Luigi Meneghello studente universitario. Foto: Chiara Mezzalira / Su concessione dell'università degli studi di Padova - Servizio Archivio generale di ateneo
Luigi Meneghello nasceva a Malo il 16 febbraio 1922, esattamente cento anni fa. Scrittore di romanzi e saggi, traduttore, divulgatore culturale. Prima, gli anni della crescita nel fascismo - partecipa e vince i Littoriali del 1940 -, poi l'impegno nella Resistenza da partigiano ("sono stato esposto da ragazzo agli effetti dell'educazione fascista, e poi rieducato alla meglio durante la guerra civile, sotto le piccole ali del partito d'Azione"). Finita la guerra si laurea in filosofia a Padova, con una borsa di studio arriva a Reading e sposa Katia Bleier, che diventa una figura centrale nella sua vita. Professore universitario e fondatore agli inizi degli anni Sessanta del dipartimento di Italian studies proprio all'università di Reading, l'esordio letterario per lui arriva intorno ai quarant'anni e coincide con la stesura e la pubblicazione dei suoi capolavori: Libera nos a malo del 1963 e I piccoli maestri del 1964, centrati "l'uno sul mondo e la lingua di Malo, l'altro su diseducazione/educazione dell'Autore fra scuola fascista, esperienza della Resistenza e convulsi mesi dell'immediato Dopoguerra", scrive Francesca Caputo in Nota e note ai testi in Opere vol. 1 di Luigi Meneghello (Rizzoli, 1993).
In Meneghello convivono esperienze, percorsi, molte anime e visioni. Lo spiega bene Sergio Frigo nel suo I luoghi degli scrittori veneti (Mazzanti libri), descrivendo "una vita in cui si sono fuse in forme peculiari esperienze apparentemente antitetiche, come l'appartenenza al Veneto profondo, l'italianità evoluta del grande umanista, l'apertura al mondo dello studioso cosmopolita: un impasto di nostalgia e disincanto, grande erudizione e acuminata ironia che ha dato vita a una produzione letteraria originalissima, in cui l'intensa passione civile è dissimulata in un divertito disincanto e la profonda cultura in un linguaggio insieme popolare e sofisticato, di grande pregio stilistico".
Su Il Bo Live, in occasione del centenario della nascita, ospitiamo le riflessioni (video) attorno all'opera Libera nos a malo e proponiamo una lunga e più ampia intervista a Luciano Zampese, docente di linguistica italiana all'università di Ginevra, professore di latino e greco al liceo classico, studioso dell'opera di Luigi Meneghello (1922-2007). Autore de La forma dei pensieri (Cesati 2014), Meneghello: solo donne, scritto con Ernestina Pellegrini (Marsilio, 2016) e il recente S'incomincia con un temporale. Guida a Libera nos a malo di Luigi Meneghello (Carocci, 2021). Proprio in quest'ultimo accurato volume Zampese scrive: "I libri di Meneghello [...] sono innanzitutto opere letterarie, dove la forma, la bellezza, lo stile appaiono altrettanto essenziali dei contenuti, anzi si fondono con essi secondo i principi classici e la natura stessa della poesia".
Montaggio: Elisa Speronello
Professor Zampese, partiamo dallo scrittore e dall'uomo. Questi due profili convivono e, di più, si alimentano reciprocamente in Meneghello. Non esiste l’autore senza l’essere umano, senza i suoi valori e l’impegno civile, è così?
