SCIENZA E RICERCA
Terremoto, i mezzi per salvare il patrimonio storico ci sono
Il crollo della cattedrale di San Benedetto a Norcia. Foto: Reuters/Remo Casilli
Dallo scorso 24 agosto la terra nel centro Italia continua a tremare. Se si scorrono i dati rilevati dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) si osserva che le scosse di magnitudo superiore a due sono pressoché quotidiane, fino a raggiungere punte di 6,5 come lo scorso 30 ottobre nella provincia di Perugia. Un totale di circa 23.900 eventi sismici al 6 novembre 2016. La situazione di emergenza rende di estrema attualità la questione della mitigazione del rischio sismico in un Paese, l’Italia, considerato ad elevata sismicità e, in particolare, pone il problema della salvaguardia del patrimonio storico che tanta parte costituisce del nostro territorio. Un impegno, quest’ultimo, che vede coinvolta in prima linea l’università di Padova.
L’Ateneo fa parte di un consorzio di laboratori universitari di ingegneria sismica (ReLUIS), coordinato dal dipartimento della Protezione civile nazionale, che collabora al processo di sviluppo normativo e svolge attività di ricerca, elaborando metodologie sempre più efficaci per la valutazione e la riduzione della vulnerabilità sismica. Il consorzio, inoltre, dà supporto alla Protezione civile nella gestione dell’emergenza sismica, coordinando e svolgendo direttamente sopralluoghi tecnici per le verifiche di agibilità generale, per la valutazione dello stato di danneggiamento e la stima dei costi, in particolare su classi di strutture speciali come le scuole o gli edifici storici e monumentali. Proprio per quest’ultima tipologia di strutture viene interpellata l’università di Padova, in cui opera un gruppo di ricerca specializzato coordinato da Francesca da Porto del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale, prorettore all’edilizia e sicurezza, e Maria Rosa Valluzzi del dipartimento di Beni culturali, che lavorano sul solco tracciato da Claudio Modena.
Tra la fine di settembre e la fine di ottobre, dunque, quasi una trentina di ingegneri padovani tra docenti, collaboratori, dottorandi e assegnisti, si sono recati nelle zone terremotate. “Nelle emergenze – spiega da Porto – operiamo sul campo con sopralluoghi, verifica dei danni, stima dei costi di intervento, valutazione di agibilità e supporto alla redazione dei progetti per la messa in sicurezza. Ci è stato chiesto di avere una squadra fissa di padovani in Abruzzo, dato che conoscevamo bene la zona dopo il terremoto a L’Aquila del 2009 che ci ha visti operativi sul campo. Altre squadre si sono mosse tra Marche e Umbria, con minore frequenza in Lazio”.
La docente spiega che i danni, che ha potuto verificare personalmente, erano consistenti e diffusi, concentrati in borghi relativamente piccoli, se si esclude Amatrice e Accumoli. Centri particolarmente vulnerabili, dunque, poiché gli edifici erano costruiti prevalentemente in muratura di pietrame irregolare e spesso si trovavano anche in cattive condizioni di manutenzione. Erano presenti tuttavia anche edifici su cui erano stati fatti interventi corretti che avevano risposto in maniera positiva al sisma. Una situazione pesante dunque ma affrontabile, anche se in tempi lunghi, almeno fino alle ultime importanti scosse del 26 e 30 ottobre, che hanno generato un aggravio dei danni rispetto a quanto rilevato fino a quel momento. E ciò richiede necessariamente di rivedere la lista delle priorità di intervento che le unità di crisi a coordinamento regionale attivate dal ministero dei Beni culturali stavano stilando anche in collaborazione con il gruppo padovano. Dopo gli ultimi eventi sismici in Umbria e nelle Marche, di fatto due nuovi terremoti e non semplici scosse di assestamento, gli ingegneri di ReLUIS e dell’università di Padova hanno ricevuto indicazione di interrompere i lavori per consentire alla Protezione civile di riprendere con le attività di assistenza agli sfollati.
Nonostante tutto, gli studi e l’esperienza sul campo del gruppo padovano dimostrano che le metodologie e gli strumenti per salvaguardare il patrimonio storico del nostro Paese esistono. “Ci sono tecniche e materiali, innovativi e tradizionali – spiega da Porto – che, applicati in maniera ragionevole, possono portare questi edifici a incrementi di resistenza e di sicurezza molto consistenti, tra l’altro sperimentati in laboratorio su tavola vibrante, ma anche nelle zone terremotate in cui già stavamo intervenendo”. Fondamentale la fase preliminare di studio della costruzione: gli interventi devono essere basati su una profonda conoscenza della struttura. È necessario studiare l’edificio su cui si andrà a lavorare e applicare ogni volta un intervento “fatto su misura”. Le tecniche di calcolo, progettazione e intervento dunque esistono. Si possono utilizzare ad esempio materiali compositi a base di fibre di carbonio, di acciaio o di fibre naturali per rinforzare localmente la struttura; si può ricorrere all’iniezione di miscele a base di calce per consolidare murature irregolari e caratterizzate dalla presenza di vuoti, ma anche a isolatori sismici che consentono di isolare la costruzione dal movimento del terreno; o ancora ci si può servire di metodi più tradizionali come gli incatenamenti, solo per citare alcune tra le possibilità previste.
Ciò che serve è innanzitutto conoscenza e consapevolezza. Sia da parte degli ingegneri che valutano il grado di vulnerabilità sismica di una struttura e, in seguito a un terremoto, ne danno l’agibilità o meno, sia da parte dei cittadini. Per rispondere a queste necessità il consorzio ReLUIS in collaborazione con la Protezione civile contribuisce all’organizzazione di corsi di formazione rivolti agli ingegneri che si svolgono nei vari ordini professionali e approfondiscono i temi legati alla gestione delle emergenze sismiche e rilevazione dei danni. Allo stesso tempo, anche con il contributo dell’Associazione nazionale delle pubbliche assistenze (Anpas), dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e in accordo con le Regioni e i Comuni, ogni anno viene promossa la campagna informativa nazionale Io non rischio, con l’obiettivo di diffondere una cultura della prevenzione e di “avviare un processo che porti il cittadino ad acquisire un ruolo attivo nella riduzione dei rischi”.
Monica Panetto