SCIENZA E RICERCA

A volte conviene andare a braccio, anche nelle misurazioni

Usiamo il nostro corpo per moltissime azioni diverse: camminare, mangiare, lavorare, interagire con le altre persone. Se ci pensiamo bene, inoltre, ci verranno in mente di sicuro un paio di occasioni in cui abbiamo utilizzato parti del nostro corpo anche per misurare una superficie o una lunghezza, basti pensare a espressioni come "un dito di vino" e al film "I cento passi", in cui il protagonista misura, appunto, in passi la distanza tra la sua casa e quella del boss mafioso locale.
E non c'è da stupirsi: fin dai tempi antichi le strategie di misurazione erano basate sul corpo e non su standard definiti con precisione, che non sono stati disponibili da subito. Ai tempi dei faraoni, per esempio, c'era il cubito reale, che andava dal gomito alla punta del dito medio, ma poi per secoli si è continuato comunque a parlare di "piedi", "passi" e "braccia" per stimare dimensioni e distanze.

Non ci si era però soffermati sul fatto queste modalità sopravvivono ancora oggi, anche se abbiamo a disposizione metodi di misurazioni ben più precisi.
Uno studio pubblicato su Science, partendo da un database chiamato Human Relations Area Files,ha analizzato i dati etnografici di 186 culture passate e presenti in tutto il mondo, 99 delle quali si sono sviluppate indipendentemente l'una dall'altra. I ricercatorihanno scoperto che giudicare la misurazione basata sul corpo come meno avanzata sarebbe un errore, e non solo perché sopravvive ancora oggi, anche se non è adatta all'uso su larga scala, ma anche perché a volte rimane il metodo più pratico e veloce per arrivare al risultato.
Ne parliamo con Franco Favilli, già docente di matematiche complementari all'università di Pisa.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar

Il professor Favilli ci spiega che il motivo per cui a un certo punto si è passati alle misure standardizzate è di natura pratica, ed è dovuto agli scambi culturali e commerciali sempre più frequenti, che richiedevano delle modalità più strutturate che ostacolassero la presenza di difformità nelle misure prese, e si è quindi andati verso un sistema riconosciuto a livello internazionale. "Si è cominciato - precisa Favilli - con il sistema metrico decimale, introdotto alla fine del XVIII secolo dopo aver individuato i punti in comune a livello internazionale e poi gradualmente si è arrivati all'introduzione di quello che oggi è qualificato come il Sistema Internazionale di unità di misura, che è stato adottato anche a seguito della stipula della Convenzione del metro del 1875. A quel punto è stato introdotto questo sistema internazionale che d'altra parte non è qualcosa di stabile, perché con il passare del tempo si è ritenuto necessario fare degli aggiustamenti: dalle tre unità di misura che erano state originariamente individuate come quelle utili e necessarie che riguardavano la lunghezza, il peso e il volume, il sistema si è allargato ad altre quattro unità di misura che riguardano altre tipologie di grandezze fisiche di rilievo e di utilità a livello internazionale".

Come abbiamo visto, però, i sistemi di misurazione basati sul'utilizzo di parti del corpo hanno continuato e continuano a essere parte di tutte le culture prese in esame, e anche solo intuitivamente possiamo concludere che la loro presenza non sia dovuta solo a ragioni culturali, perché altrimenti per praticità alcuni gruppi sarebbero passati all'uso esclusivo di misure standardizzate. A volte questo è dovuto semplicemente al fatto che ci manca lo strumento apposito, come accade quando dobbiamo misurare una stanza ma, in mancanza del metro, utilizziamo i nostri passi per farci un'idea, ma non è l'unica ragione. Se una persona dovesse misurare, per esempio, la lunghezza di una cordacon un metro dovrebbe procedere a più riprese, rischiando tra l'altro misurazioni imprecise se la corda fosse molto lunga. Utilizzare il braccio, invece, è molto più comodo: basta allungarlo ripetutamente e far passare la corda tra le mani.
"Le misure basate sul corpo - conferma Favilli - si possono usare in tutti i contesti che non richiedono un sistema ampiamente condiviso, se non a livello locale. È inevitabile che questo accada, qualunque sia il contesto socioculturale in cui l'uomo si viene a trovare, perché in alcune situazioni è più semplice e immediato ricorrere a questo tipo di misure, anche se sono approssimative. In alcune realtà sociali e socioculturali ci sono situazioni in cui vengono svolte delle attività di misura in modo naturale da secoli e in un certo senso non viene accettato l'uso di uno strumento più preciso, perché la tradizione è talmente forte che uno strumento viene riconosciuto come qualcosa di estraneo. Il sistema tradizionale di misura ha insomma un rilievo e una distribuzione a livello internazionale che è superiore a quello che invece prevede l'utilizzo di strumenti riconosciuti come standard, anche perché come matematico devo dire che, comunque, nessuno strumento di misura restituisce una misura corrispondente alla realtà, perché l’uso di un qualsiasi strumento porta con sé una certa percentuale di errore, seppur minima".

Non è un caso se citiamo la cultura e la tradizione: nello studio vengono nominati per esempio gli abitanti delle Isole Nicobare che misuravano le distanze sulla base del numero di bevande al cocco necessarie per percorrerle in canoa. Come dicevamo, a volte questo genere di misura meno preciso funziona meglio dei sistemi standardizzati per determinate popolazioni. Questi sistemi sono più pratici (banalmente: se un nicobarese deve fare un viaggio in canoa, sa da subito quante bevande al cocco deve portarsi dietro, a seconda di dove deve andare). "Un altro esempio - aggiunge Favilli - deriva da osservazioni che ho avuto modo di fare in  Vietnam, e in Perù nella parte andina, dove per costruire alcuni strumenti musicali a fiato utilizzano parti del corpo come supporto per stabilire la misura, che noi chiamiamo lunghezza,delle canne.

Tutto questo porta ad una riconsiderazione dell'idea che noi abbiamo di matematica, perché quando pensiamo alla matematica, e la misura è una parte fondamentale della matematica accademica, dimentichiamo il fatto che la matematica a cui facciamo riferimento è una particolare attività matematica. Come ha fatto notare Alan Bishop nel 1988, ogni essere umano, in qualunque contesto culturale e in qualunque società, ha inevitabilmente bisogno di svolgere sei attività fondamentali e universali: contare, localizzare, misurare, progettare, giocare e spiegare i fenomeni. Queste sei attività, che possono essere considerate la cornice all'interno della quale possono essere comprese tutte le conoscenze della matematica accademica,vengono svolte e sviluppate in un modo che dipende dal contesto socio culturale in cui la persona vive. Nel momento in cui lo studente entra in un'aula, il contesto socioculturale cambia perché c'è in qualche modo una standardizzazione di queste attività matematiche, che vengono ricondotte a qualcosa di riconosciuto e riconoscibile a livello universale, ma che non escludono né impediscono che le sei attività vengano svolte in maniera autonoma ed indipendente nelle forme che ogni singola società ritiene opportune. Questa è la base di quella che Ubiratan D'Ambrosio nel 1985 ha definito etnomatematica. La matematica accademica, della scuola, può quindi essere considerata una delle tante etnomatematiche, è qualcosa di più ristretto rispetto al complesso delle attività matematiche che vengono svolte da ogni essere umano".

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