"Il rapporto tra biografia e letteratura ci appare naturale, e in questo la nostra formazione scolastica ha avuto (e in parte ha ancora) il suo peso: la vita e le opere erano la partizione tradizionale con cui si affrontavano gli autori; e il legame per alcuni, penso a Dante o Leopardi, poteva essere quasi esasperato. Credo sia importante per Meneghello dire subito che la dimensione autobiografica è certamente la spinta primaria della sua scrittura ma non ne rappresenta mai il fine: Autobiografico per me è invariabilmente il punto di partenza, ma il punto di arrivo non è autobiografico (da La materia di Reading); lo stesso Carlo Bo recensendo Libera nos aveva posto nel ‘sommario’: Luigi Meneghello non si abbandona mai alle memorie casalinghe, ma se ne serve per farne strumento di conoscenza (Una grande storia, 1963). E ancora si ricorderà l’immagine del DNA del reale contenuto in ogni frammento per quanto minimo e privato di esperienza; o infine note affermazioni d’autore come: scrivere è una funzione del capire, scrivere è per me in essenza un esercizio conoscitivo. Con tutto questo non dobbiamo però interpretare l’esperienza, e la sua ricostruzione memoriale, come un semplice meccanismo, una semplice tappa iniziale per una più nobile attività di pensiero: l’amore per ciò che si è vissuto, per i sentimenti e i pensieri nostri e altrui, per gli affetti che hanno attraversato la nostra vita è parte integrante della scrittura di Meneghello, e si potrebbe anche leggere la spinta conoscitiva come un modo per rendere giustizia dell’intensità e della bellezza di ciò che si è vissuto e condiviso. In questa dialettica non dobbiamo poi dimenticare la funzione del riso, dell’ironia, che è al tempo stesso partecipazione e distacco, emozione e riflessione. In sintesi, direi che l’ethos di Meneghello si radica nell’amore per la vita e nella volontà di conoscerla e di salvarla dalla ruina temporis, e non trova altra soluzione che fissarla e comunicarla in forma scritta. Meneghello è uno scrittore felicemente ossessionato dalla verità e dalla bellezza, la cui armonia si manifesta nella “virtù senza nome” di certe scritture che splendono. Il rapporto tra privato e pubblico sarà una declinazione del rapporto tra biografia e storia (evidentissimo nei Piccoli maestri, la guerra civile, e più amaramente in Bau-sète!, il primissimo dopoguerra) e tra individuale e universale (l’infanzia di Gigi a Malo, negli anni Venti, o l’incontro con la civiltà inglese). Ma i principi di fondo saranno comuni a tutta la scrittura meneghelliana (letteraria e non letteraria): la radice del suo stile è l’onestà, che vuol dire lotta alla retorica, inesausto lavoro di riscrittura, doveroso “pensarci su”; il punto di partenza e di riferimento costante – come dice in una lettera a Renzo Zorzi, direttore della rivista Comunità di Olivetti – è quello di farsi capire, e soprattutto di non voler dire più di quel che s’ha da dire".
“ Tutto in Libera nos a malo è addomesticato e stravolto, anche la morte [...] Tutti i guai, le disgrazie, i triboli, le agonie e le morti, sono addomesticati e, direi capovolti [...] attraverso l’irriverenza dell’occhio bambino Ernestina Pellegrini, studiosa dell'opera di Luigi Meneghello
Luigi Meneghello studiò all'università di Padova
Meneghello studente: la sua vita universitaria attraverso i documenti
Approfondiamo i primi anni Sessanta: la nascita del dipartimento di Italian studies a Reading e la scrittura di Libera nos a malo e I piccoli maestri. Sono anni di fervore creativo dal punto di vista accademico e artistico.
