CULTURA

Andy Warhol, l’artista che si fece icona

Difficile calcolare l’impatto e l’influenza di Andy Warhol e della Pop Art sul mondo in cui viviamo. Non solo dal punto di vista artistico: se oggi tutti vogliamo essere unici, ma vestendo gli stessi brand, se tutti aspiriamo ai nostri 15 minutes of fame sui social è difficile non pensare ad Andrew Warhola Jr. da Pittsburgh, alle maschere di superficialità che indossava in contrasto con la sua profonda sensibilità. La stessa che ad esempio caratterizza la serie Ladies and Gentlemen, commissionata dal celebre gallerista italiano Luciano Anselmino, in cui drag queen e trans newyorkesi ricevono la stessa attenzione riservata a Mao e Marylin.

Non solo dunque la ripetizione ossessiva delle latte di Campbell’s Soup, non solo l’iconizzazione della celebrità e del consumo. Senza Andy Warhol il mondo in cui viviamo non sarebbe lo stesso, o perlomeno avremmo meno strumenti per capirlo: per questo la mostra Andy Warhol. Icona Pop, aperta fino al 29 gennaio 2023 al Centro culturale Altinate / San Gaetano di Padova è un’occasione preziosa sia per accostarsi alla sua figura che per riflettere più approfonditamente sulla sua eredità. Il percorso (pensato da Daniel Buso, mentre la curatela generale è di Simona Occioni), forte di oltre 150 opere tra disegni, fotografie, incisioni, serigrafie, sculture e cartoline, si presta infatti a diversi piani di lettura. Si comincia dal profilo biografico attraverso alcune opere giovanili e i ritratti da parte di fotografi del calibro di Curtis Knapp e Pierre Houlès, per proseguire con la sezione dedicata alle collaborazioni con il mondo musicale: in particolare con gli Stones e i Velvet Underground di Lou Reed, tra i componenti più assidui della Factory, ma anche con Miguel Bosè e Loredana Bertè.

C’è poi sicuramente lo spazio delle serie più famose: Cows, Flowers,  personaggi famosi raffigurati con le celebri serigrafie prodotte e riprodotte dai collaboratori e vendute a peso d’oro, in una paradossale moltiplicazione dell’oggetto artistico a cui oggi siamo abituati, in cui l’originale non è più distinguibile dalla copia. L’interesse è per tutto ciò che è kitsch, materiale, commerciale – in una parola AMERICANO – che però attraverso la stilizzazione parziale e la ripetizione ossessiva risulta alla fine paradossalmente nobilitato, quasi spiritualizzato. Warhol ritrae la contemporaneità in atto, nel momento in cui prende forma, di qui l’interesse per tutto ciò che è massificato: celebrità, pubblicità, denaro. Di qui anche l’ossessione per le icone dello spettacolo, da Mick Jagger a Sylvester Stallone passando per la mitica Monroe, trasformando i prodotti di consumo in arte e l’arte in un prodotto di consumo.

Perché il mero atto del consumare, se va al di là della mera sopravvivenza, ha bisogno perlomeno di un’estetica, se non di un’ideologia. In questo l’artista di Pittsburg è simile agli artisti medievali: anche lui è un creatore di icone, immagini del sacro, e forse non è un caso che fino alla fine si sia professato a modo suo un buon cattolico. Solo che qui il trascendente si identifica con il dollaro, la produzione in serie, la standardizzazione: “Comprare è molto più americano di pensare – recita una delle sue celebri frasi, sempre in bilico tra banalità e genio – e io sono molto americano”. Dove arriva la celebrazione e dove inizia l’ironia, se non la critica? In fondo non lo sapeva neppure Warhol, e forse non gli interessava neppure.

Il percorso espositivo si chiude con una mostra nella mostra: la serie completa di 36 fotografie vintage realizzate tra il 1977 e il 1981 da Allan Tannenbaum nel famoso Studio54, “la discoteca più famosa del mondo”. Gente comune, semplici curiosi, giornalisti, drag queen e, ovviamente, le star del momento sono ritratti durante le notti più pazze d’America, spesso al limite dell’orgiastico. Oltre a Mick e a Bianca Jagger, Liz Taylor, star e starlette è onnipresente Warhol, che per tutta la sua carriera non manca mai, sempre armato di macchina fotografica, ai party più in voga nella metropoli statunitense. Andy che non si limita a ritrarre: è anche assoluto protagonista e demiurgo di quel mondo, senza il quale l’arte e la cultura Pop sarebbero incomprensibili. L'intento dei proprietari dello Studio54 Steve Rubell e Ian Schrager è quello di dare vita ogni sera alla “festa più grande del mondo”, in cui ciascuno ha l’illusione di vivere una notte da assoluto protagonista a fianco dei volti più famosi del jet set internazionale. La discoteca è anche una delle prime ad adottare una rigida selezione all'ingresso in base all'aspetto estetico e al gusto nel vestire: “una dittatura all'ingresso e una democrazia sulla pista da ballo”, sentenzia Warhol. Il club chiude i battenti nel 1986, pochi mesi dopo la morte di Warhol. Il sigillo involontario, ma forse non casuale, di una stagione indimenticabile.


Andy Warhol. Icona Pop 

Mostra a cura di Simona Occioni, percorso espositivo a cura di Daniel Buso. Organizzazione: Artika di Daniel Buso e Elena Zannoni, in collaborazione con Fondazione Mazzoleni e Città di Padova

Padova, Centro Culturale Altinate | San Gaetano, Padova, fino al 29 gennaio 2023

www.artika.it

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