Carri armati ucraini in esercitazione lungo il confine con la Russia. Foto: Reuters
Certo, le immagini satellitari diffuse dall’intelligence americana non lasciano presagire nulla di buono: decine di migliaia di soldati (circa 120mila secondo l’ultimo rapporto) acquartierati lungo gli oltre duemila chilometri di confine che separano la Russia dall’Ucraina. Un’enorme quantità di mezzi militari (dai missili “Iskander” ai carri armati), ospedali da campo già installati, scorte di carburanti, di pezzi di ricambio, di viveri, a “rinforzare” quella linea del fronte. Ma la domanda è: perché? Davvero Vladimir Putin è a un passo dall’impartire l’ordine di invadere l’Ucraina, come sostengono la Nato e l’Unione Europea, che arrivano perfino a indicare il numero esatto dei soldati russi che sarebbero chiamati a partecipare all’operazione (175mila) indicando la fine del prossimo mese di gennaio come la data più probabile per un attacco? O si tratta soltanto di una minaccia (esibita, ostentata, com’è nello stile del presidente russo) per mettere pressione alla presidenza ucraina, dichiaratamente e intollerabilmente filo-occidentale, per evitare di far scivolare il paese nelle braccia della Nato?
? Il video-vertice di martedì sera tra Putin e il presidente americano Biden, colmo di tensioni al di là dei sorrisi di facciata, non ha sciolto i dubbi. Ciascuno ha tracciato la propria “linea rossa”, non oltrepassabile, oltre la quale una reazione sarebbe inevitabile. Per la Russia, la Nato deve interrompere immediatamente i suoi progetti di espansione a oriente (e l’Ucraina smetterla di dialogare con l’Alleanza Atlantica e con l’Unione Europea). Per gli Stati Uniti, che ribadiscono come sia una priorità la difesa della sovranità ucraina, Mosca deve ritirare immediatamente le truppe dal confine, minacciando severissime sanzioni economiche in caso di attacco, anche parziale.
Nel mezzo di questo braccio di ferro c’è l’Ucraina, che già nel 2014 ha dovuto subire la silenziosa annessione russa della Crimea (qui la storia, compreso l’ultimo decreto della Federazione Russa, emesso lo scorso marzo, che rende “stranieri” gli ucraini su gran parte dei territori della penisola occupata) e che tuttora deve fare i conti con i movimenti separatisti (filorussi e foraggiati da Mosca) che rivendicano l’autonomia nella regione del Donbass (con la proclamazione d’indipendenza, sempre nel 2014, delle Repubbliche Popolari di Doneck e di Lugansk, nell’est del Paese): un conflitto tuttora in corso che in sette anni è già costato 14mila vittime, con una drammatica emergenza umanitaria che coinvolge oltre tre milioni di civili). Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito che si opporrà a qualsiasi tentativo di “pressione” russa per annullare il progetto di adesione alla Nato dell’Ucraina: «Respingo l’idea che dobbiamo garantire qualcosa alla Russia - ha dichiarato Kuleba -. Insisto sul fatto che è la Russia che deve garantire che non continuerà la sua aggressione contro nessun paese. E permettetemi di affermarlo ufficialmente: l’Ucraina non pianifica un’offensiva militare nel Donbass. Ci dedichiamo alla ricerca di soluzioni politiche e diplomatiche al conflitto». Ma intanto Kiev ha schierato 125mila soldati a presidiare proprio quel confine: meglio essere prudenti.
La teleconferenza tra Biden e Putin. Foto: Reuters
Tensioni e minacce
La videochiamata tra Biden-Putin non ha portato a sostanziali punti di avvicinamento tra i due leader, né a disinnescare la minaccia di quel che potrebbe accadere, forse, chissà. La questione è persino semplice nella sua complessità. La Russia non vuole assolutamente rinunciare a far pesare la sua influenza nello stato baltico. Il problema è che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, un ex comico che non fa più ridere Mosca, si è messo in testa di flirtare con l’Occidente al punto da chiedere l’adesione alla Nato. Un passaggio intollerabile per Putin, che reputa un rischio troppo elevato rinunciare al “Paese-cuscinetto”, trovandosi il nemico al confine. Così dal presidente russo piovono accuse all’Occidente: di “isteria”, di intromissioni indebite in questioni interne («Sono esercitazioni, siamo liberi di muovere le nostre truppe all’interno dei nostri confini»), e alla Nato (che ha recentemente effettuato esercitazioni militari nel Mar Nero) di compiere “pericolosi tentativi di conquistare il territorio ucraino e aumentare il suo potenziale militare ai confini della Russia”, come riporta una nota ufficiale del Cremlino. Che prosegue: «Pertanto la Russia è seriamente interessata a ottenere garanzie affidabili fissate per legge per escludere l’espansione verso est della Nato e l’ubicazione nei paesi vicini alla Russia di sistemi d'arma offensivi». Una posizione non smentita dalla parata militare di lunedì scorso, quando l’Ucraina ha celebrato la festa delle forze armate, mostrando di possedere armamenti americani. Quindi, vista da Mosca, si tratta non di una minaccia ma di una prudenza, di una “difesa” di fronte al dilagare della “prepotenza” dell’Occidente. Putin ha inoltre ribadito di non avere alcuna intenzione di attaccare l’Ucraina: «La Russia sta perseguendo una politica estera pacifica. Ma ha il diritto di garantire la sua sicurezza», ha dichiarato ieri.