"Sì. È impressionante la forza creativa che si concentra in quegli anni: a Reading raggiunge il massimo successo ‘politico’, riuscendo a costituire nel 1960 – con una certa invidia negli altri centri di italianistica inglese, che coniano l’etichetta Swinging Reading – un dipartimento autonomo per l’italiano, un Italiano-in-grande che intende riprodurre in piccolo il raggio dei programmi della mia facoltà di Padova (La materia di Reading). In una lettera a Feltrinelli, siamo nell’inverno del 1963 e si sta per completare la stesura dei Piccoli maestri, Meneghello descrive la propria situazione: sono preso nel tumulto espansionistico delle università inglesi; mi trovo a far piani molto complessi per il 1964, 1970, 1980, ... Sto facendo due mestieri, anzi tre. Ha appena pubblicato un capolavoro del Novecento italiano, e ora ne sta compiendo un altro. Eppure, questi primi anni Sessanta sembrano far affiorare un’inquietudine di fondo, che trova nel successo accademico e nel prossimo esordio letterario una risposta ancora incompleta. Così scrive nel dicembre del 1961 a Licisco Magagnato, una sorta di vice-maestro, dopo la figura di capitan Giuriolo: Mi sento arrivato a un punto dove l'idea di continuare secondo una routine ormai fissata mi pare intollerabile. Ho qualche proposito concreto per il futuro immediato, ma non idee chiare sul problema di fondo, che è poi "che cosa vale veramente la pena di fare?". Il problema di fondo riguarda il fare, l’azione guidata da dei valori («vale veramente»); i propositi concreti riguardano con ogni probabilità la scrittura letteraria, ma si sente in queste righe che c’è un disagio più ampio, che va oltre il futuro immediato. Su questo sfondo, è straordinariamente significativa un’avventura intellettuale che Meneghello affronta con eccezionale entusiasmo e impegno, e che avrebbe determinato – se fosse andata a buon fine – l’abbandono della carriera accademica e il rientro in Italia.
Il progetto con Olivetti, di cosa si tratta?
A Meneghello viene affidato il compito di progettare ex novo una rivista culturale all’interno di una delle esperienze industriali più straordinarie del dopoguerra: quella di Adriano Olivetti. Il progetto è ambizioso, e non possiamo renderne conto qui; mi limito a un passaggio dalla relazione di Meneghello che definisce la rivista: non è la propagazione di una qualche nuova visione del mondo, ma l’idea di fare un po’ il punto della situazione, di indagare in modo ordinato, esauriente, spassionato, come stanno le cose, che cosa si sa e che cosa non si sa, quali sono i termini delle controversie, delle lotte, dei processi culturali in cui siamo coinvolti. Meneghello è un patriota, e lo testimonia anche in questo progetto di alta divulgazione culturale per il quale era disposto a lasciare Reading; rientrerà definitivamente in Italia solo da 'pensionato', e il suo impegno civile di diffusione culturale continuerà nella forma più personale e felice della lingua letteraria e della scrittura giornalistica".
Per approfondire
Un progetto per tornare a casa: Meneghello e la Olivetti di Luciano Zampese (in Quaderni di Lea. Scrittori e scritture d’Oriente e d’Occidente, 2), pp. 131-55
Curatela del video e testo di Luciano Zampese; voce narrante di Patrizia Laquidara; voce ungherese di Dóra Vizvári; riprese video e montaggio di Paolo Zampese
Che ruolo riveste la moglie Katia Bleier nella vita di Meneghello?
"Un ruolo di straordinario rilievo. Ci sono delle testimonianze importanti su questo, come quella di Giulio Lepschy, uno dei massimi linguisti italiani, grande amico e collega di Meneghello a Reading: Tutti i loro amici erano colpiti dalla sua [di Katia] intelligenza e da quanto Meneghello ricorresse alla sua intuizione e al suo giudizio anche su questioni accademiche e letterarie. Katia Bleier è una sopravvissuta di Auschwitz e Bergen Belsen, sposa Meneghello nel 1948, e vivrà con lui tutta la vita: sulla tragedia privata della Shoah (a Birkenau Katia ha perduto i genitori, la cognata Aranka con il suo bambino Volvili) Katia impone