CULTURA

La storia di un uomo, oltre il genio

Per certi versi almeno all’inizio assomiglia alla storia di molti, salvo poi diventare un’icona come lo è stata Marilyn nel cinema o Maradona nel calcio e trovartelo stampato su poster e magliette. 

Nato in Germania da un commerciante ebreo, fin da piccolo aveva problemi di linguaggio e uno strano tic: ripeteva continuamente le parole tra sé e sé prima di dirle ad alta voce. Era insofferente alle regole della scuola. Apparentemente un po’ tonto e ribelle. Eppure imparò a usare derivate e integrali a 15 anni e superava in aritmetica tutti i suoi compagni. Cercò di iscriversi al politecnico di Zurigo, ma la prima volta non superò l’esame di ammissione. 

Negli anni intanto il bambino solitario e taciturno si trasformava in un bell’uomo. “Era allegro e arguto, con capelli e baffi neri, uno sguardo penetrante che faceva trasparire una grande intelligenza. Un vero sciupafemmine”, scrive Vincenzo Palermo in La versione di Albert. Perché Einstein è un genio (Hoepli 2015). Il primo amore a sedici anni fu Marie Winteler, una ragazza di Arau due anni più grande di lui. Un amore adolescenziale troncato non appena riuscì a entrare all’università di Zurigo. Per un po’ di tempo continuò a scriverle, “oltre a sfruttarla ignobilmente come lavandaia”, salvo poi troncare il loro rapporto per lettera.

All’università partì con il piede sbagliato e con un atteggiamento irriverente nei confronti dei professori. Giudicava i programmi accademici troppo antiquati e saltava le lezioni per studiare da autodidatta il pensiero dei fisici più moderni. Giovane e affascinante, si innamorò di una sua compagna di studi, Mileva Marić. Di origini serbe, era tre anni più grande di lui “leggermente zoppa, ammalata di tubercolosi e di depressione. Però era intelligente e condivideva… la passione per la scienza. In un mondo ancora totalmente dominato dagli uomini, Mileva era riuscita a iscriversi in un liceo maschile… e poi a entrare al Politecnico, unica donna del suo corso”. Voleva sposarla ma, come accade in molte relazioni, i genitori erano contrari. 

Laureatosi (con voti bassi) nel 1900, iniziò a cercare lavoro. In tasca il titolo di “insegnante specializzato in matematica”. Nel cuore il desiderio di continuare a fare ricerca scientifica. All’epoca a quasi tutti i laureati dell’università di Zurigo veniva offerto un posto come assistente, ma i suoi docenti Weber e Pernet non avevano alcuna intenzione di mettersi in laboratorio il “giovane ebreo sfrontato” e non gli fecero alcuna proposta. La sua condizione, sottolinea Palermo, assomigliava a quella di molti giovani d’oggi: “Neolaureato, disoccupato, con una gran voglia di farsi una famiglia ma nessuna certezza, cominciò a spedire curricula e domande di assunzione in tutta Europa”. A cui nessuno rispose. Andava avanti con ripetizioni e incarichi di insegnamento privato in Svizzera. Alla fine, nonostante non fosse ciò a cui ambiva, grazie a una raccomandazione riuscì a ottenere un posto all’ufficio brevetti di Berna. “Il concorso fu pilotato e le specifiche richieste erano state formulate su misura per Einstein, come succede anche oggi in tanti concorsi”. 

Nel frattempo Mileva era rimasta incinta. Lieserl, questo il nome della bambina, nacque in Serbia nel 1902. Albert si diceva felice della nascita della figlia, ma a conti fatti non andò mai a conoscerla e non parlò di lei con nessuno, tanto che alla fine la bambina, sembra, fu data in adozione. Una scelta, questa, di cui ancora non si comprende la ragione specie se si considera che un anno più tardi sposava Mileva, da cui avrebbe avuto due figli. 

“Fino a quel momento – scrive Palermo nel suo libro – la vita di Einstein era stata una vita normale (quasi mediocre), la vita di un uomo come tanti, con i suoi pregi e i suoi difetti… Eppure qualcosa stava per cambiare”. Per come erano andate le cose fino a quel momento avrebbe potuto sentirsi un fallito, ma il carattere ottimista e gioviale lo portò a sfruttare la situazione a suo vantaggio. Riusciva infatti a svolgere il suo lavoro in poche ore e questo gli lasciava molto tempo per pensare.

Così arriviamo al 1905, l’anno in cui Einstein a soli 26 anni formulava quasi tutte le sue teorie. Risolveva il mistero della natura della luce e poneva le basi della fisica quantistica. Provava l’esistenza degli atomi. Dimostrava che spazio e tempo erano relativi (relatività ristretta) e che energia e materia erano equivalenti, con la famosa equazione E = mc2. Ci sarebbero voluti invece parecchi anni per arrivare alla teoria della relatività generale che, presentata per la prima volta nel 1915 all’Accademia prussiana, fu pubblicata nel marzo dell’anno seguente sugli Annalen der Physik. 

Le sue teorie rivoluzionarono il mondo della fisica, lo resero famoso e gli avevano procurato già da tempo un posto come professore all’università. Nella scienza, il suo modo di procedere era atipico. “Einstein partiva da considerazioni astratte, da teorie diverse e formule che, combinate assieme, dicevano qualcosa di più sul sistema iniziale, sfruttando la pura forza della logica per arrivare a conclusioni nuove”. Passione, intelligenza, concentrazione, perseveranza erano alcuni dei tratti che lo caratterizzavano. Oltre alla fantasia, cioè alla capacità di farsi domande in apparenza scontate ma che nessuno prima si era posto, cercando di immaginare degli esperimenti mentali che potessero rispondervi.  

A Princeton, dove scelse di vivere quando Hitler salì al potere, Einstein diventa la leggenda che è oggi. Capelli bianchi e arruffati, sguardo “dolce e distratto”, aspetto disordinato, nonostante la fama “rimaneva una persona umile, gentile e disponibile con tutti”. L’America lo amava e l’amore era ricambiato, anche se questo non aveva impedito all’FBI di aprire un fascicolo su di lui per il suo dichiarato antimilitarismo. Una posizione, questa, che tuttavia cambiò nel corso degli anni convinto che con il pacifismo non si sarebbe mai riusciti a sconfiggere la Germania. Per questo quando i fisici Leó Szilárd ed Eugene Wigner si presentarono da lui con le ultime novità sulla fissione dell’uranio e la possibilità di innescare una reazione a catena e impiegarla in una bomba, Einstein usò il suo nome per arrivare al presidente, Franklin Delano Roosevelt, e informarlo su questa possibilità. Nella convinzione che anche i tedeschi si stessero muovendo nella stessa direzione. Iniziò allora il “più incredibile e ambizioso progetto di ricerca top secret della storia”. “Se avessi saputo che i tedeschi non potevano costruire la bomba – disse Einstein – non avrei mai alzato un dito”. Ma ormai era troppo tardi.    

Nel suo libro Palermo, con piglio leggero e a tratti divertente, descrive il profilo di un uomo che rivoluzionò il mondo scientifico di inizio Novecento, ma non solo. Non indietreggia infatti quando si tratta di entrare nel dettaglio delle sue teorie con l’intento dichiarato di spiegarle anche a chi è digiuno di scienza. Per l’autore è una scommessa, “la scommessa che, senza essere esperti di fisica e di matematica, sia possibile capire perché e come Einstein cambiò il mondo”.    

Monica Panetto

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