SCIENZA E RICERCA
Una nuova wilderness: i boschi selvatici delle città
Foto: Giovanni Trentanovi
Un osservatore distratto potrebbe vedere nel paesaggio di una città solamente spazi, costruiti o coltivati, costretti a rispettare una volontà antropica. Un mosaico urbano, interrotto da qualche spazio vuoto, zone grigie, nelle quali si sviluppa una vegetazione di erbacce e arbusti, impenetrabile. Spazi che formano un paesaggio di piccoli frammenti di naturalità nella città. Richard Mabey l'ha definito, nel 1973, "paesaggio non ufficiale". Non ufficiale, perché la sua realizzazione non è dettata da un disegno predefinito. L'origine di questi vuoti è spesso dovuta a ritardi nell'allocazione di determinati usi del suolo, all'abbandono di attività preesistenti, o è favorita dalle geometrie di nuove realizzazioni. La casualità ne preannuncia una permanenza temporanea. Può però capitare che, per diverse ragioni, sociali, economiche o fisiche, il tempo trascorra, e questo faccia sì che si sviluppi una copertura arborea. Nel folto delle chiome, nell'ombra, si forma un nuovo microclima, fatto di intervalli di luce, umidità, calore e vento sconosciuti agli spazi della città. Si forma quello che nel titolo è chiamato "bosco selvatico", una tautologia voluta, perché si faccia una distinzione dai boschi dei parchi o da quelli ottenuti attraverso la piantagione di alberi e arbusti.
Molti studi hanno contribuito a formare una nuova coscienza di questi boschi. Il loro intento è trasformare questa non intenzionalità in consapevolezza. Come le altre aree verdi urbane, essi rivestono un ruolo importante per il benessere dei cittadini, basti pensare alla loro capacità di migliorare la qualità dell’aria e alla loro funzione di barriera all’inquinamento. C'è però il rischio che alla consapevolezza segua il desiderio di ripristinare i ritmi urbani, privi della spontaneità che caratterizza questi ecosistemi.
Tra gli esempi che più hanno contribuito a formare la coscienza di chi scrive ci sono i boschi urbani di Berlino. Il fermento della Berlino riunificata ha stimolato la riqualificazione urbana di spazi un tempo vuoti perché compresi tra la parte occidentale e orientale della città, come la nuova Potsdamer Platz, quartiere residenziale, direzionale e commerciale, simbolo della città e attrattiva turistica. Nello stesso tempo, la volontà di compensare gli impatti negativi sulla natura generati dall'espansione edilizia, ha suggerito la conservazione di altri spazi. Tra questi, il parco naturale di Südgelände, pianificato da un team di ricercatori, tra cui Ingo Kowarik, del Politecnico di Berlino, sull'area di una ex stazione ferroviaria dismessa nel 1952. In questo parco, di appena 18 ettari, sono presenti oltre 700 specie, tra piante, uccelli nidificanti, funghi, cavallette, ragni, api e vespe. Al suo interno, un percorso permette di visitare il bosco e i prati aridi, formatisi sul sedime abbandonato della ferrovia, oltre che le vecchie installazioni della stazione.
Vi sono molti altri esempi di boschi selvatici a Berlino, di piccole o grandi dimensioni, immersi all'interno di parchi pubblici o del tutto non convenzionali, come quelli insediati in aree industriali, cave, e infrastrutture abbandonate. Formano una rete ecologica che offre interessanti spunti di ricerca. Ad esempio, grazie alla collaborazione tra il dipartimento TESAF dell'università di Padova e il Politecnico di Berlino, è stato possibile comprendere alcuni meccanismi di espansione delle specie esotiche nelle zone urbane. Lo studio ha evidenziato che sia il contesto urbano sia la presenza delle specie esotiche contribuiscono all'omogeneizzazione della biodiversità, cioè ad una minore variabilità della biodiversità nello spazio.
Ispirati dall'esperienza condotta a Berlino, i componenti del gruppo di ricerca che coordino hanno esteso queste ricerche anche alla città del Santo. Il comune di Padova è stato teatro di uno studio sulla distribuzione dei boschetti selvatici e sui motivi che ne condizionano la biodiversità vegetale. Boschi non ufficiali, per le loro piccole dimensioni, e per il fatto di essere ospitati in una città millenaria, nella quale, di certo, sono i parchi storici il patrimonio di verde più celebrato. Ne sono stati selezionati trenta, estesi tra 1.000 m2 e due ettari e mezzo, nei quali sono state contate 66 specie legnose, di cui la metà esotiche. Questi frammenti stanno sviluppando una biodiversità nuova. La comprensione delle cause che la condizionano richiede di applicare sia gli usuali schemi di valutazione, sia altri, completamente nuovi. Se da un lato, infatti, la ricchezza di specie legnose aumenta all'aumentare della dimensione del bosco, dall'altro è emerso, paradossalmente, che la vicinanza a strade e ferrovie può aumentare la ricchezza in specie del sottobosco.
Anche a Bibione, noto centro balneare dell'Adriatico, dove annualmente pernottano oltre sei milioni di visitatori, l'espansione edilizia può essere compensata attraverso il mantenimento di isole di naturalità nella pineta. È questa la sede del terzo esempio di ricerca in cui è stato sviluppato e applicato un sistema di localizzazione dei sentieri ricreativi che massimizza il potenziale conoscitivo, rispettando, nel contempo, le peculiarità naturalistiche dell'ecosistema. Il metodo, utilizzando software per l'analisi territoriale e indagini di campo, simula il tracciato alla scala del visitatore, o meglio, a quella della sua distanza visiva; restituisce, cioè, quella che dovrebbe essere la sua reale esperienza di visita. È raro che in Europa un designer possa avventurarsi nella realizzazione ex novo di un sentiero in un'area naturale, dato che la maggior parte delle nostre montagne e campagne è da tempo immemore ricca di percorsi già tracciati. I boschi selvatici delle città offrono, tra le molte altre opportunità, anche questa.
Tommaso Sitzia