un riserbo assoluto, mentre è difficile sottovalutare la sua influenza e partecipazione all’impegno civile e culturale di informazione di Meneghello sulla realtà storica della tragedia, che porterà alla pubblicazione di tre fondamentali articoli apparsi su Comunità tra dicembre 1953 e primavera del 1954, in cui si dava uno straordinario resoconto del libro appena uscito di Reitlinger The Final Solution, articoli che verranno ripresi quarant’anni dopo in Promemoria (sono conservate le schede della British Library, a nome di Katia Bleier, che fanno richiesta nel 1994 dei più importanti studi sullo sterminio degli ebrei). Katia rappresenta il primo e costante punto di riferimento nella vita di tutti i giorni, che poi è la vita tout court : lei sa come sono le persone, io sono ingenuo; lei sa come sono le cose, io no. È persona etica: È la cosa più civile che ho trovato al mondo. Chi li ha conosciuti capiva immediatamente che era Katia il filtro, la protezione, l’interfaccia tra Meneghello e il quotidiano. Ma lei è stata anche la prima lettrice e critica delle scritture letterarie: è lei che nella ricostruzione di Meneghello darà vita a Libera nos (Alla fine di quell’anno [1960] ho detto a mia moglie Katia: sono vecchio, non ho fatto niente nella vita, l'unica cosa in cui mi riconosco sono quei foglietti. Katia mi ha risposto: scrivi quei foglietti); ma si rilegga anche il colophon di Maredè, maredè... (un’opera che sonda le profondità del dialetto): Questo libro non si sarebbe potuto scrivere [...] senza l’energia creativa di Katia mia moglie. Ed è sempre lei che più o meno visibilmente compare in punti nevralgici della narrazione: all’inizio e alla fine del capolavoro d’esordio, racchiusa in quel primo noi che dà avvio al racconto (Siamo arrivati ieri sera, e ci hanno messi a dormire come sempre nella camera grande), e infine nell'insistita focalizzazione sulla moglie Katia, più unica che rara nel romanzo: Ho visto che la Katia e Mino si assorbivano nel lavoro, una tipica reazione quando si è scontenti: si distingueva specie nella Katia, la fretta, il silenzio, la sospensione del giudizio. Nei Piccoli maestri la presenza di Katia agisce sottotraccia come antidoto alla retorica del partigiano affamato: La fame era costante ma non triste; era una fame allegra. Io so che cos’è la fame vera, perché conosco bene chi l’ha conosciuta bene, specialmente a Auschwitz, ma anche a Belsen dov’era ancora peggiore, però lì ormai non la sentivano quasi più; non dicono quasi nulla su questa fame, e in generale su tutta la faccenda, ma si capisce lo stesso; queste comunicazioni avvengono in un modo molto curioso, non si dice quasi nulla, e a un certo punto si sa quasi tutto. E in un frammento inedito, conservato al Centro manoscritti di Pavia, Meneghello propone a Katia per un giudizio un suo ritratto del Professore, uno dei tanti personaggi di Libera nos, e Katia saprà valutare anche la materia di Malo, rassicurando lo scrittore sulla verità delle cose".
Da una parte il rapporto con la terra natale, con la cultura paesana, e dall'altra il respiro e la carriera internazionale. Quale l’equilibrio tra questi due aspetti?
"È un equilibrio molto dinamico. Meneghello affascinato dalle scienze, e soprattutto dalla fisica, descrive la relazione tra Malo e Reading come un continuo flusso di energia che ha bisogno per prendere forma della distanza tra due poli: Era come se per poter pensare, o persino sentire, occorresse lasciar fluire la corrente tra i due poli. Questo equilibrio si è raggiunto gradualmente, maturando esperienza e riflessione nel paese degli Angeli; durante gli anni della giovinezza, della guerra civile, e della crisi ideale del primo dopoguerra Meneghello ha sofferto la “provincialità” di un mondo culturalmente chiuso: asfissia per mancanza d’aria imposta dal regime fascista, ma non solo (Si soffriva per la mancanza di idee e di convinzioni, non già per il tentativo di indottrinarci, da Fiori italiani). La provincialità era per così dire inversamente proporzionale al numero degli