SOCIETÀ

Alle radici dell’antisemitismo in Europa

È un ritmo lento, vagamente balcanico quello che Mihail Sebastian usa nel suo romanzo autobiografico, in cui l’antisemitismo, fenomeno che segna da duemila anni la storia europea, appare e scompare come un fiume carsico. Un racconto che si sviluppa in una forma circolare che fa tornare alla memoria la frase che suggellava l’apertura e la chiusura di Prima della pioggia, il film del 1994 di Milcho Manchevski: “Alzati, è tempo di andare; il tempo non aspetta, perché il cerchio non è rotondo”.

Quella raccontata da Sebastian nel libro Da duemila anni, da poco tradotto da Fazi Editore, non è tuttavia una storia perfettamente circolare perché, alla fine di questo diario, una nuova consapevolezza sulla propria identità ebraica, e contemporaneamente di fedeltà alla terra di Romania, sembra aprire un debole spiraglio nella vita del protagonista. Nell’illusione di rompere un percorso infinito (com’è invece il fenomeno dell’antisemitismo) e con la flebile convinzione che la sua essenza diasporica possa conciliarsi con l’ambiente in cui è cresciuto.

Il percorso umano e intellettuale di Mihail Sebastian (1907-1945), colto avvocato di Bucarest nonché critico letterario e autore teatrale, si colloca nel punto di intersezione tra la narrativa ebraica e i grandi intellettuali romeni del ‘900. Lo dimostra il libro in esame, scritto in forma di diario in cui il protagonista ripercorre tre fasi della sua vita: dagli anni dell’università, al termine della prima guerra mondiale, durante i quali subisce pesanti vessazioni antisemite, al periodo successivo, nel quale svolge un ruolo sempre attivo nella società romena. Per passare infine alla terza fase, in cui l’intera società respira nuovamente aria di guerra e risprofonda in un clima antisemita.

Negli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra mondiale la Romania vive, come l’Europa, un periodo di grave crisi economica: a fine conflitto si ritrova con un territorio raddoppiato ma, proprio per questo, con la necessità di gestire nuove problematiche dovute all’incorporazione di importanti minoranze (soprattutto bulgare, ungheresi ed ebraiche). In particolare gli ebrei, pur essendo meno del dieci per cento della popolazione romena (la gran parte scampata dai pogrom russi), occupano posti chiave nell’economia e nella cultura, suscitando antipatie da parte di una popolazione prevalentemente contadina, tra le più povere d’Europa. Per questo i partiti politici si vanno progressivamente spostando verso la destra tradizionalista e nazionalista, con risvolti antisemiti; si va anche formando anche una milizia di estrema destra, violenta e fascista, che influenza governo e monarchia: la ‘Guardia di Ferro’ che verrà successivamente posta fuori legge con accuse di insurrezione, violenze e omicidi.

In tale contesto Sebastian inizia il suo racconto riandando con la memoria al clima dell’università di Bucarest, dove il protagonista studia in una facoltà economica; un ambiente in cui ogni giorno di più si vanno organizzando squadre di studenti accomunati dall’odio antiebraico: “Sono stato picchiato e il mondo non si ferma per così poco”.

Il narratore, per sfuggire a una di queste incursioni, trova rifugio nell’aula del Professore (docente di economia politica, vero personaggio chiave del libro) con cui, dopo un primo impatto negativo, inizia una grande amicizia che lo porterà a una svolta esistenziale e professionale. La riflessione sulle condizioni sugli ebrei nella società romena e il confronto con gli stessi compagni, portano il protagonista a una lucida e talvolta impietosa analisi della sua situazione personale e sociale.

È a questo punto che, su suggerimento del Professore, cambia facoltà e si lascia sedurre e avvolgere dai problemi pratici della progettazione, dalla precisione tecnica, della realizzazione degli edifici. L’architettura diventerà dunque il nuovo approccio ‘sereno’ con la sua terra di appartenenza.

Da qui prende avvio la seconda fase in cui, con animo meno oppresso, affronta il nuovo lavoro alle dipendenze del Maestro, grande architetto e personalità complessa, che lo assume nel proprio studio. La terza fase coincide infine con le rivolte degli anni ’30 con i primi scioperi dei dipendenti dei pozzi petroliferi in mano a stranieri, in un clima di forte tensione sociale che va dall’ultranazionalismo della Grande Romania, da una parte, al desiderio di riscatto sociale in una visione sovietico-comunista, dall’altra. La cosa che però sembra accomunare i due fronti rimane un antisemitismo di fondo, più o meno dichiarato.

Il protagonista teme di ripiombare nuovamente in una situazione psicologica di impotenza e immobilità. Rivede un suo ex compagno in procinto di mollare tutto e partire per la nuova terra di Israele, la Palestina mandataria inglese, dove già molti ebrei si stavano dirigendo, abbandonando famiglie e professioni per andare a dissodare terreni desertici e a preparare la creazione di uno stato ebraico. L’amico così risponde al dubbio sulla validità di tale scelta: “Quel che conta non sono le probabilità di successo dell’impresa, ma la sua obbligatorietà. Se non facciamo questa cosa, moriamo. Se non la facciamo, sostieni tu, moriamo lo stesso. Non lo so. Forse sì. Forse no. Ed è per questo ‘forse’ che merita comunque di mettersi in marcia”.

Nel frattempo il narratore osserva altri amici non ebrei, con cui aveva instaurato un rapporto di simpatia e scambi di elevato livello culturale, trasformarsi lentamente in propagandisti insofferenti all’interferenza ebraica nella nazione romena, incolpandola di tutti i mali sociali. “Non arrabbiarti, giovanotto. L’ebreo è un uomo con le valigie. Tante disgrazie, altrettanti bagagli”: così un libraio che gira in treno per il paese trasportando libri in grandi valigie consola il protagonista, ebreo che però non crede nella nuova terra d’Israele in Palestina, ma nel comune potere salvifico della lingua yiddish.

Soprattutto il protagonista vede il suo Maestro, il grande architetto a cui lo lega una sorta di grata venerazione, trasformarsi da grande mentore a deciso antisemita: “Vedi, io conosco due tipi di antisemiti – annota sconsolato –. Gli antisemiti puri e duri e gli antisemiti con argomenti. Con i primi, tutto sommato, posso arrivare a capirmi, siccome fra me e loro è tutto chiaro. Invece con gli altri è difficile. [...]  Se domani la struttura sociale non avrà come perno la religione, né la politica, e nemmeno l’economia, bensì, mettiamo, l’apicoltura, l’ebreo verrà odiato dal punto di vista dell’allevamento delle api”.

Non c’è qui modo di soffermarsi sulla biografia, tra l’altro molto interessante, di Sebastian: sulla sua iniziale simpatia verso la destra nazionalista, sulla sua ingenuità nel far presentare il libro Da duemila anni proprio da Nae Ionescu, filosofo, intellettuale e oscuro personaggio di tendenze fasciste e nazionaliste, per poi tentare di giustificare la scelta sbagliata pubblicando un pamphlet in cui scrive di non aver compreso nel pieno il cambiamento sociale e politico dal 1931 al 1934. Scelte sbagliate di uno che forse si considerava, come il protagonista del libro, un albero fuggito dal bosco.

Franca Cecchinato

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