Dalle sanzioni al blocco del gasdotto North Stream II
Joe Biden è stato altrettanto netto nel corso di una riunione che il New York Times ha definito “tesa”. Gli Stati Uniti, e di conseguenza la Nato e l’Unione Europea, non tollereranno alcuna azione di forza russa in territorio ucraino. E tanto per essere chiari: «È la Nato che decide chi aderisce all’Alleanza, non la Russia», come ha tenuto a precisare la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Tuttavia, nel gioco delle minacce la Casa Bianca ha deciso di non schierare carri armati in risposta a quelli russi (l’opzione di inviare truppe in Ucraina «non è sul tavolo», e del resto per Washington impegnarsi ora in un conflitto armato di questa portata sarebbe sconsigliabile e deleterio sotto qualsiasi punto di vista), ma durissime e «mai viste» sanzioni economiche (che comunque non sarebbero le prime). A partire dal blocco del gasdotto North Stream II, che collega la Russia alla Germania, completato alcuni mesi fa, ma ancora non entrato in funzione per via di alcune questioni giuridiche (la procedura risulta formalmente “sospesa”). Come ha dichiarato Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, al termine del video-summit: «Se Vladimir Putin vuole vedere il gas fluire attraverso quel gasdotto, potrebbe non voler correre il rischio di invadere l’Ucraina». La partita del gas è di vitale importanza sia per Mosca (primo fornitore in Europa, con circa il 40% del totale) sia per la stessa Unione Europea, che non potrebbe tollerare un blocco della fornitura: una partita dove sarà indispensabile trovare un punto d’equilibrio, senza arrivare allo strappo. Ulteriori sanzioni potrebbero riguardare restrizioni di movimento alle banche russe che convertono i rubli in valute estere. Fino al passo più estremo: tagliare fuori la Russia dal sistema di pagamento finanziario globale “SWIFT”. «La Russia deve sapere in anticipo quale sarà il prezzo economico da pagare in caso d’invasione», ha dichiarato il ministro degli Esteri della Lettonia, Edgars Rinkēvičs. Altri leader europei si sono mostrati invece più prudenti, temendo che a sanzione dura possa corrispondere un’azione altrettanto aspra (sia in termini militari, sia come rallentamento delle forniture energetiche) da parte di Mosca.
Circondare i confini
Quindi siamo di fronte a uno stallo. Con Putin che rincorre la sua doppia ossessione: ricacciare indietro la Nato, più lontano possibile dai suoi confini, e riportare gradualmente, silenziosamente, l’Ucraina nel suo alveo. Considerandola quasi “una terra di sua proprietà”, ricorrendo alla retorica della riunificazione della “Grande Russia” (che potrebbe rievocare quella della “Grande Cina” nel conflitto con Taiwan), definendo «russi e ucraini un solo popolo», come ha scritto lo stesso presidente russo in un articolo, pubblicato lo scorso giugno. Ma quale interesse concreto avrebbe la Russia di entrare in conflitto aperto con l’Ucraina? Possibile che questo enorme e plateale spiegamento di forze sia soltanto un bluff? Gli analisti divergono sul punto. Secondo Ivan Timofeev, direttore del think tank russo Valdai Discussion Club, «i costi di una possibile guerra contro Kiev supererebbero di gran lunga i benefici». Punto sul quale concorda anche Ian Bremmer, politologo e presidente di Eurasia Group: «I costi di un’invasione sarebbero troppo alti. Significherebbe rinunciare al gasdotto North Stream II, il che sarebbe un grave errore». Mentre appare plausibile che il Cremlino possa, con i tempi dovuti, tentare di “favorire” il logoramento (di fatto l’estromissione) dell’attuale governo ucraino per sostituirlo con un esecutivo più filo russo. Al momento sembra che l’obiettivo finale di Mosca sia quello di “circondare” i confini con l’Ucraina (Bielorussia compresa) per creare lì una sorta di cuscinetto, con una minaccia permanente di carri armati rivolti verso l’Occidente. Una “strategia della tensione” che consentirebbe a Putin, comunque, di essere pronto a sferrare un attacco militare qualora se ne presentasse la necessità.
Una via d’uscita diplomatica, almeno parziale e momentanea, l’ha indicata la rivista Foreign Affairs, ipotizzando l’ingresso degli Stati Uniti nel “formato Normandia”, un tavolo diplomatico (così chiamato perché costituito nel giugno 2014, a margine delle celebrazioni per i 70 anni del D-Day, il celebre sbarco degli alleati) composto al momento da Francia, Germania, Russia e Ucraina, per la definizione e l’attuazione del processo di pace stabilito dagli Accordi di Minsk nel febbraio 2015 (mai applicati) proprio per risolvere la questione del Donbass. Se accadesse, Kiev potrebbe sentirsi le spalle più coperte, mentre aprirebbe al tempo stesso un tavolo di dialogo permanente, più solido e autorevole, tra Mosca e Washington. Un allentamento della tensione gioverebbe a tutti gli attori coinvolti, dall’Ucraina alla Russia, dalla Nato agli Usa. Al netto delle urla, dei trucchi e delle mezze verità piazzate sul tavolo, l’unica strada che oggi appare percorribile sembra, ancora una volta, il dialogo.