abitanti, apparteneva alle grandi città (Padova su tutte), non al mondo paesano, che nella sua autenticità potrà dialogare felicemente con la lingua e la cultura inglese. E come ha osservato Marenco (The Rise and Fall of Irony, 1997), il dialogo fra questi due poli, il piccolo paese alto vicentino e la città rossa sul Tamigi sarà facilitato proprio da quel vuoto culturale del tessuto urbano, dell’Italia fascista, e post-fascista. Accenno solo a uno dei massimi punti d’arrivo generato da questa corrente tra Malo e l’Università Reading, ma anche Londra e la British Library: Trapianti, di cui è appena uscita una nuova edizione curata da Ernestina Pellegrini, una raffinata operazione di traduzione letteraria lungo un’antologia poetica di classici in lingua inglese trapiantati in dialetto altovicentino. La traduzione è uno degli aspetti di grande importanza nella vita e nella scrittura di Meneghello, vale la pena citare da Quaggiù nella biosfera un’ampia riflessione sul rilievo dell’esperienza forse più significativa, la traduzione (pubblicata nel 1962!), con qualche taglio ma di oltre 600 pagine, dei due poderosi volumi di Wickham Steed, Through Thirty Years (1924): Molte delle cose che pensavo e capivo quando ho scritto i miei primi libri vengono da qui – e se non m’inganno, anche il modo in cui li ho scritti è legato all’esperienza (per mesi e mesi) di rifare Steed in italiano il più scorrevolmente e vivacemente possibile. […] nella sua veste italiana il libro l’ho scritto io, trapiantato, potrei dire: e la mia prosa di allora, nipote adottiva della cultura inglese, è cugina prima di quella che uso oggi. In Maredè, maredè... Meneghello annota: Le parole, pare, sono creature erranti, devono continuamente attraversare frontiere; un’irrequietezza poeticamente felice, se chi le accompagna porta con sé un amore profondo per la propria lingua materna quanto lucida e appassionata è l’ammirazione per la lingua degli altri".
Possiamo rintracciare l'eredità/la lezione di Meneghello tra gli autori contemporanei?
"A questa domanda dovrei onestamente rispondere: non lo so, oppure, con arroganza, non c’è nessuno. So da fonte certa che a Meneghello era piaciuto Via Gemito di Domenico Starnone, e anche il recentissimo Vita mortale e immortale della bambina di Milano, sempre di Starnone, potremmo ascriverlo almeno in parte a una supposta eredità meneghelliana. Nota è la confessione di Guccini di uno shock of recognition di fronte a Libera nos a malo nella genesi delle sue Cròniche epafániche: Se Meneghello ha potuto raccontare la sua Malo, perché io non posso raccontare la mia Pàvana?. Ma mi piacerebbe piuttosto, e credo di non essere il solo (a partire forse proprio da certe intuizioni di Starnone) a riconoscere uno scambio di maestria tra Meneghello e Fellini, un dialogo a distanza, ma che ha comunque delle esplicite testimonianze di stima, e che per Amarcord, film ma anche libro, potrebbe assumere le forme della consonanza, dell’ispirazione, sorelle o cugine dell’eredità".
Giornate per Luigi Meneghello
Il 25 e 26 aprile prossimi il dipartimento di Studi linguistici e letterari organizza un convegno dedicato a Luigi Meneghello (Malo, 16 febbraio 1922 - Thiene, 26 giugno 2007). Nella prima giornata verranno approfonditi gli anni della formazione e dell'impegno nella resistenza, grazie ai contributi di Mario Isnenghi e Anna Baldini. A seguire, Francesco Maino leggerà Meneghello.
Nel corso della seconda giornata, diversi interventi contribuiranno alla discussione sull'esordio, l'ambiente letterario e l'opera dello scrittore (Gianni Turchetta, Pietro De Marchi e Francesca Caputo). L'incontro si concluderà con la visione di Ritratti. Luigi Meneghello. Nello stesso giorno, le conclusioni delle celebrazioni dei centenari di Zanzotto, Rigoni Stern e Meneghello saranno affidate a Gianfranco Bettin e Marco Paolini.
Questo il sito per il centenario. E l'associazione culturale Luigi Meneghello riporta il calendario completo degli eventi in programma, dai convegni agli incontri di lettura ad alta voce.