SCIENZA E RICERCA
ZNF398, il gene responsabile del mantenimento delle staminali pluripotenti
di Redazione
Pubblicato su Nature Communications lo studio firmato dal team di ricerca guidato da Graziano Martello del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova che ha identificato per la prima volta il gene responsabile della conservazione delle cellule staminali pluripotenti, come le embrionali staminali o le iPS. La particolarità di queste unità biologiche sta nella loro capacità di dare origine a qualsiasi cellula, dai neuroni a quelle del fegato. Le iPS, staminali pluripotenti indotte vengono generate a partire da cellule adulte del nostro corpo in un processo chiamato riprogrammazione. Questo rende le staminali una fonte cellulare preziosa per le terapie avanzate di medicina rigenerativa.
Per essere conservate, le cellule staminali vengono generalmente congelate, ma, una volta riportate a temperatura idonea, è essenziale mantenerle in modo stabile prima di farle differenziare nelle cellule desiderate, ad esempio in neuroni. Finora i metodi usati per stabilizzarle si erano fondati su metodologie empiriche: i ricercatori da sempre sanno che per conservare le staminali scongelate occorre aggiungere ogni giorno una particolare molecola, chiamata TGF-beta, che agisce da inibitore e impedisce alle cellule di differenziarsi. Eppure prima del nuovo studio pubblicato dal team di Graziano Martello non si conosceva ancora come funziona esattamente questo processo di conservazione delle staminali.
Il team padovano, formato da giovani ricercatori tutti under quaranta, ha scoperto come agisce la proteina TGF-beta: quando viene somministrata attiva un particolare gene, ribattezzato ZNF398, responsabile del mantenimento delle cellule staminali pluripotenti. Questo gene agisce dunque da “conservante” delle staminali, e la sua presenza può essere considerata una cartina tornasole del buon funzionamento delle iPS.
«Questa scoperta è frutto di cinque anni di lavoro - spiega Graziano Martello - e il gene che abbiamo identificato è quello che da solo permette di mantenere le staminali indifferenziate. Per scovarlo abbiamo confrontato il comportamento delle cellule staminali in presenza o assenza della proteina TGF-beta e abbiamo isolato i primi geni che nelle staminali sembravano essere influenzati da questa proteina. Il nostro studio non servirà a una specifica malattia - continua Martello - ma avrà un impatto su tutte le patologie che oggi vengono studiate grazie alle cellule staminali pluripotenti. Fino a dieci anni fa erano pochi i laboratori in tutto il mondo che lavoravano su queste cellule, oggi un grandissimo numero di progetti di ricerca si basa proprio sulle staminali. Questa scoperta aiuterà a conservare meglio le cellule staminali pluripotenti e controllarne bene la differenziazione, offrendo uno strumento potente e estremamente affidabile».
«Siamo partiti selezionando un campione di circa 4.000 geni, ridotti poi a 15 attraverso una serie di validazioni - affermano Irene Zorzan e Marco Pellegrini del laboratorio di Biologia delle cellule staminali pluripotenti dell’Università di Padova che hanno condotto lo studio -. A quel punto li abbiamo provati sperimentalmente uno a uno. Per ciascun gene sono serviti circa due mesi di lavoro e quindi la fase di test è durata in tutto quasi due anni. Alla fine degli esperimenti non avevamo più dubbi: ZNF398 era il gene che cercavamo. Questa scoperta permetterà a molti laboratori in tutto il mondo di migliorare il loro processo di mantenimento delle staminali umane una volta scongelate».
I risultati validati dallo studio pubblicato valgono anche nell’ambito della riprogrammazione delle staminali. Il metodo utilizzato dal team di Martello è la cosiddetta microfluidica, una tecnologia sviluppata dal Professor Nicola Elvassore del Dipartimento di Ingegneria Industriale, che permette di coltivare le cellule in piccoli tubi di silicone biocompatibile e che recentemente ha permesso ai ricercatori padovani di generare per la prima volta cellule staminali pluripotenti “primitive” - simili a quelle degli embrioni - a partire da cellule.
«Abbiamo provato a generare iPS disattivando il gene ZNF398: in questo caso le staminali non si formavano correttamente - puntualizza Graziano Martello -. È stato chiaro dunque che la riprogrammazione delle staminali richiede l’attività del gene ZNF398 per funzionare con successo. Questo risultato avrà applicazioni per tutti i laboratori che utilizzano cellule staminali a scopi terapeutici: se si vogliono produrre cellule staminali nuove per una determinata malattia - commenta Martello - è essenziale che il gene ZNF398 sia attivato per essere certi dell’effettivo funzionamento delle iPS. La nostra scoperta fornisce dunque informazioni cruciali per trovare le staminali giuste e mantenerle correttamente».
Il nuovo studio è stato realizzato in collaborazione con il team di ricerca guidato da Salvatore Oliviero, docente di Biologia molecolare all’Università di Torino e responsabile della piattaforma di analisi genomiche dell’Università di Torino presso il Centro Interdipartimentale di Biotecnologie Molecolari (MBC) e l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM) di Candiolo (Torino), ente strumentale della Fondazione Compagnia di San Paolo.
«Con questo studio - dichiara Salvatore Oliviero - il nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con il laboratorio di Martello, ha contribuito a chiarire il ruolo della molecola ZNF398, a mappare sul genoma di cellule staminali la sua interazione con il DNA. Questo studio dimostra che ZNF398 è un effettore nucleare del fattore intercellulare TGF-beta. Su cellule staminali TGF-beta induce il mantenimento della pluripotenza mentre ha effetti diversi su cellule differenziate normali o su cellule tumorali. Identificare i suoi effettori nucleari e identificare i suoi effettori cellulari ci permette di comprendere i meccanismi molecolari che determinano la pluripotenza, il differenziamento cellulare ed anche la trasformazione tumorale».