SOCIETÀ

Pregiudizi sempre sbagliati. O no?

Non è il buon senso, secondo un noto incipit cartesiano, a essere la cosa più diffusa al mondo bensì il pregiudizio. La filosofia occidentale è stata sempre avversaria implacabile dei pregiudizi considerati come una sorta di pericoloso disimpegno cognitivo che impedisce di conoscere le cose così come stanno. Si pensi alla caverna platonica e agli idòla di Bacone, al Dizionario di Voltaire o alla radicale distruzione del praejudicium dell’Etica spinoziana e, per finire, alle creencias di Ortega y Gasset o alle credenze di Richard Rorty.  In realtà il pregiudizio nasce e  rinasce, a volte sembra inevitabile come gli errori di parallasse e l’atteggiamento illuminista nei suoi confronti non è mai sufficiente.

Adesso Laterza pubblica un catalogo di 90 pregiudizi vecchi e nuovi che sono smontati da altrettanti 90 autori. Si va dal brulicare dei pregiudizi che riguardano i cosiddetti immigrati – Siamo invasi dai rifugiati (Carlotta Sami), I clandestini sono tutti delinquenti (Paolo Borgna) e Gli immigrati ci rubano il lavoro (Giampiero Dalla Zuanna) – a L’austerità è imposta dalla Germania (Veronica De Romanis), Gli ebrei sono intelligenti (Lucia Foà), da Le biblioteche sono luoghi noiosi (Antonella Agnoli) a Italiani brava gente (Filippo Focardi). Oppure Con la cultura non si mangia (Ignazio Visco), Usiamo solo il 10% del nostro cervello (Giandomenico Iannetti), Non ci sono più le mezze stagioni (Luca Mercalli) e così via. Scrive Giuseppe Antonelli, l’autore dell’introduzione: “Perché ci si arrende ai pregiudizi? Perché si fa prima, appunto. Perché non pongono domande e non chiedono verifiche. Sono lì, belli e pronti, adatti a qualunque uso: sono idee preconfezionate”. Ogni stereotipo, in fondo, è rassicurante e consolatorio, una forma di glaciazione che ci conserva intatti e senza dubbi di fronte alla variabilità del mondo. E per quanto si possa distruggere scientificamente il pregiudizio dei pregiudizi, cioè quello della razza, a volte si ha l’impressione che questo ritornerà sempre, come sempre ritornano certe croniche malattie della pelle. Guido Barbujani (Gli uomini sono tutti uguali) scrive che, per quanto screditata dalla scienza, l’idea che “l’umanità sia divisa in razze differenti è un pregiudizio duro a morire”.

In una delle pagine più alte del pensiero europeo intitolata Che cos’è l’illuminismo del 1784, Kant affronta la questione del pregiudizio. L’inerzia, la pigrizia, l’affidarsi alle idee ricevute, sembrano costituire la radice della potenza anonima del pregiudizio, di fronte alla quale il sapere ha il compito di liberarsene in quanto pseudoverità non verificata dai fatti e dalla realtà, ma dagli effetti disastrosi se applicata. Si ricordi anche il cliché antisemita nella Germania di Hitler o il recente e funesto pregiudizio antiscientifico nei confronti dei vaccini.  Telmo Pievani, nello smontaggio del pregiudizio identitario del Buon sangue non mente, scrive: “Il vincolo di sangue è il richiamo ancestrale verso uno di quei <piccoli noi> che ci fanno sentire al sicuro, separandoci da tutti gli <altri da noi> che fanno paura e chiudendoci entro il nostro gruppo, la nostra famiglia, etnia, tifoseria. Come ben sanno gli storici dell’età contemporanea, è un pregiudizio identitario che si può costruire e alimentare a tavolino, insinuare nelle menti, tramutare in sospetto e odio silente, fino al punto che due comunità che hanno convissuto per secoli nella stessa vallata nel giro di qualche anno si sgozzano vicendevolmente nel nome del buon sangue che non mente”. E pensare alla pulizia etnica da parte dei serbi nella guerra civile della ex Jugoslavia negli anni Novanta del secolo scorso non sembra difficile.

Per concludere, si può segnalare a Maurizio Ferraris, autore della voce La tecnica ci aliena?, che contribuire a questo volume con un testo da lui già pubblicato in altra sede (cioè in Emergenze, Einaudi 2016), senza però indicare nemmeno la fonte è una mancanza di stile nei confronti del lettore. Ma forse è solo un personale pregiudizio che potremmo definire “bibliografico”.

Sebastiano Leotta

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