SOCIETÀ
Un sorso d'acqua e molta plastica
Sono quattro anni che la California subisce la siccità. Certo, il grande stato della West Coast non è stato ridotto alla sete, come vorrebbe una certa pubblicistica. Ma è vero che le autorità hanno posto severe restrizioni all’uso dell’acqua. Cosicché ha fatto molto rumore la notizia, rimbalzata sui social network, che la Nestlé Waters North America continua a imbottigliare e a vendere l’acqua prelevata dalle fonti della San Bernardino National Forest, nel sud dello stato, sulla base di un permesso scaduto 27 anni fa.
È dello stesso tenore la polemica sollevata in Italia nel 2013 da Legambiente e Altreconomia con il rapporto Acque in bottiglia, un’imbarazzante storia all’italiana, in cui veniva rilevato come la Regione Liguria, per 5 concessioni conferite al prelievo di acqua sorgiva, ricavava in un anno la miseria di 3.300 euro. Non molti di più incassavano la Sardegna (39.000 euro) o la Basilicata (323.000 euro).
L’accusa, in California come in Italia, è che l’acqua pubblica viene di fatto regalata a poche aziende private che la sfruttano per realizzare enormi profitti nel grande mercato delle “acque minerali”. Nel 2014 un cittadino Usa ha consumato, in media, 129 litri di “acqua in bottiglia”, alimentando un mercato da oltre 13 miliardi di dollari. Nello stesso anno un cittadino italiano ha consumato ben 190 litri di “acqua in bottiglia” (quasi il 50% in più di un americano), alimentando un mercato da 2,4 miliardi di euro (2,6 miliardi di dollari).
Ma, al di là delle polemiche sulla quasi gratuità della captazione da parte delle aziende che la imbottigliano, il consumo di così tanta acqua minerale rispetto a quella da rubinetto è giustificato?
Giustificato è un aggettivo ambiguo, dalle mille sfaccettature. Implica tanto la percezione soggettiva quanto valutazioni oggettive. La percezione soggettiva sulle acque minerali non conosce grandi sfumature e si forma intorno a due estremi.
Da un lato c’è chi le ritiene più salubri e sicure, accettando di pagare un prezzo anche mille volte superiore e non pochi disagi (andare al supermercato e trasportarne il peso) per consumarle al posto dell’”acqua del sindaco”, che invece arriva comodamente fino a casa. Spesso a questa percezione salutistica se ne aggiunge una relativa al gusto: le acque minerali vengono percepite come più gradevoli al palato.
Dall’altro lato c’è una percezione opposta. Si ritiene che le acque minerali siano meno sicure e salubri rispetto all’acqua del rubinetto, che si ritiene siano sottoposte a più rigidi controlli.
In realtà le due opposte percezioni contengono entrambe parti di verità e sono, entrambe, da analizzare con senso critico. In primo luogo c’è da fare una distinzione. Le acque minerali sono captate alla sorgente e immesse tal quale in bottiglia. L’acqua da rubinetto viene captata in genere più a valle e sottoposta a una serie di trattamenti. Le differenze tra loro sono comunque piccole. Le acque minerali hanno, ovviamente, un’elevata quantità di minerali, dovute al contatto con le rocce. Dovrebbero avere finalità terapeutiche e, dunque, dispensate a persone con particolari bisogni di salute. Inutile dire che il consumo di massa ha disperso per la gran parte queste finalità.
L’acqua del rubinetto è invece per tutti. Non ha finalità terapeutiche. Deve andar bene per tutti. Proprio per questo è previsto un minore tenore di minerali – come sodio, calcio, fluoro, ferro, magnesio – che, assunti in accesso, potrebbero avere effetti negativi sulla salute di alcuni. Un’alta concentrazione di calcio e di sodio, per esempio, sono sconsigliati per soggetti a ipertensione o ad aterosclerosi. Questo controllo non è previsto per le acque minerali. Inoltre l’acqua da rubinetto è trattata con sostanze, come il cloro, capaci di controllare l’attività microbica. Trattamento non previsto – perché non ritenuto necessario per acque captate alla sorgente – per le acque minerali. Il trattamento col cloro rende meno gradevole l’acqua al palato ed è anche per questo che molti preferiscono consumare quella in bottiglia.
