Roma, piazzale della Farnesina
Con la guerra le relazioni internazionali – o la geopolitica, come a volte si preferisce dire – sembrano tornate al centro dell’attenzione. Esperti e “analisti” prendono il posto dei virologi nei talk-show, ma anche in questo caso la perenne girandola di opinioni più che portare chiarezza rischia di confondere. Per questo, oggi più che mai, sono preziosi libri come Dalla rinascita al declino. Storia internazionale dell'Italia repubblicana di Antonio Varsori, appena pubblicato da Il Mulino. Uno studio poderoso (oltre 750 pagine) di cui si sentiva l’esigenza e la mancanza, che ha il merito di raccogliere e sistematizzare decenni di ricerche in forma chiara e scorrevole, per quanto ricca e approfondita. Un libro che al di là delle vicende, raccontate con dovizia di particolari e di fonti, traccia un quadro degli ultimi 80 anni del nostro Paese attraverso la lente degli equilibri di potenza: caratteristica importante in un momento in cui l’Italia è di nuovo chiamata a scelte difficili.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello
La narrazione prende l’avvio dalla prima e più importante delle ‘rinascite’ della nostra storia recente: “Non dimentichiamo che l’Italia esce dalla guerra sconfitta, sottoposta ad occupazione militare e poi nel 1947 è costretta ad accettare un trattato di pace considerato da molti duro e punitivo – esordisce lo studioso nell’intervista a Il Bo Live –. Un Paese povero e arretrato, oltre che profondamente diviso al suo interno”. La perdita dello status di grande potenza però non scoraggia una nuova classe dirigente colta e dinamica, “che sul piano internazionale ha un obiettivo ben preciso: far sì che l’Italia possa agire e far sentire la sua influenza in Europa e nel Mediterraneo, collocandosi più o meno sullo stesso piano delle altre grandi nazioni europee come la Francia, la Gran Bretagna e in seguito la Repubblica Federale Tedesca. In fondo quella dell’Italia repubblicana è la storia di questa continua rincorsa, con cadute e momenti di affermazione”.
In questo quadro si collocano, secondo il libro, scelte fondamentali come l’adesione al blocco occidentale e al progetto europeo, il quale trova proprio nell’Italia uno dei centri propulsori politici, economici, intellettuali. Decisioni che furono anche il frutto di una visione strategica e che non possono essere ridotte alla mera esecuzione di un ordine mondiale stabilito dai ‘grandi’ a Yalta. Tanto che, forti dei successi del ‘miracolo economico’, per un periodo i governi della Repubblica cercheranno di ritagliarsi anche a livello internazionale un margine sempre più ampio di manovra, arrivando in alcuni casi ad insidiare gli interessi dei partner. Incluso il più potente: è il caso della spregiudicata politica energetica ideata e portata avanti da Enrico Mattei, ma anche delle relazioni con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, come ad esempio ha recentemente evidenziato Valentine Lomellini nel suo libro sul Lodo Moro.
“ Con la fine della guerra fredda l’Italia è l'unico Paese del blocco occidentale a veder crollare il suo sistema politico Antonio Varsori
Qualcuno potrebbe suggerire che non è un caso che entrambi i protagonisti di queste politiche siano scomparsi in circostanze violente e mai del tutto chiarite: sta di fatto che la giovane Repubblica, pur sottoposta a vincoli esterni (in primis Usa, Nato e in seguito le Comunità Europee) e interni (la presenza del più forte partito comunista d’Occidente, per anni legato a doppio filo con l’altra superpotenza vincitrice), riesce a guadagnare e a esercitare una sua autonomia. Spiega ancora Antonio Varsori: “Diciamoci la verità, per l'Italia la guerra fredda è stata in alcuni momenti un elemento positivo, perché la rendeva un Paese di un certo rilievo nel contrasto tra est e ovest e allo stesso tempo rafforzava i rapporti con gli Stati Uniti. Che avevano anche la funzione di riequilibrare le relazioni con Francia, Germania e Gran Bretagna: i partner più stretti ma allo stesso tempo anche i nostri competitor naturali”.
La crisi arriva negli anni Settanta, quando le istituzioni democratiche sembrano addirittura sul punto di crollare e, stando a Varsori, l’Italia torna ad essere oggetto più che soggetto delle relazioni internazionali. Segue l’apparente rilancio degli anni Ottanta, che però si rivelerà presto un canto del cigno. Poi, a partire da Tangentopoli nel 1992, inizia l’infinita transizione della quale non si vede ancora la fine, e che naturalmente ha conseguenze anche sul nostro ruolo internazionale. “La rinascita degli anni Ottanta ha basi fragili, anche perché di lì a poco crollerà il muro – puntualizza lo studioso –. La radice della debolezza italiana sulla scena internazionale risiede però soprattutto nelle fragilità interne: l’instabilità del quadro politico e poi le tante, troppe scelte strategiche rimandate o inevase. Così, quando si arriva al 1989-92, l’Italia è l'unico Paese del blocco occidentale a veder crollare il suo sistema politico. Infine c’è l’adesione a Maastricht che, soprattutto per quanto riguarda l'unione economica e monetaria, inserisce elementi di rottura molto forti a cui la classe politica italiana non riuscirà a far fronte”.
Da lì in avanti per noi la situazione non è molto cambiata, per lo meno da un punto di vista istituzionale; intanto però il mondo è andato avanti ed è sempre più multipolare e difficile da decifrare. “Oggi ci sono almeno quattro-cinque attori più o meno sullo stesso piano: Stati Uniti, Cina, India, Russia e forse Unione Europea – conclude Varsori –. Quasi tutti, tranne forse l’Europa, agiscono prevalentemente in una logica di potenza e per i propri interessi sono pronti ad utilizzare ogni strumento di pressione: persino militare, come vediamo. La sensazione è che oggi tendiamo a concentrare troppo l'attenzione su Europa e Stati Uniti: dovremmo tutti capire che il mondo è diventato più grande”. Nella speranza che l’Italia, sfruttando le proverbiali doti di adattabilità, sappia ancora una volta trovare un suo ruolo.