Credit: ESA - C. Carreau
Con il lancio del nuovo e molto atteso telescopio spaziale James Webb alle porte, continuiamo il nostro viaggio tra alcuni dei suoi predecessori. Dopo Hubble e Kepler, è il turno di Gaia.
Gaia è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) lanciata alla fine del 2013 con lo scopo di ottenere una mappa tridimensionale della nostra galassia. La missione è ancora attiva, ma si concluderà quando il satellite terminerà il carburante, approssimativamente 10 anni dopo il lancio, quindi nel 2024/2025.
Il satellite Gaia è stato interamente realizzato da Esa, con grosso contributo italiano, ed è composto da due telescopi con campi di vista diversi e piano focale in comune, e una serie di specchi. I telescopi scansionano continuamente il cielo, sfruttando i moti di rotazione e di precessione del satellite su cui è installata; in sei mesi riesce a coprire tutto il cielo, ma ogni zona viene osservata circa 70 volte nel corso dell’intera durata della missione, producendo quindi una grande mole di dati, e per giunta molto precisi. Tutti questi dati, che sono astrometrici e informazioni astrofisiche sulla luminosità nelle diverse bande spettrali, vengono poi analizzati dal Data Processing and Analysis Consortium (Dpac), il consorzio formato dagli istituti di ricerca europei. L’obiettivo, oltre alla mappa tridimensionale, è quello di studiare in dettaglio la formazione, la dinamica, la chimica e l’evoluzione della nostra galassia.
Intervista ad Antonella Vallenari dell'Osservatorio astronomico di Padova - riprese e montaggio di Elisa Speronello, immagini di ESA
“L’idea di Gaia nasce nel 1995” rivela Antonella Vallenari dell’Inaf - Osservatorio Astronomico di Padova, “per rispondere a una delle domande principali dell'astrofisica moderna, ossia come si formano le galassie. Abbiamo dei modelli che ce lo spiegano, ma vogliamo verificare se questi funzionano guardando i dati”. Il satellite si trova vicino alla Terra, a un milione e mezzo di chilometri e di fatto segue la sua orbita intorno al Sole. La mappa che Gaia sta disegnando è quella più precisa finora, infatti contiene due miliardi di stelle: “la mappa precedente aveva solo 100.000 stelle, quindi Gaia ha segnato un balzo in avanti gigantesco nella conoscenza di come è fatta la nostra galassia”. La contrapposizione diventa ancora più chiara se pensiamo che Gaia riesce a misurare circa 100.000 stelle al minuto.
Credit: ESA/Gaia/DPAC, CC BY-SA 3.0 IGO
Tra i dati che Gaia elabora ci sono le posizioni delle stelle, ma anche le loro velocità. In questo modo si può capire come le stelle si muovono, insieme a gruppi o isolate. Le stelle non si muovono tutte alla stessa velocità, “Ne abbiamo trovate di così veloci che abbandoneranno tra qualche milione di anni la nostra galassia” spiega la Vallenari, sottolineando anche che questo tipo di studi serve agli astrofisici per capire come è fatta la galassia e come si è formata: “quello che noi pensiamo è che le galassie si formino mettendo insieme delle strutture più piccole, un po’ come una grande città si forma mettendo insieme piccoli villaggi”. Grazie a Gaia, infatti, si è osservato che la parte esterna della Via Lattea è quasi tutta formata da stelle che sono nate al di fuori di essa. Come è stato possibile capirlo? Lo spiega la dottoressa Vallenari: “Attraverso i movimenti delle stelle, perché in realtà le stelle che vengono da fuori per qualche miliardo di anni continueranno a muoversi con un movimento diverso da quello delle stelle della nostra galassia”. Le osservazioni di Gaia sono importanti per tutta l’astrofisica, perché studiare le dinamiche interne della galassia, lo scambio con quelle esterne, permette di capire come funziona l’universo.