CULTURA
Non siamo più Charlie
Foto: REUTERS/Francois Lenoir
Sono passati pochi mesi da quando eravamo tutti Charlie Hebdo, ma sembrano molti di più. La solidarietà per l’attentato alla redazione del 7 gennaio scorso – che provocò 12 morti, tra cui il direttore Charb e collaboratori storici come Cabu, Tignous, Georges Wolinski e Honoré, oltre a due poliziotti e a numerosi feriti – è durata poco. Subito dopo sono iniziati i distinguo, anche da parte di testate di provata fede liberal come il New York Times, che decise di non pubblicare le vignette di Charlie. Non sono mancate le critiche da parte di famosi fumettisti, come Joe Sacco e Garry Trudeau; successivamente oltre 200 scrittori hanno firmato un appello contro l’assegnazione al settimanale umoristico del prestigioso premio PEN per la libertà di espressione. Infine la notizia più recente è che Charlie non pubblicherà più vignette sul profeta Maometto: almeno così ha dichiarato pochi giorni fa al settimanale tedesco Stern il direttore Riss-Laurent Sourisseau, a sua volta ferito durante l’attacco. Fa impressione che proprio da pochi giorni sia uscito tradotto in italiano il libro postumo del direttore Charb-Stéphane Charbonnier (Lettera ai truffatori dell’Islamofobia, Piemme 2015).
Un documento per molti versi commovente, consegnato all’editore appena due giorni prima dell’attacco; una testimonianza che colpisce per la coerenza e per l’ironia, dove lucidità e nettezza delle posizioni non degenerano mai in violenza verbale, nonostante chi scriva sappia benissimo di essere in pericolo. Alla base delle sue argomentazioni Charbonnier pone la distinzione tra razzismo e l’islamofobia del titolo, quest’ultima considerata una sorta di monstrum generato dai sensi di colpa di media e intellettuali occidentali. I problemi e l’emarginazione in cui vivono gli immigrati e gli abitanti delle banlieue, secondo il disegnatore e umorista, non sono dovuti alla satira; la risposta va cercata in migliori condizioni di vita e di lavoro, non nel riconoscimento di una loro supposta identità di islamisti. Solo le persone vanno protette, non le idee, quindi nemmeno le religioni. Anche perché sostenere che l’Islam è incompatibile con l’ironia, dunque anche con la democrazia, può nascondere una forma ancora più subdola e pericolosa di razzismo.
La Lettera di Charb è un vero e proprio pamphlet alla maniera degli intellettuali d’oltralpe, che si scaglia contro i limiti posti a qualunque manifestazione del pensiero da parte di chiunque, non solo i sostenitori dell’Islam radicale. Non a caso viene criticata anche l’aura d’intoccabilità che circonda temi sensibili come quelli della Shoah e della République: in una società veramente laica e aperta, secondo l’autore, non ci deve essere nulla di pubblicamente sacro e intoccabile. Nemmeno la bandiera o la costituzione. Tutto deve essere sottoponibile a critica e a dileggio.
Quello di Charbonnier non è un ragionamento astratto: Charlie Hebdo aveva già ricevuto un attacco incendiario nel 2011, oltre a una serie interminabile di denunce, sia da parte di associazioni islamiche che cattoliche integraliste. Questo ovviamente non significa che si debba per forza concordare con tutte le tesi esposte nel libro. Ad esempio differenziare nettamente un attacco a un’idea da quello portato a un gruppo di persone non è sempre facile; in secondo luogo, nell’ostinarsi a paragonarlo polemicamente al cristianesimo, all’ebraismo e ad alcune ideologie come il comunismo, Charb sembra voler ignorare alcuni tratti peculiari dell’Islam. A partire dallo stretto legame tra religione individuale e organizzazione politica, che non ha ancora metabolizzato l'idea di laicità dello Stato: una relazione sostenuta con forza anche da storici e intellettuali della caratura di un Bernard Lewis (ne L’Europa e l’Islam, solo per un esempio tra tanti).
Proprio in questa relazione sta invece il fulcro di Sottomissione, l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq (di cui ha già scritto su questo giornale Maria Teresa Carbone). Il racconto, la cui uscita era programmata il giorno stesso dell’attentato, prende le mosse dalla vittoria nel 2022 di un candidato musulmano alle elezioni presidenziali francesi, prevedendo gli effetti che questo potrebbe avere dal punto di vista di una possibile islamizzazione della società. Il problema per Houllebecq è rappresentato dalla religione stessa di Maometto, dalla sua compatibilità con le strutture democratiche occidentali: l’esatto contrario di quello che sostiene Charb.Due critiche motivate da ragioni opposte e con mezzi diversi, ma entrambe dirette a riaprire un dialogo contro le regole soffocanti del politically correct.
Daniele Mont D’Arpizio