Ricapitolando: da un punto di vista chimico e sanitario non ci sono differenze eclatanti tra l’acqua da rubinetto e l’acqua minerale in bottiglia. Se i controlli in acquedotto come alla fonte sono realizzati secondo legge, entrambe sono buone da bere. Il che non giustifica il più alto costo che molti sono disponibili a pagare per consumare acqua minerale.
Ci sono, però, altri motivi oltre quelli sanitari che inducono al consumo. C’è il gusto, per esempio. Ma con una serie di accorgimenti a basso costo è possibile rendere gradevole anche l’acqua da rubinetto. C’è la facilità d’uso. In casa, non c’è dubbio, è più comodo utilizzare l’acqua da rubinetto. Ma quando siamo fuori è più comodo utilizzare la bottiglietta d’acqua minerale.
Ma, nella valutazione dei costi e dei benefici, conta sempre più l’impatto ambientale. L’acqua da rubinetto ne ha uno bassissimo. Il suo è, per dirla in gergo ambientalista, un consumo sostenibile.
L’acqua minerale viene ormai imbottigliata quasi tutta in bottiglie di plastica, in genere PET (polietilene tereftalato). E l’uso di queste bottiglie ha tre tipi di elevato impatto ambientale: a monte e a valle del consumo. The Pacific Institute, un’organizzazione no profit, calcola che siano occorsi 17 milioni di barili di petrolio per confezionare le bottiglie necessarie a contenere l’acqua minerale consumata negli Usa nel 2006. In Italia, per confezionare circa 6 miliardi di bottiglie utilizzate nel 2011, sono stati necessari, secondo Legambiente e Altreconomia, 240 milioni di chili di plastica, pari a circa 540 milioni di litri di petrolio. Il che ha provocato emissioni di circa 1,2 milioni di tonnellate di CO2.
Ma le acque minerali viaggiano molto. Vengono, per esempio, prelevate imbottigliate in Trentino e vendute nei supermercati siciliani. O viceversa, vengono imbottigliate in Sicilia e vendute a Bolzano. In media una bottiglia di acqua minerale in Italia viaggia per 400 o 500 chilometri (con punte di 1.300 chilometri). Solo il 15% compie la gran parte del percorso su ferro; il restante 85% si muove solo su gomma. Si calcola che 100 litri di acqua spostati su gomma producano 10 chili di CO2 per ogni 100 chilometri percorsi. A questo conto andrebbero aggiunti gli altri tipici inquinanti da traffico, a iniziare dal particolato.
Infine, negli Usa come in Italia, meno di un terzo delle bottiglie in PET utilizzate vengono riciclate. Il 70% circa finisce o in un inceneritore o in discarica (aggravando il problema dei rifiuti) o addirittura va disperso nell’ambiente. La plastica nell’ambiente tende a frammentarsi. E, in mare, i frammenti galleggiano. Ora se è, forse, allarmistico sostenere che entro il 2050 il 99% degli uccelli marini avrà ingerito plastica in maniera significativa, certo il problema esiste. Nel 2011 Charles Moore ha documentato in un libro, Plastic Ocean, la dispersione (e la concentrazione) di plastiche che galleggiano su immense aree dell’Oceano Pacifico. La scoperta e la denuncia di questo “oceano di plastica” ha guadagnato al Los Angeles Times il Premio Pulitzer nel 2007. Ora non tutto l’”oceano di plastica” è riconducibile al PET delle bottiglie delle acque minerali. Ma certo il problema esiste e va tenuto in conto.
Ecco, appunto. Facciamo tutti un po’ di conti. Calcoliamo ciascuno i costi e i benefici dell’uso dell’acqua minerale e dell’acqua di rubinetto, in diverse occasioni e contesti. Senza demonizzare nessuno e senza ideologia. Ma anche con spirito critico. E poi scegliamo cosa bere.
Pietro Greco