CULTURA

I 150 anni di Proust, cantore del tempo

Anche i classici compiono gli anni, ma non invecchiano. Il tempo che scorre sembra anzi aggiungere loro profondità e prospettiva, piani di lettura, linfa vitale: a maggior ragione se parliamo del cantore del tempo, perduto e ritrovato. Nasceva il 10 luglio 1871 a Parigi, al 96 di rue La Fontaine (16° arrondissement), lo scrittore e intellettuale che più di ogni altro ha saputo incarnare la contemporaneità: Marcel Proust. Pochi – Musil, Joyce, Beckett, Kafka… – possono vantare un’influenza comparabile sulla cultura del secolo scorso, nessuno forse la sua profonda leggerezza. Ne parliamo con Geneviève Henrot, docente di lingua e traduzione francese presso l’università di Padova e studiosa dell’opera proustiana.

“Proust è contemporaneo della crisi della rappresentazione a inizio Novecento, della scoperta dell’inconscio da Freud, della relatività del tempo teorizzata da Einstein, di tante innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato i rapporti tra gli uomini e dell’uomo con il suo ambiente – spiega Henrot a Il Bo Live –. Proust intuisce queste scoperte, le esplora e approfondisce con la sua acutissima intelligenza e le incorpora nel suo romanzo integrandole alla sua visione dell’essere umano nel mondo. Ci fa vivere questa evoluzione del pensiero fenomenologico facendoci capire dal di dentro cosa cambia in noi e come necessariamente si modifica la nostra percezione”.

Il riferimento è soprattutto all’opera maestra, quella che da sola sembra racchiudere non solo l’arte ma anche l’intera vita dello scrittore francese: “À la recherche du temps perdu viene, con sempre più ammirata convinzione, annoverata tra le opere maggiori delle grandi letterature – continua la docente –. È IL capolavoro della letteratura francese e ha ferventi lettori e studiosi in tutto il mondo, dal Brasile al Giappone. Pochi anni fa ho voluto indagare sulle traduzioni complete dell’opera nelle varie lingue del mondo: ne sono state reperite una buona trentina, compresi il cinese, il giapponese, il coreano, l’arabo… ma anche il basco, il croato. Eppure tradurre la Recherche è un’impresa particolarmente ardua e rischiosa, che difficilmente darà luogo a un bestseller per l’editore perché corposa e di difficile lettura, ma viene comunque percepita come un atto di devoto apostolato artistico, meritevole di qualsiasi impegno”.

La Recherche insegna a vivere: offre al lettore spunti di riflessione e occasioni di accrescere la sua conoscenza dell’essere umano Geneviève Henrot

La Ricerca – come si dice normalmente, allo stesso modo in cui la Commedia è solo quella di Dante – non è una lettura banale ed esige una certa dose di disciplina. Secondo Henrot “per tessere le innumerevoli interconnessioni tra i fenomeni, l’autore ha dovuto forgiarsi una sintassi molto complessa (benché chiara e logica), che ricollegasse in un tutto ben strutturato (il suo periodo) i diversi piani della realtà messi in rapporto tra di loro: le sovrapposizioni temporali della memoria involontaria, le indimenticabili analogie che cambiano il nostro sguardo per sempre... Questo aspetto dello stile di Proust è una prova iniziatica: riuscire a far proprio il respiro lungo delle sue frasi è il Sesamo che apre alla lettura un mondo di una ricchezza inesauribili. ‘Scrivere dopo Proust’ è pertanto una sfida con la quale i maggiori scrittori contemporanei, bene o male, devono fare i conti”.

Il risultato è un monumento letterario che, a 150 anni di distanza dalla nascita e a quasi 100 dalla morte del suo autore, appare ancora ricco di sorprese e in parte inesplorato. Anche per questo ancora oggi continua ad essere oggetto di studi e addirittura di riviste interamene dedicate: come i Quaderni proustiani, attualmente editi dalla Padova University Press e arrivati alla quattordicesima uscita annuale. “Come tutte le opere geniali, quella di Proust era decenni in anticipo sul suo tempo, tant’è vero che la grande stagione della sua ricezione è iniziata ai primi degli anni 1970, mezzo secolo dopo la sua morte. Da allora non ha mai più smesso di crescere e intensificarsi, e di estendersi nel mondo”. Cos’ha l’opera di Proust che continua ad affascinare? “L’indissolubile ed essenziale unione di un progetto espressivo e di una forma di scrittura: da una parte un progetto di visione del mondo così originale non potrebbe esistere senza una forma altrettanto originale, forgiata appositamente per esprimere cose che nessun altro prima aveva mai detto; dall’altra questa forma ha una motivazione così profonda e necessaria da non invecchiare. Lo stile così particolare di Proust, che può anche scoraggiare qualche lettore, non è affatto un atteggiamento stilistico, una posa, una mera ricerca di bellezza formale, bensì una vera e propria filosofia di vita, un modo di vedere e capire il mondo. ‘Lo stile è una questione non di tecnica, bensì di visione’, scrive Proust nell’ultimo volume del suo romanzo, Il Tempo ritrovato”.

La grandezza della Recherche va al di là del suo enorme valore estetico-artistico: “È quella che oggi viene chiamata ‘letteratura-mondo’ – spiega ancora la docente –, un libro che contiene tutto in sé, un’opera che affronta nelle loro numerose sfaccettature le questioni più essenziali dell’essere al mondo. Leggere la Recherche insegna a vivere: offre al lettore spunti di riflessione e occasioni di accrescere la sua conoscenza dell’essere umano. Leggere la Recherche insegna a capire il nostro mondo: l’opera di Proust è anche una somma delle intuizioni che hanno fondato la maggior parte delle scienze umane di oggi, e talvolta delle scienze tout court. Qualsiasi scienza voglia leggere la Recherche con i propri ‘occhiali’ finisce con l’esclamare: ‘Ma Proust l’aveva già intuito!’. Perfino i neuroscienziati confidano di avvicinarsi al romanzo con la curiosità di vedere come l’autore abbia saputo descrivere i meandri del pensiero, della memoria, della percezione, della coscienza nel sonno”.

Il risultato è un’opera che nasce per sfidare il tempo, e che intorno al suo scorrere permette al lettore di perdersi e di ritrovarsi. “Proust scrive: Heureux les livres pareils à des falaises où les siècles y battant toujours trouvent encore à ronger – conclude Geneviève Henrot –, ‘Beati i libri simili a falesie che i secoli continuano a battere senza mai eroderli’. E questa ‘beatitudine’ dell’arte si addice davvero alla sua opera quanto a quella di Shakespeare, Cervantes, Goethe e del nostro Dante”.

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