CULTURA

27 gennaio: un giorno per ricordare

“Chi ascolta un superstite – disse una volta Elie Wiesel – diventa a sua volta un testimone”. Un’esigenza di preservare e in qualche modo nutrire la memoria che diventa ancora più pressante nel momento in cui va assottigliandosi il numero di chi c’era: per questo il 27 gennaio è progressivamente divenuto una delle ricorrenze civili più importanti e sentite. Anche nel mondo universitario, che negli ultimi anni sembra avere finalmente intrapreso un percorso di riflessione e di consapevolezza sulle proprie responsabilità nell’applicazione delle infami Leggi razziali del 1938.

Così quest’anno alle  sei “Pietre d’inciampo” (Stolpersteine) presenti all’ingresso di Palazzo Bo si aggiunge quella in ricordo di Desiderio Milch, studente di universitario morto ad Auschwitz nel 1944 ad appena 21 anni. Nato da un matrimonio misto a Fiume, Desiderio si era immatricolato alla Facoltà di Lettere nel 1940; quando in seguito la sua città di origine – nella quale era frattempo rientrato – venne occupata e annessa al Terzo Reich, fu catturato dalle SS per essere condotto assieme al padre al campo di San Sabba e in seguito messo su un treno piombato verso il lager. Una storia che ricorda quella di altri studenti ebrei come Giuseppe Kroò, Paolo Tolentino, Nora Finzi e quel Giorgio Arany sulla cui storia l’anno scorso Il Bo Live, con un articolo di Luca Marinello e Silvia Michelotto, ha contribuito a far luce.

Figlio di Desiderio Arany e di Caterina Goldberger, Giorgio nacque nella città ungherese di Györ nel 1919; trasferitosi in seguito con la famiglia a Trieste, si immatricolò a Padova nel 1937 al biennio propedeutico della Facoltà di Scienze per Ingegneria. Destinatario nell’estate del 1938 di un provvedimento di espulsione in quanto ebreo di cittadinanza non italiana, Arany dimostrò una tale e cocciuta forza di volontà da riuscire comunque a farsi riammettere nell’ateneo, continuando gli studi fino alla laurea. Da allora fu tuttavia tenuto costantemente sotto controllo: il suo nome sarebbe stato in seguito comunicato alla questura assieme a quello degli altri studenti ebrei, facilitandone la cattura e la deportazione ad Auschwitz.

Come ogni anno il Giorno della memoria è anche l’occasione per portare all’attenzione questa e altre storie: a distanza di quasi 80 anni molto rimane ancora da indagare e da scoprire sulle persone e le storie inghiottite dal gorgo della Shoah. Ancora oggi infatti gli archivi continuano a restituire storie: come quella di Paolo Shaul Levi, l’intellettuale ucciso ad Auschwitz nel 1944 alla cui figura la Fondazione Museo della Padova Ebraica dedica la Giornata della Memoria 2022.

Paolo Levi nacque nel 1904 e fu uno studioso dai vasti interessi: scriveva sulla rivista "Israel" ed era un punto di riferimento culturale per la comunità ebraica padovana. Omosessuale e per questo doppiamente discriminato, fu arrestato nel dicembre del 1943 per essere deportato ad Auschwitz. Nel suo stesso vagone c’era un giovane chimico di Torino, Primo Levi, ed è proprio l’autore di Se questo è un uomo a fornirci un dettaglio fondamentale per ricostruire la sua tragica storia: “Non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne – scrive nella sua opera più famosa –, di tutti gli altri, in numero più di cinquecento, non uno era vivo due giorni più tardi”. Quasi sicuramente Paolo Levi era tra quei cinquecento che, appena scesi, dal convoglio furono subito indirizzati alle camere a gas.

La storia di Paolo Levi riemerge oggi dalle nebbie della storia grazie a un quadro: il ritratto dipinto da Tino Rosa ed esposto alla Biennale di Venezia nell'estate del 1938, proprio all’inizio della stagione delle persecuzioni antiebraiche. In esso Levi viene raffigurato nella veste di letterato e di dandy, seduto in veste da camera e con un vistoso anello al dito. Un ritratto di pregio e dalla grande forza espressiva, rimasto a lungo dimenticato in una collezione privata fino alla primavera del 2021.

L’opera è stata lo spunto per ricostruire la vicenda del suo protagonista, grazie alle intuizioni e al lavoro certosino dello storico dell'arte Alessandro Pasetti Medin, della professoressa Mariarosa Davi, della ricercatrice dell’università di Padova Giulia Simone e dell’archivista della Comunità Ebraica Ghila Pace. Insieme questi ricercatori hanno consultato gli archivi di diversi enti e istituzioni a Padova, Venezia, Milano e Roma, mettendo insieme alcuni pezzi dell'esistenza di Levi, tanto lineare e documentata fino alla laurea quanto frammentata e a tratti misteriosa negli anni della maturità. Il 27 gennaio in via dei Fabbri, davanti all'ultima abitazione nota di Levi, viene depositata una pietra d'inciampo nell'ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria organizzate dal Comune di Padova: in questa occasione gli studenti del liceo classico Tito Livio leggeranno brani realizzati sulla base delle ricerche svolte per ricostruirne la figura.

Domenica 30 gennaio alle 16 Paolo Levi sarà inoltre il protagonista principale della Biblioteca vivente, iniziativa speciale organizzata al Museo della Padova Ebraica. Davanti al suo ritratto, in prestito al museo, Pasetti Medin racconterà la sua vicenda rispondendo alle domande del pubblico, mentre alcuni membri della comunità ebraica racconteranno le storie di altri padovani deportati, molti dei quali passati per il campo di Vo’ Euganeo. Il tentativo di restituire un ricordo e un’identità a persone delle quali, un tempo non lontano, si tentò di cancellare ogni traccia.

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