. Sicuramente continueremo la nostra lotta e le nostre occupazioni fino alle dimissioni di Ranil Wickremesinghe. Lo Sri Lanka merita un leader che si prenda davvero cura della sua gente, non qualcuno che pensi al suo futuro politico». Prima delle elezioni un altro leader del movimento, Duminda Nagamuwa, che ha organizzato le principali proteste a Colombo, era stato più esplicito: «Ranil è un uomo corrotto: se sale al potere non potremo avere stabilità». Il candidato sconfitto Dullas Alahapperuma, ha promesso che il suo impegno non finirà qui: «Il mio sforzo è stato quello di sostenere l’elaborazione di politiche basate sul consenso per fornire soluzioni a una popolazione profondamente sofferente: spero che il Presidente sappia trovare la giusta mentalità per ascoltare la sofferenza di queste persone». Mentre al termine della votazione, il Presidente Wickremesinghe si è rivolto al Parlamento invitando l’opposizione a collaborare: «Abbiamo bisogno di unità per intraprendere la giusta via da seguire e per affrontare la crisi del Paese».
Le prossime ore saranno decisive per comprendere quale piega potrà prendere la situazione. A partire dalla formazione di un nuovo governo e dalla nomina di un nuovo primo ministro che di concerto con il Presidente (nelle cui mani resta il principale potere come capo dello stato e dell’esercito) dovranno portare lo Sri Lanka fuori dalla peggiore crisi economica mai affrontata dall’indipendenza (ottenuta nel 1948). I manifestanti hanno già detto che si opporranno a qualsiasi “trucco di palazzo”, soprattutto un governo del “tutti dentro”, di unità nazionale, con dentro anche l’Slpp, il partito dei Rajapaksa, che di fatto non porterebbe, a loro dire, ad alcun cambiamento. Ma c’è attesa soprattutto per capire quale atteggiamento il neoeletto Presidente (che essendo subentrato “eredita” anche la scadenza del precedente mandato, a novembre 2024) sceglierà di prendere proprio nei confronti dei manifestanti, che già non gli avevano perdonato la decisione d’imporre un nuovo stato d’emergenza, con annesso coprifuoco, nelle giornate che hanno preceduto il voto parlamentare, “nell'interesse della pubblica sicurezza, della tutela dell’ordine pubblico e del mantenimento delle forniture e dei servizi essenziali alla vita della comunità”. Sceglierà il dialogo o la fermezza? Nel frattempo ha pubblicamente ringraziato le forze di sicurezza e gli agenti di polizia che negli ultimi giorni sono stati schierati per “proteggere il Parlamento”. Ma la via della mediazione sembra impervia. I dimostranti (non c’è una leadership riconosciuta, ma tra i gruppi più attivi c’è di certo l’Inter University Student Union, l’ala studentesca del Partito Socialista) chiedono la scrittura di una nuova Costituzione che sancisca la sovranità popolare e che riduca i poteri del Presidente. Difficile che, con queste premesse, riescano a ottenere un risultato di questa caratura.
Le mire dell’India, la mano tesa dell’FMI
Per Ranil Wickremesinghe la strada appare comunque in salita. Perché il paese è ancora lacerato da profonde divisioni etniche e religiose (nel 2019 il Paese fu straziato da una serie di attentati simultanei che provocarono 270 vittime). E comunque c’è il problema urgentissimo della crisi economica da risolvere, con quell’inflazione fuori controllo che sta riducendo alla fame la popolazione. Secondo le Nazioni Unite l’80% della popolazione dello Sri Lanka (22 milioni di abitanti) non è più in grado di comprare cibo (per molti il riso, il cui prezzo è aumentato aumentato del 95% negli ultimi due anni, è l’unico alimento accessibile). Con l’India che segue molto da vicino l’evoluzione della crisi. Per qualcuno addirittura “troppo da vicino”, al punto che l’Alto commissariato indiano nello Sri Lanka ha dovuto smentire ufficialmente ricostruzioni giornalistiche che indicavano come il governo indiano avesse tentato di influenzare e di condizionare l’elezione del Presidente. Pochi giorni fa il ministero degli esteri indiano aveva annunciato che il governo avrebbe stanziato 3,8 miliardi di dollari per il sostegno dello Sri Lanka: «Abbiamo concesso loro una linea di credito per far arrivare merci essenziali e per l’acquisto di carburante. Al momento, il nostro obiettivo è aiutarli a riprendersi». Mentre il Fondo Monetario Internazionale, attraverso l’amministratore delegato Kristalina Georgieva, ha espresso l’auspicio di portare a termine il più rapidamente possibile i colloqui sugli aiuti allo Sri Lanka: «Non appena ci sarà un governo con cui potremo continuare gli incontri, la nostra squadra sarà lì». Anche se, e questo i dimostranti lo sanno bene, ogni piano di salvataggio avrà un costo altissimo che si rifletterà sulla vita delle persone.
Il timore degli esperti è che lo Sri Lanka possa diventare la prima tessera di un mosaico globale che vede coinvolti (e travolti) paesi a basso e medio reddito, colpiti da una triplice crisi: la pandemia (che ha bloccato le rendite dal turismo), l’aumento del costo del debito e le difficoltà di approvvigionamento delle merci, oltre all’aumento dei prezzi, conseguenza anche dell’invasione russa in Ucraina. David Malpass, presidente della Banca Mondiale, ha commentato così: «Sono profondamente preoccupato per i paesi in via di sviluppo, stanno affrontando improvvisi aumenti dei prezzi di energia, fertilizzanti e cibo e la probabilità di aumenti dei tassi d'interesse». Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, che ha visto aumentare le richieste di aiuto, oltre il 60% di questi paesi è a forte rischio di crisi alimentare. Un rapporto dell’Onu pubblicato lo scorso aprile sostiene che attualmente ci sono 107 paesi che stanno affrontando almeno uno dei tre shock: aumento dei prezzi dei generi alimentari, aumento dei prezzi dell'energia o condizioni finanziarie più restrittive. Tutti e tre gli shock contemporaneamente sono affrontati da 69 paesi: 25 in Africa, 25 in Asia e nel Pacifico e 19 in America Latina.